Diventare Grandi

 In LIFE, PROGETTI

Vi ricordate lo stato d’animo del primo giorno di scuola media, quando eravate preoccupati ma emozionati dalla nuova grande avventura che vi accingevate a intraprendere? Tanti docenti al posto dell’unica maestra (almeno per noi con qualche anno sul groppone!), un sacco di libri al posto del mitico “sussidiario“, i compiti da pianificare opportunamente, primo esempio di gestione dei propri progetti personali?

Ecco, oggi mi sento proprio così.

È cominciato tutto oltre tre anni e mezzo fa, sul finire dell’inverno, quando quel volo AZ 1736 delle 7 del mattino, mi riportava a Roma. Avevo acquistato all’inizio di quell’anno un’agenda Moleskine: un po’ scaramanticamente, perché era la preferita di un amico che nell’azienda dove lavora era ed è molto stimato e rispettato. Poi era derivata dal taccuino reso celeberrimo da Ernest Hemingway e qui i motivi scaramantici potete facilmente intuirli. Seduto al mio posto preferito, il 2A, sul vecchio MD-80 ormai pensionato dall’Alitalia, aprii l’agenda al 1° marzo e cominciai a scrivere le mie sensazioni volando sullo Stivale da Catania verso Roma.

Osservai un paese meraviglioso, sinuoso, pieno di forme e di coste da mozzare il fiato.

Era però lo stesso paese che non appena il carrello di quel velivolo avesse appoggiato le sue ruote sulla pista di Fiumicino, o di un qualunque altro aeroporto italiano, si sarebbe trasformato in un incubo quotidiano, con una disorganizzazione al limite della sopportazione e da un lassismo della popolazione da lasciare senza conforto.

Cominciai a osservare, appuntare e scrivere in maniera piuttosto naturale: dovevo anche impiegare il tempo, a dir la verità. Soltanto due mesi dopo trovai la casa che ancora oggi ospita me e la mia famiglia: all’epoca trascorrevo le ore fuori dall’ufficio in una piccola ma confortevole stanzetta di una pensione a due passi dall’ufficio in un’elegante zona di Roma.

Questo blog fu concepito così, frutto della solitudine fisica e talvolta mentale, della voglia di provare a investire le energie maggiori e positive che vengono dal nostro animo, in un progetto dove un’insieme di passioni potesse trovare maggiore sfogo e spazio. Qualche giorno dopo mi recai a Londra per un colloquio. Partii la sera sul tardi, andai a mangiare un hamburger con due amici carissimi che mi ospitarono e mi aiutarono la sera a rispolverare un po’ di inglese, e prima di imbarcarmi nuovamente per Roma – il giorno dopo – provai a osservare la città dall’alto.

Mi perdoneranno gli amici inglesi e anche la mia Londra, alla quale come avete potuto capire sono estremamente legato tanto da averle dedicato un libro, ma non c’era partita. Ogni volta che “il Comandante informava di aver cominciato la discesa verso l’aeroporto di Fiumicino” cominciavo il solito giochino con me stesso: ecco il Colosseo, il Vittoriano, il Cupolone, l’Olimpico, …

Non c’era e non ci può essere nessuna partita tra Roma e Londra (e qualunque altra città del mondo), se la mettiamo da un punto di vista di patrimonio artistico e culturale, così come non può certo esserci fra lo Stivale e qualunque altro paese per paesaggi, ambiente, cittadine medievali, borghi sperduti sulle montagne, le Alpi, gli Appennini.

Eppure in quel volo di rientro in Italia, come poi sperimentai maggiormente l’anno dopo quando assaporai ancora più da vicino la possibilità di trovare un bel job nella capitale britannica, compresi che c’era qualcosa che non andava nel modo di concepire la nostra società e il nostro mondo. Londra non è certo la perfezione, né tanto meno io mi considero un esterofilo: ma c’è un qualcosa che ci sta allontanando da un modello sostenibile di civiltà e questo qualcosa è la qualità della vita (e della nostra democrazia) e il perdurare di enormi lacune in seno ai diritti civili delle persone e degli individui.

Fu così che – innamorato della Politica e del Giornalismo – cominciai a pensare, a scrivere e tenere un diario, un blog, pubblico.

Avevo molti timori perché il primo tentativo era stato molto rallentato: avevo cominciato a scrivere un blog sulla mia fotografia, ma altra cosa era pensare come un blogger, ragionare sull’attualità, trovare le parole giuste per descrivere il proprio stato d’animo.

Per prima cosa però c’era da sperimentare “tecnicamente“, scegliere la piattaforma giusta: volli provare quella di wordpress.com. Dato che il blog fotografico lo tenevo su blogger (di Google), pensai di differenziare la scelta anche per capire quale fosse la migliore. C’era poi da scegliere un nome al diario: pensai che quel blog era di fatto nato mentre viaggiavo e così cercai quale fosse la quota di crociera. Lessi che approssimativamente gli aerei civili volano a diecimila metri di altezza, ma suonava bruttino dire “A diecimila metri” o “A dieci chilometri“! Poi in un sito in inglese lessi la cifra tonda dell’altitudine “Trentamila Piedi” e così nacque il nome di questa nuova creatura del web.

Adesso sono passati oltre tre anni ed è giunto – anche per questo spazio – il momento di crescere e di “diventare grandi“. Ho spostato il blog che si trova nello stesso spazio acquistato per il mio sito. Ho deciso di investire in un layout più professionale, cedendo un po’ di spazio alla pubblicità (che spero non sia troppo invasiva) e cercando una soluzione tipografica che mi sembra piuttosto elegante, in linea anche con la nuova moda del momento. Spero lo troviate maggiormente gradevole.

Vorrei spendere infine qualche parola di gratitudine per alcune persone.

Innanzi tutto per Stefania Porcelli e Antonio Romeo, che hanno accettato di scrivere su queste pagine. La prima, da New York, ci aiuta a capire un po’ più di America e di come si sente un’italiana nel Queens, un’emigrante e cittadina del mondo privilegiata; il secondo, che condivide con me la passione per gli sport e per il calcio, ci regala ogni settimana il suo campionato da interista, comodamente seduto sul divano di casa e che fa da controcanto al titolare della bancarella, che osserva la sua serie A sotto le zanne dell’elefante rosso-azzurro!

Ma questo blog non sarebbe nemmeno iniziato se non fosse stato per un grande numero di donne, di tutte le età, che sono state – consapevolmente o inconsapevolmente – fonte di ispirazione per moltissimi articoli.

Ovviamente le mie due donne di casa, la piccola e la grande, che si sorbiscono un papà e un marito “volontario dell’informazione“, che sogna di diventarne un professionista a tempo pieno e che è capace di eclissarsi per ore e ore scrivendo sul suo Mac e twittando dal suo iPad, pur di partecipare al grande gioco della libera stampa. Anche loro, con la nostra vita insieme, le nostre gite e i nostri viaggi, sono state protagoniste non soltanto di qualche articolo ma soprattutto dell’umore che li ha prodotti.

Ci sono poi le donne della mia vita, di quella enorme famiglia meridionale allargata che ho la fortuna di possedere: dalla vecchia zia superstite, con i suoi racconti dei bombardamenti alleati su Catania, alle mie dolcissime e piccolissime nipotine, con i loro sorrisi in grado di sciogliere un cuore d’iceberg.

Ci sono le amiche, di vecchia e di nuova data, le esperienze delle quali, specialmente con i loro figli, sono state fonte di riflessioni da mettere nero su bianco.

Ci sono le donne con le quali ho scambiato impressioni e delusioni sulla nostra Politica nazionale, donne che vivono dentro e fuori lo Stivale, vicino e lontano, donne con le quali è sempre stimolante confrontarsi.

E gli uomini, vi direte voi?

Beh, noi maschietti abbiamo ancora molte più opportunità nella società odierna delle femminucce: quindi per una volta voglio dedicare questo nuovo inizio soltanto all’altra metà del cielo, quella che ci ha messo al mondo, che ci sopporta e ci supporta, quella che ci ascolta, ci asciuga le lacrime, ci incoraggia, ci stimola e ci ricambia.

Trentamila Piedi sopra lo Stivale comincia con questo post una nuova fase della sua avventura, costruendo mattoncino dopo mattoncino una sua presenza più strutturata sul web.

A voi che lo leggete, assiduamente o saltuariamente, va il mio più sincero ringraziamento. Grazie di cuore.

E se qualcosa vi piace o vi fa arrabbiare non esitate a commentare qui o a condividere sui vostri profili sociali i pezzi: adesso condividere è ancora più facile, con la bella ed elegante barra che trovate proprio qui sotto. E soprattutto questo è lo scopo dei social network, quello di far sì che gli esperimenti – anche dei più piccoli – possano sognare di divenire grandi, aiutando a poco a poco, muddichedda dopu muddichedda, i nuovi lavoratori e imprenditori al tempo del web.

 

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