Estranei accanto noi

 In LIFE

Dovreste ascoltare il racconto dei miei amici italo-americani, adesso temporaneamente di stanza alla periferia di New York, di quando arrivarono nel nostro condominio, la Palazzina C di un piccolo complesso di nuovi palazzi, in un piccolo paesino etneo a metà degli anni Settanta.

Arrivarono dalla provincia di Palermo a quella di Catania per cominciare una nuova vita. Lei – originaria della costa est degli Stati Uniti – e lui – originario sempre di quella orientale ma della Sicilia – si erano conosciuti in America, dove lui era emigrato da un sonnolenta città di mare, dalle origini greche e dal nome del più importante imperatore romano.

Dopo il loro matrimonio e l’inizio della vita insieme in Sicilia, lui venne trasferito alla base navale di Sigonella e dopo aver trovato in affitto un bel appartamento al centro di questo paesino alle porte di Catania, finalmente si trasferirono. Lei aveva il pancione: era in dolce attesa della sua primogenita, anche se probabilmente all’epoca nemmeno si sarebbe potuto conoscere il sesso del nascituro. Giunsero in questa palazzina e la prima cosa che si trovarono davanti – così raccontano – fu che due tizi, che avevano di fatto appena conosciuto, un coetaneo e un signore più anziano sulla sessantina, arrivarono armati di attrezzi e di scala per aiutarli nella sistemazione della casa, nel set up  della loro vita etnea.

Erano giovani, per gli odierni canoni che vogliono si resti ragazzi forse fino alla cinquantina, eternamente esasperati dalla cultura della gioventù.

Non avevano nemmeno trenta anni e approdavano con la loro vita tutta da costruire in un palazzo dove la maggioranza degli abitanti era loro coetanea.

Abitavano al secondo piano di quella palazzina, con un meraviglioso affaccio verso il golfo di Catania e una stupenda vista dell’Etna dall’altro alto. In quella palazzina ben sei giovani famiglie risiedevano.

Per prime arrivarono le famiglie di due donne, zia e nipote che per uno strano scherzo del destino si correvano soltanto due anni ed erano cresciute come sorelle. Persino dopo il matrimonio della zia, un po’ prima di quello della nipote, per uno strano gioco del fato le due finirono dirimpettaie anche in pieno centro città, nel capoluogo catanese.

Poi agli inizi degli anni Settanta le due famiglie decisero di voler comprare un appartamento: il marito della nipote venne a sapere che un costruttore aveva in vendita una palazzina nel centro di un paesino. Lontano per gli standard cittadini del tempo, ridicolmente vicino per chi – come chi scrive – vive nel comune più vasto d’Europa. Fecero il grande passo, si indebitarono con un bel mutuo ventennale e acquistarono un intero piano, dividendoselo in due sulla carta, ma lasciando addirittura un balcone in comune, in maniera tale da poter passare da un appartamento all’altro senza passare per le scale!

Qualche mese dopo, nell’appartamento sopra quello della nipote, i suoi genitori si trasferirono dal centro di Catania. Fortuna volle che l’appartamento sovrastante fosse libero e la proprietaria, un’insegnante elementare, lo aveva ricevuto a mo’ di indennizzo dal costruttore per il terreno dove il palazzo venne costruito.

Fu così che al terzo e al quarto piano, la mia grande famiglia allargata fu tutta trasferita lì nel febbraio 1975, bisnonni compresi che vivevano all’epoca con i miei di nonni (avrete già sicuramente capito che la nipote era la mia mamma).

Nel frattempo il palazzo si riempiva: un’altra giovane coppia aveva acquistato al piano terra mentre il secondo piano era occupato da altre due giovani coppie, con un terzo appartamento rimasto vuoto, fino a quando venne occupato dagli americani!

Infine all’ultimo piano c’erano altri due ragazzi, palermitani, senza figli, che si erano trasferiti da poco lì poiché il marito lavorava per un’azienda di pneumatici. Fu in questo palazzo che arrivarono i miei amici a stelle e strisce e quei due tizi, antichi e moderni tuttofare, erano mio padre e mio nonno.

Quanto ai bambini eravamo in tre: poi a poco a poco nacque mia sorella e le altre famiglie si allargarono. Questa è stata la mia vita da bambino, in una palazzina dove la parola amico forse è persino riduttiva, se penso a taluni rapporti nati all’epoca e perduranti sino ai nostri giorni, a prescindere dalla distanza e dal tempo.

Vi ho raccontato questa storia perché stamani sulla seconda parte di Repubblica è stata ripresa una ricerca del Comune di Firenze che parla di come stia morendo il vicinato, persino tra gli over 65. Non parliamo di noi giovani che a stento conosciamo de visu chi abita al piano di sotto e spesso non mettiamo il muso fuori nemmeno se sentiamo gridare aiuto.

Naturalmente ciò è ancora più accentuato nelle grandi città, specialmente nelle periferie-dormitorio che abbiamo inventato, senza piazze, senza parchi, senza vita.

E non è soltanto un problema di dimensione dei condomini: adesso abito in una palazzina piccolissima con sette appartamenti e – in questo momento – quattro nuclei familiari. Se togliamo la signora dirimpettaia, un’anziana vedova di un ammiraglio non riuscirei a dirvi il nome dei figli della famiglia del primo piano e se conosco il nome della ragazza del piano di sotto è perché aveva sino allo scorso anno un router WiFi con un SSID a suo nome …

Molta gente non si spiega come mai io abbia mantenuto questo legame così viscerale nei confronti di Catania, della Sicilia e di quell’appartamento (abito in quello dei miei nonni, quando sono in Sicilia), pur non amando particolarmente il paesino! Forse perché pur con tutti gli enormi problemi che il condominio (come tutti i condomini) possiede ha un qualcosa di magico, di inspiegabile, di irrazionale.

E quando in estate o per Natale ritorna a riempirsi, di noi giovani emigranti al tempo del web, sembra come se volesse in qualche modo coccolarci, accudirci e assicurarci un po’ di riposo per noi che viviamo lontano dagli affetti, dai nostri genitori, dai nostri sapori.

Gli americani però non terminerebbero così la storia: vi racconterebbero anche altro, a esempio potrebbero dirvi che dopo un giro di valzer a Washington DC a metà degli anni Ottanta, tornarono alla base di Sigonella, con due figli ormai cresciutelli. Vi racconterebbero che trovarono casa in un altro paesino, adiacente al nostro e che lì ebbero la loro terza figlia.

Poi si misero a cercare una casa da comprare, e quando finalmente si liberò l’appartamento del quarto piano, quello che era abitato dai palermitani qualche decennio prima e che poi fu persino abitato da un delinquente – tanta era l’ingordigia e l’avarizia dei proprietari, loro non ebbero dubbi.

Scelsero di comprare la loro casa, quella che adesso hanno anche ristrutturato sperando di poterla vivere più assiduamente di come stiano facendo finora, anche loro appesi come un lenzuolo fra le due sponde dell’Atlantico, proprio lì, in quella palazzina, in un mondo dove vicini di casa era sinonimo di amici e dove con la parola estraneo ci si riferiva – forse – soltanto ai topi d’appartamento.

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