Datemi un mattone

 In POLITICA

Se Rita Pavone dovesse cantare la sua famosa cover “Datemi un martello“, oggi l’adatterebbe con un “Datemi un Mattone“.

È ormai diventata una sorta di telenovela, una soap opera, questa dell’imposizione fiscale sugli immobili: francamente non se ne può più.

Adesso il PD ha anche ceduto – di nuovo – su tutta la linea e ha ritirato l’emendamento che prevedeva un’imposizione sulla prima casa per le rendite catastali più elevate. Di contro troviamo che la Tares, l’imposta sui rifiuti e sui servizi, terrà conto dell’indice ISEE, cioè quel parametro sistematicamente violentato per pagare di meno.

Poi non chiediamoci perché non cresciamo, perché non nascono imprese, perché le aziende straniere non hanno la minima intenzione di investire da noi. Siamo un paese basato sulla ricchezza immobile, un popolo che ritiene la casa – il mattone – un diritto divino e soprattutto intoccabile, come quegli stolti di pidiellini e di pentastellati continuano a ripetere.

Persino i sassi – in questo Paese – sanno che l’indice ISEE è profondamente ingiusto in quanto tiene conto dei redditi dichiarati e in un Paese ad alta evasione come il nostro vengono premiati gli evasori e condannati a sobbarcarsi il grosso dei servizi i lavoratori dipendenti e i pensionati, quelli che hanno il loro reddito principale tassato alla fonte.

Si continua nel nostro Paese a ritenere “ingiusta” un’imposta patrimoniale sugli immobili che in una qualunque altra nazione occidentale esiste ed è alla base di ogni sistema fiscale locale, pretendendo però gli stessi servizi tedeschi, francesi, inglesi o americani.

Non si comprende infatti che i grandi e piccoli patrimoni vorranno sempre investire sugli immobili, dove – anche grazie al mercato degli affitti in nero molto diffuso e quasi sempre subito dagli inquilini – avviene una speculazione sul mattone di fatto priva di alcun rischio, dato che nemmeno vengono individuati i proprietari di appartamenti in nero.

Abbiamo immobili che fanno letteralmente schifo e per i quali si vedono richieste folli da parte dei venditori, specialmente in città a forte traino pubblico – come Roma – dove il reddito pro-capite non è certo quello londinese.

Eppure il valore al metro quadrato è spesso più alto della capitale britannica!

Sono decenni che si attende la fantomatica revisione dei catasti, dato che abbiamo il paradosso che le case nuove sono correttamente accatastate e valgono persino di più di quelle al centro delle città, magari con valori di mercato che rasentano il triplo delle periferie.

Già, il valore di mercato.

Negli altri paesi è il parametro in base alla quale si paga l’imposta sull’immobile, così come sono previste delle detrazioni a seconda di quanto “mutuo” è ancora caricato sullo stesso. In altri paesi il patrimonio si valorizza, mentre da noi si parla di “rendita catastale” come se il possesso producesse appunto una rendita.

Da noi ancora siamo fermi al feudalesimo, dove persino gli immobili ricevuti in eredità – quasi tutti ne riceviamo, prima o poi, di eredità – siano dovuti, in nome dei beni di famiglia, e persino su questi non si devono pagare le tasse. A nessuno viene in mente che proprio in forza a questo viene alterata la libera competizione nel mercato del lavoro e nella società. Facciamo finta di essere capitalisti, però senza capitali di rischio, anzi a ben vedere senza capitali, a debito.

Siamo un paese dove la maggior parte delle persone vuole vivere di rendita, possibilmente ereditata, accumulando sempre più ricchezza da dare ai figli e infatti attacchiamo l’ex ministro Fornero che invitava i genitori a preferire gli studi per i figli anziché gli immobili.

Altro che articolo 1 della Costituzione: cambiamolo al più presto, perché non soltanto non è mai stato applicato ma è anche una solenne presa per i fondelli a chi crede che sia attraverso il proprio lavoro e il proprio merito che si possa trovare ragione di realizzazione nella società italiana.

Ed è soltanto perché la Corte di Cassazione ha detto che non posso più dirlo, ma questi sono proprio i giorni in cui verrebbe di gridarlo che siamo un paese di …

 

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