Centro e periferia

 In RELIGIONE

Quando la mattina del 14 marzo 2013, con il mio amico Alessandro, ci siamo incontrati era il primo giorno dopo l’elezione di Jorge Mario Bergoglio al soglio di Pietro: abbiamo entrambi convenuto che la sera prima, a Piazza San Pietro, si erano ascoltate delle parole storiche per la Chiesa Cattolica e quindi anche per quella della nostra Diocesi di Roma. Mentre la stragrande maggioranza dei commentatori televisivi sottolineava la provenienza geografica del Pontefice, al più sottolineando il simpatico saluto “buonasera” che aveva rivolto ai fedeli raccolti fra le braccia del Colonnato del Bernini, noi due concordavamo sul fatto che la vera novità storica fosse in quel definirsi “Vescovo di Roma” e aver desiderato il Vicario per l’Urbe accanto a sé.

Scrissi molto a suo tempo su questo aspetto, tanto da dedicare – su quello storico mese – un intero capitolo del mio libro sui tre anni di attività di blogger.

Mi è tornato ultimamente in mente questo episodio, di quella mattina di marzo, per una serie di ragioni: innanzi tutto per una certa campagna di stampa, con in prima linea il Foglio e il suo direttore Giuliano Ferrara insieme con Antonio Socci, Libero e Giornale, scettici su questo cambio di rotta che stiamo osservando dal Vaticano. Poi persino Vittorio Messori sul Corriere mi è sembrato alquanto frastornato dall’elezione di Bergoglio e da questi primi mesi di pontificato, specialmente dopo l’intervista/dialogo con Eugenio Scalfari e il richiamo che il Pontefice ha fatto sulla coscienza di ciascuno, credente o non credente che sia.

A tutto ciò si sono aggiunte recentemente alcune cose lette su vari siti internet italiani che decisamente avversano il cambio di rotta che il Papa sta imponendo – con tutta la forza della novità di uno che non ha certo tanti peli sulla lingua – alla Curia Romana e soprattutto alla gerarchia ecclesiastica per come l’abbiamo conosciuta finora.

In forza di tutto ciò ho come avuto la sensazione che noi italiani, specialmente quelli più conservatori, timorosi delle novità, poco o per nulla aperti verso gli altri, temiamo, e molto, che il papa argentino possa portare dentro la Chiesa e quindi farne “messaggio” una verità che finora abbiamo sottaciuto, forse anche per comodità, e cioè che l’Italia e l’Europa siano ormai ineluttabilmente la periferia del mondo cattolico.

L’elezione di Ratzinger nel 2005, in perfetta continuità con la dottrina del pontefice polacco, era ancora una scelta eurocentrica, basata quasi sull’assunto che noi europei, e specialmente noi italiani, fossimo il centro del cattolicesimo, una sorta di primato non soltanto spirituale ma proprio dottrinale e tradizionale della cattolicità.

Quando dalla Loggia delle Benedizioni si è affacciato questo vescovo argentino, con quel suo fare totalmente diverso da vescovi e cardinali europei, forse in Europa e in Italia in particolare abbiamo avuto lo shock che non siamo più il centro di un mondo e di un certo equilibrio. Specialmente in una vasta area della stampa conservatrice, spesso di centrodestra o quanto meno moderata, questo papa proveniente dalla fine del mondo ha prodotto uno sconquasso interiore di enorme portata. Sarà il fatto che – rassegnati all’inevitabile irrilevanza che la nostra Italietta politica ha esportato nel mondo, dopo la fine della cosiddetta Prima Repubblica – avere nel proprio Paese un’autorità forte e rassicurante, curiale, italiana, europea e tradizionale, forse teneva loro su il morale, almeno un po’. A tutto questo si aggiunga la forza del continuo richiamo alle radici giudaico-cristiane, che ha investito tutto il processo di integrazione europea fino ad arenarlo dopo la prima stesura della Costituzione europea e che in Italia diventava fonte di perenne polemica interna, contro la sinistra, contro coloro che inneggiano a una maggiore integrazione europea, a un dialogo con l’Islam e quindi con la Turchia, a una soluzione del conflitto israelo-palestinese con i due stati sovrani.
Poi c’è l’aspetto del personaggio Bergoglio, un extra comunitario, un non europeo, che arriva addirittura sul trono di Pietro, quasi ad usurpare qualcosa che noi europei pensavamo fosse un diritto quasi divino possedere per sempre. E se già gli italiani avevano provato cosa significasse avere un Papa straniero, adesso per la prima volta c’è un Papa americano, proveniente da quel continente che noi europei abbiamo invaso, saccheggiato e colonizzato in nome del nostro essere bianchi, europei e naturalmente cristiani.
Il cristianesimo che ci porta Francesco assume quindi un significato dirompente: intanto già nel nome pontificale, del santo di Assisi, c’è tutto il programma politico oltre che religioso di Bergoglio. Poi c’è il continuo richiamo alla comunione, come ancora mercoledì scorso – durante la catechesi dell’udienza generale – ha esposto a braccio, distogliendo lo sguardo dal discorso ufficiale scritto. Il suo definirsi “Vescovo“, prima ancora che Papa, ha probabilmente scioccato quanti sono sempre attratti dall’aspetto quasi più regale della figura del Pontefice che sul suo vero ruolo, cioè il successore dell’Apostolo Pietro. C’è in questo papa tutto il cattolicesimo dell’altro mondo, quello ancorato non tanto ai riti delle monarchie e dei protocolli (si pensi che il Pontefice ha abolito la mantella rossa, ha preteso abiti normali nei suoi incontri con gli altri capi di stato, parla in piedi durante le omelie delle celebrazioni e non seduto sul trono) quanto alla vita in comune con gli altri, anche fedeli di altre confessioni. Il popolo di Dio in cammino, immaginato da Bergoglio, non è più quindi un popolo eletto, scelto, davanti e ben diviso dagli altri. Papa Francesco immagina un cammino in cui ciascuno faccia la propria parte, secondo la propria fede e la propria coscienza, abbandonandosi completamente al giudizio divino, anziché provare a interpretarlo e a imporlo. Quante volte noi popoli cattolici, europei e tradizionalisti abbiamo preteso di sostituirci al Padreterno nel giudicare gli altri?

In questo capovolgimento della gerarchia dei popoli, che il Papa impone provenendo da un continente dove da sempre il cattolicesimo ha dovuto misurarsi con altre fedi e altre confessioni, sta una grande prova per noi europei, custodi di un mondo che semplicemente non esiste più. Il Papa è poi consapevole che questa visione nuova, rinnovata, del popolo di Dio, della comunione, degli altri, può portare paure, irrigidimenti e nuovi scontri. Egli risponde però con un sorriso, proprio come il suo Maestro e il Santo del quale porta il nome avrebbero fatto.

Non abbiate paura di spalancare le porte a Cristo“, diceva nel 1978 Papa Giovanni Paolo II nel discorso di insediamento sulla Cattedra petrina. “Non abbiate paura di aprirvi agli altri“, sembra invece rassicurare questo nuovo Papa che viene da ancora più lontano. Perché non è certo l’apertura agli altri, garantire agli altri le loro tradizioni nel rispetto delle nostre, che ci fa perdere l’essenza di essere cristiani, sembra sussurrare il papa.

Mi è tornato in mente, ascoltando ultimamente Bergoglio e il suo rapporto con non credenti e fedeli di altre religioni, Guglielmo Zucconi, padre di quel mostro sacro del giornalismo che è Vittorio. Raccontava infatti il figlio, che a chi gli chiedeva di convertirsi all’Islam Guglielmo Zucconi rispondeva scherzando: “Già faccio fatica a credere al mio di Dio, che è quello Vero, figuriamoci se metto in gioco le poche certezze che ho!“.

Ecco il Papa mi sembra voglia dire proprio questo alla gente: non potete aver paura di perdere la vostra fede soltanto perché vicino a voi ci sono quelli che hanno altre fedi. E forse se la fede si sente solida soltanto quando si rifugia nel rito tridentino o nel latinorum – spesso incomprensibile – dei curati di campagna di una volta, allora forse tanto solida non è e su questo dovrebbero riflettere.

Soprattutto sembra che molti siano terrorizzati che questo papa porti ad un dialogo con le altre confessioni cristiane, quelle delle Chiese Ortodosse in primis e quelle delle Chiese Riformate poi, quasi che quell’esortazione evangelica “Ut unum sint” possa quasi realizzarsi.

Sembra quasi che una certa stampa (di destra) trovi il papa argentino quasi pericoloso: forse perché sanno che si fa molta più fatica ad essere se stessi insieme con gli altri piuttosto che stare ritti in un mondo che ti mette – per definizione – su un piedistallo.

Recommended Posts
CONTATTAMI

Per qualunque informazione scrivimi e ti risponderò al più presto possibile.

Not readable? Change text. captcha txt
0
VINCENZOPISTORIO.COM