Il nemico quotidiano

 In POLITICA

Devono essere proprio in preda a fortissime crisi di astinenza, come quei tossici che farebbero qualunque cosa per assicurarsi la dose quotidiana di stupefacenti, i lettori del Fatto Quotidiano. Solo così mi spiego la necessità – per il vice direttore Marco Travaglio – di dover sempre scovare un nemico, un fantoccio contro il quale appiccare l’incendio. Come una Bestia che deve essere sempre alimentata di sangue e bava, così i lettori del Fatto possono ogni giorno soddisfare il loro bisogno quotidiano di nemici, avversari, di urla, di strepitii.

D’altronde il quotidiano fondato da Padellaro è l’unico giornale che sente il bisogno di scrivere in testata che non riceve finanziamenti pubblici, cosa che non lo rende di certo l’unico, dato che Repubblica, Corriere e Stampa – giusto per fare l’esempio dei principali quotidiani nazionali – non ne ricevono lo stesso. Quella scritta, mantenuta orgogliosamente sotto la testata, che si rifà alla trasmissione storica di Enzo Biagi, dei quali essi si sono autodefiniti gli eredi (facilmente non smentibili!), serve a tranquillizzare i lettori perché siano convinti che in redazione si renda conto soltanto a loro.

Così – in barba persino alle cinque W del giornalismo, che chiunque di noi alla scuola media, con i primi giornalini, ha imparato a dover rispettare – ecco che viene sparato oggi un editoriale che non c’entra assolutamente nulla con il Fatto del giorno. D’altronde immagino che il comunicato di Napolitano, del quale si è parlato qui ieri, ha certamente spiazzato la redazione di Via Valadier: quelle poche righe del Capo dello Stato valevano mille numeri del Fatto dalla sua fondazione e quindi lo spaesamento è più comprensibile.

Come fare allora a soddisfare il bisogno del sangue dei lettori-zombie? Allora bisogna trovare un nemico.

Per carità, libero Travaglio di scrivere quello che vuole, ovviamente.

Così oggi se la prende con i direttori dei quattro principali quotidiani, De Bortoli, Calabresi, Mauro e Napoletano, oltre che con il fondatore di Repubblica, Scalfari, al quale riserva ormai spessissimo corsivi al vetriolo, non ultimo un commento alquanto volgare sullo scambio epistolare con il Papa. Ora è assolutamente umano rosicare e molti giornalisti autorevolissimi su Twitter hanno tranquillamente ammesso il proprio “rosicamento” per il fatto che i due Papi abbiano “dialogato” su Repubblica, con Scalfari e Odifreddi, e non sui loro giornali. È perfettamente normale sperare e auspicare che il Papa ti scriva una lettera in risposta ad un editoriale. Un po’ triste è invece questo insultare (dire che la lettera di Francesco fosse un “bignamino del vecchio catechismo” e che Scalfari da “buon neofita” l’ha “scambiato per una rivelazione rivoluzionaria” lo trovo alquanto infantile e non all’altezza dell’intelligenza di Travaglio) e ridicolizzare l’evento che si è tenuto la scorsa settimana al Tempio di Adriano, in un’edizione speciale del Cortile dei Gentili, insieme al Cardinal Ravasi. Quest’ultimo viene persino definito da Travaglio “trombato eccellente nell’ultimo conclave, ma popolarissimo su Twitter“.

Ora io comprendo che gli spettacoli teatrali e televisivi dell’autodefinito erede di Indro Montanelli (sempre senza che il diretto interessato possa confermare il testamento)  siano decisamente più coinvolgenti, specialmente per la presenza di una delle più belle e più sexy attrici del nostro cinema e teatro, Isabella Ferrari, ma sminuire, screditare, prendere in giro chi si riunisce per discutere di qualcosa che non sia Berlusconi, la trattativa stato-mafia, le correnti del PD, la democrazia digitale di Grillo e si mettano a ragionare su Fede e Ragione, su come credenti e non credenti possano dialogare, ecco lo trovo quanto di più squallido si possa leggere su un giornale.

Marco Travaglio è stato un ottimo cronista giudiziario ma come spesso capita quando ci si monta la testa adesso è diventato soltanto uno show man, uno che quando non ha altri argomenti su cui riflettere imbocca la strada più semplice, quella dell’insulto.

Così Mauro e Scalfari vengono definiti la “Santissima Duità, secondo il modello vaticano con Papa ed ex Papa” e immagino lì, davanti a quella prima pagina, stuoli di lettori galvanizzati dall’aver ridicolizzato fondatore e direttore di Repubblica, che ormai per il Fatto è quello che il PD è per  Movimento Cinque Stelle.

Prende in giro Scalfari perché questi confessa di essere molto affascinato dalla figura del Santo di Assisi, sbeffeggiandolo sul fatto che l’ex direttore di Repubblica vendette la sua quota a De Benedetti per novanta miliardi di lire. Così si mettono in ballo anche i quattrini in maniera tale che i lettori del Fatto provino ancora più rabbia nei confronti di Scalfari, che ha la colpa di aver rischiato, fondato e costruito un polo culturale nel nostro Paese.

Ridicolizza De Bortoli e Ostellino, rei di non pensarla come Travaglio sul rapporto che la Politica (maiuscola) deve avere con la Magistratura. Prende per i fondelli Calabresi, chiamandolo arcivescovo, e infine se la prende con l’ultimo direttore, Virman Cusenza, l’unico di un giornale a tiratura più regionale, il Messaggero, che poiché è di proprietà della famiglia Caltagirone per definizione deve essere un palazzinaro nell’animo.

Alla fine, i lettori saranno contenti, avranno la loro buona dose di sangue e merda, in perfetto stile Pulp Fiction, e potranno comprendere meglio quale sia la linea editoriale del quotidiano.

A coloro che lo leggono per cronaca rimane (si fa per dire) il dubbio che certi editoriali tradiscano in realtà il grande rosicamento che fra i cinque direttori con i quali valga la pena dialogare su Fede e Ragione, né Padellaro né Travaglio possano partecipare, dato che non hanno nessuno predisposizione all’ascolto e si sono autodefiniti depositari della Verità.

 

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