L’errore fatale e il gattopardo

 In POLITICA

Quando 1250 giorni fa, nell’ormai lontano maggio 2010, cominciai a tenere questo blog sapevo che molti dei miei post avrebbero avuto come spunto l’attualità politica. D’altronde lo avevo proprio scritto iniziando questo viaggio sopra lo Stivale.

Grazie alla riorganizzazione dei contenuti, che forse avete cominciato a vedere con nomi nuovi alle varie tematiche, mi sono reso conto di aver speso su argomenti inerenti la politica quasi 600 post, e forse saranno anche di più se considero i post collegati in qualche modo con la politica.

Due anni fa come ora, dopo un anno di blog, l’Italia entrava a vele spiegatissime nella crisi economica, soprattutto in forza della gravissima crisi del debito che aveva attaccato l’area euro. Di fronte al lassismo del Governo Berlusconi IV, paralizzato nella lotta intestina fra il Presidente del Consiglio e il Ministro dell’Economia, le pressioni dei mercati finanziari e un barlume di speranza nato alla periferia del Popolo della Libertà, il Governo andò sotto proprio nella votazione del Rendiconto Economico dello Stato, votazione che precede la discussione sulla legge di stabilità e quindi l’approvazione del Bilancio dello Stato. Ricorderete tutti la lista con i traditori che Berlusconi – incredulo – spulciava dal suo scranno di premier a Montecitorio e l’immediata ascesa al Colle per rassegnare le dimissioni, poi concretizzatesi qualche giorno dopo.

Fu chiamato quindi Mario Monti, ex commissario europeo al mercato interno e alla concorrenza, presidente della Bocconi e con una statura internazionale nemmeno confrontabile a quella di Silvio Berlusconi.

Su queste pagine sostenni all’epoca, e sarei pronto a farlo ancora, come fosse un bene che finalmente ci fosse un Presidente del Consiglio come Monti, dopo il decennio dominato dai due governi del Cavaliere. Un paese, sputtanato all’estero come non mai, veniva finalmente percepito come in grado di partorire un governo e una classe dirigente decente.

I primi giorni del Governo Monti furono onestamente perfetti, al di là della condivisibilità o meno dei provvedimenti: lo furono perché finalmente avevamo un esecutivo che decideva, senza meline, affidando al Parlamento il compito di fare solo la legge elettorale, che poi ovviamente le forze politiche non fecero.

Quello che a noi liberi pensatori di sinistra faceva piacere era soprattutto una cosa: finalmente anche in Italia la borghesia, il ceto conservatore, i famosi moderati (che onestamente si fa fatica a trovare adesso, visti gli estremismi in campo), potevano essere rappresentati da una moderna destra europea, come quella conservatrice britannica o quella popolare spagnola, come la CDU di Angela Merkel o come i gollisti in Francia.

Poi le cose cambiarono: man mano che le elezioni generali si avvicinavano, i partiti cominciarono ad alzare il tiro negli scontri e l’azione di governo cominciò irrimediabilmente ad annebbiarsi, con il risultato che del decisionismo dei primi tempi non si vide nemmeno l’ombra.

Quindi ci fu l’errore fatale: Monti – consigliato male e morso dalla bramosia della Politica – scese nell’arena elettorale e anziché dare la benedizione alla sua lista Scelta Civica, restandone comunque fuori, fu primo attore di quella lista (capo coalizione), si alleò con Fini e Casini, che il corpo elettorale avrebbe impiegato tre secondi per considerarli vecchi, e infine si lanciò in una pessima campagna elettorale da terzo incomodo, senza minimamente considerare che sarebbe potuto arrivare quarto e persino irrilevante. Il clamoroso errore costò caro al Professore: non soltanto personalmente, dato che così facendo si precluse la strada per il Quirinale, ma soprattutto finì per non essere decisivo al Senato, dove probabilmente sperava di esserlo, per poi varare un governo con il PD di Bersani, stemperando le velleità della sinistra del Partito Democratico e soprattutto la formazione di Vendola.

Quell’errore, insieme con l’ostinazione a votare Anna Maria Cancellieri per il Colle, dopo che il PD aveva proposto Romano Prodi, fu la fine politica dell’ex commissario europeo che divenne preda facile per i professionisti della politica partitica che siedono in Parlamento.

Ieri Monti si è dimesso dal gruppo che aveva fondato, dal movimento che sperava diventasse la costola italiana del Partito Popolare Europeo, in palese opposizione a chi vorrebbe tornare a un’alleanza con il PDL, partito che il professor Monti non considera sufficientemente europeo e quindi non può esservi alleato.

Per chi è di sinistra, al di là dei tweet satirici, delle battute (carina quella “Monti si dimette da Monti“), facili in questo momento come sempre quando qualcuno che è stato potente cade, questa è una pessima notizia. Perché se c’era una cosa da auspicarsi era che attorno alla borghesia illuminata di Scelta Civica, attorno alle sue personalità più illustri, si fossero raggruppate tutte le forze che non si considerano di sinistra, socialiste, socialdemocratiche ma che nello stesso tempo ripudiano ogni forma di populismo, da quello berlusconiano a quello grillino.

Sono convinto che fra molti sostenitori del centrosinistra oggi si stia deridendo (e molto) il Professore e non ci si rende conto che – con l’uscita di Monti dalla politica attiva e il suo ritirarsi ai contributi sporadici da semplice senatore a vita – finisce per il nostro Paese anche la sola idea di poter avere un centrodestra europeo, fermamente convinto che nell’Unione Europea, nel progressivo e inesorabile avvicinamento dei popoli del nostro Vecchio Continente, ci sia il futuro delle prossime generazioni e la prosperità delle nostre società.

Dopo tre anni di blog osservo che tutto sembra quasi voler tornare come prima, con Berlusconi ancora al centro della scena mediatica, specialmente dopo l’incredibile tramissione di ieri sera di Michele Santoro. Cosa abbia aggiunto di nuovo l’ennesima puntata della soap opera Ruby francamente non lo saprei scovare: forse che la presunta omosessualità della Pascale, e quindi il sottinteso che questo fidanzamento sia tutta una messa in scena, possa essere una notizia? Il fatto che Silvio Berlusconi – da premier – usasse la RAI è una notizia, nell’anno di grazia 2013? No, in verità non soltanto non lo è ma è anche offensivo che si trattino così gli italiani, confezionando una trasmissione televisiva – che dovrebbe essere di informazione – in uno squallido show soltanto per gli ascolti. Ha ragione Cacciari che ieri sera gridava di non poterne più. Ma quando il conduttore si domanda cos’altro dovrebbe succedere per far comprendere chi sia e chi sia stato Silvio Berlusconi francamente la risposta – amara per quanto vogliamo – è semplicemente nulla.

Evidentemente agli italiani è andata e va bene così ed è inutile pensare che una legge sul conflitto di interessi possa cambiare le cose, come continua a menarcela Marco Travaglio dalle pagine del Grillo Quotidiano. Agli italiani del conflitto di interessi non gliene importa nulla: perché non capiscono quale sia il problema che qualcuno – arrivato al potere – utilizzi tutta la propria forza mediatica per imporre e per disporre a suo piacimento di qualunque cosa e di chiunque. Perché sotto sotto noi ci auguriamo di essere fra quelli che prima o poi beneficeranno del tocco magico del Sacro Protettore Televisivo. E se non noi almeno i nostri figli. Ricordate le mamme e i papà delle olgettine?

La fine politica di Mario Monti, coincisa per caso con questa nuova edizione della telenovela delle Notti di Arcore, pone la parola fine a qualunque speranza affinché una politica più civile e più matura si possa avere anche nel nostro Paese. E vi confesso che mi dispiace perché se Monti fosse riuscito nell’impresa di regalarci un partito popolare di stampo europeo forse il mio voto, fosse solo per punire una sinistra troppo timida, l’avrebbe avuto. E invece siamo ancora qui a doversi schierare per evitare che i due populisti, i gemelli diversi della politica, abbiano successo.

Tutto ciò in perfetta linea con la vera nostra costituzione materiale che non è certo la Carta Fondamentale bensì il capolavoro di Tommasi di Lampedusa “il Gattopardo“: tutto cambia affinché non cambi mai veramente nulla.

 

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