Tutti ragione e tutti torto

 In POLITICA

Ascolto l’intervento nell’aula del Senato di Annamaria Cancellieri, ripensando alla sua conferenza stampa di ieri a Strasburgo, all’articolo di Francesco Merlo oggi su Repubblica e alle domande che legittimamente si pone Luca Sofri in questo bel post sul suo blog.

1. Se fossi ministro della Giustizia e venissi a sapere di un detenuto in condizioni rischiose, e conoscessi quel detenuto, cosa farei?
2. Se fossi parente di detenuto in condizioni rischiose, proverei a raggiungere chi posso – ministro compreso – per segnalare il rischio?
3. E se non ne fossi parente e ne conoscessi le condizioni rischiose?
4. Se a Giulia Ligresti fosse capitato qualcosa di brutto e prevedibile, la settimana prossima, e il ministro fosse stato informato del rischio, cosa avremmo pensato?
5. Se il ministro avesse fatto quella telefonata per la figlia della sua portinaia, cosa avremmo pensato?
6. Se il ministro avesse fatto quell’identica telefonata per Stefano Cucchi, cosa avremmo pensato?
7. Se il ministro non avesse fatto quella telefonata per Stefano Cucchi, essendo informata delle condizioni, cosa avremmo pensato?
8. Dopo queste polemiche e proteste, gli interventi a protezione degli altri detenuti saranno più probabili o meno probabili?
9. Su tutti i detenuti in condizioni disumane e rischiose che ci sono nelle carceri italiane, quanti tweet e post scriveremo, la settimana prossima?
10. Quando un gip avalla le richieste di un pm di uso della carcerazione preventiva, e se ne dimostra l’inconsistenza, protestiamo, di solito? Chiediamo dimissioni?
11. Quante dimissioni abbiamo chiesto quando un detenuto è morto in carcere?

Ha ragione Luca Sofri a porsi queste domande perché prima di tutto, per uno Stato, devono esserci i più deboli (e i carcerati lo sono a prescindere dal loro rango sociale e anche della ragione per la quale si trovano dentro).

Ma credo abbia ragione anche Merlo perché un ministro non si può giudicare soltanto con criteri di colpevolezza ma anche – soprattutto – con il metro dell’etica, della morale, dell’indipendenza e dell’imparzialità. E quella telefonata non andava fatta proprio perché ministro, proprio perché amica dei Ligresti. Anzi dirò di più: forse non appena la famiglia Ligresti è stata arrestata e addirittura il proprio figlio ha contribuito a scoprire il buco milionario, sarebbe stato opportuno che la ministra avesse lasciato l’incarico proprio per evitare che ci potessero essere anche solo le ombre nella gestione del suo dicastero.

Ma ha ragione anche la stessa Cancellieri a rivendicare con orgoglio la sua carriera, la sua onestà, la sua statura istituzionale. Ha ragione a rivendicare la professionalità del figlio (surreale l’attacco a uno che ha lavorato per i Ligresti soltanto due anni fa, dopo una carriera in campo bancario, come lo fu quello a Silvia Deaglio all’epoca della riforma del lavoro della Fornero) e anche l’amicizia con Antonino Ligresti.

Hanno però ragione anche tutti coloro che affermano che un ministro “non ha amici” e che questo è il prezzo da pagare per ricoprire certi incarichi pubblici: se pensi di non farcela, se temi che le tue amicizie possano in qualche modo intralciare il tuo servizio istituzionale allora sarebbe meglio non accettare l’onore altrimenti anche gli oneri si devono saper portare.

Ecco, hanno tutti ragione, tutti, tranne coloro che vergognosamente e strumentalmente collegano la vicenda della telefonata alla compagna di Salvatore Ligresti alla telefonata in Questura di Silvio Berlusconi, collegamento che consente al PDL e a Marco Travaglio (incredibile solo a dirsi questo accostamento) di affermare che questa e quella per loro pari sono.

Ma su una cosa sono certo: che la colpa è anche e soprattutto nostra, di noi elettori italiani, di lungo o di breve corso, che abbiamo ignorato non soltanto il conflitto di interesse di Berlusconi ma qualunque altro interesse potesse collidere con quello pubblico. Che non riusciamo proprio a concepire che ci deve essere un interesse pubblico che sia sovraordinato a ciascun legittimo interesse privato.

Assumiamo un atteggiamento quasi calvinista nei confronti di questa donna nonostante spesso siamo i primi a indulgere verso noi stessi per qualunque peccatuccio. Siamo cattolici o calvinisti a seconda della convenienza: quando si tratta di noi stessi parliamo di pentimento e di confessione. Quando sono gli altri invece a trovarsi nei guai ecco che diventiamo integerrimi, fiscali.

Deprechiamo la raccomandazione (presunta o no che sia) della Cancellieri magari dopo essere riusciti a saltare la fila per una ecografia grazie all’amico dell’amico, essere riusciti nell’iscrizione del proprio figlio al nido o a quella ben precisa scuola elementare magari grazie a quella vecchia conoscenza (un tizio una volta mi parlo di “amicizie utili” come se potesse esistere l’utilità nell’amicizia anziché essere di fatto un ossimoro).

Inorridiamo di fronte alla scarcerazione della Ligresti, osservando giustamente che per altri carcerati (e sono oltre 12.000 i cittadini italiani e stranieri in custodia cautelare) non vale lo stesso trattamento: o meglio non può nemmeno materialmente valere per tutti, perché francamente sono troppi.

Poi però di fronte alla questione della carcerazione preventiva, ormai diventata assurda e quasi al limite della tortura, diventiamo giustizialisti, pretendiamo il sangue, chiediamo la “certezza della pena” quando di questi tempi si ha soltanto una certezza della tortura. Possibile che per certi reati misure alternative alla custodia carceraria non possano esistere? Nell’epoca delle intercettazioni telefoniche, possibile che il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e della reiterazione del reato non possa controllarsi in modo diverso dalle manette?

Non so rispondere completamente alle domande di Sofri: so solo che dovremmo storicizzare la vicenda, considerare che la Cancellieri è ministro di una Repubblica che ha come fondamento sì l’eguaglianza dei cittadini di fronte alle legge ma che è ancora intrisa di raccomandazioni e interessi contrastanti.

Se io fossi la ministra Cancellieri però ci sarebbe una ragione che taglierebbe la testa al toro e presenterei immediatamente le dimissioni: perché non sarebbe ammissibile un qualunque accostamento fra me e il Cavaliere. Comprenderei la scelta dell’ex prefetto di non rassegnare le dimissioni dopo questo dibattito parlamentare né tanto meno dopo la mozione di sfiducia del Movimento Cinque Stelle, tanto assurda quanto lo è la stessa esistenza di questo movimento politico, che sicuramente verrà respinta. Ma lo farei perché non potrei tollerare che una telefonata per capire le condizioni di un’amica possa continuare a essere adoperata da una parte politica per strumentalizzare una sentenza di primo grado e per delegittimare il lavoro della magistratura meneghina. Non potrei tollerare che aver cercato di fare qualcosa per Giulia Ligresti, nipote dell’amico di famiglia Antonino, possa essere anche solo accostata al rilascio di una ragazzina minore, spacciandola per la nipote di Mubarak e lasciandola in mano alla sua sfruttatrice, la Minetti, che a sua volta l’ha consegnata a una prostituta, la Conceicao.

Non potrei tollerare – se fossi la Cancellieri – che il gesto che io considero umanitario venga paragonato al mero salvataggio di deretano che il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi fece nel maggio di tre anni fa.

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