Il falso patriottismo
Come un vecchio disco di vinile che salta e si inceppa sempre sullo stesso solco, come nella sequenza iniziale di The Truman Show dove Jim Carey rivive ogni giorno sempre la stessa scena, allo stesso modo – stavolta su due fronti diversi – il nostro capitalismo si trova di fronte al solito e falso interrogativo: mantenere o meno l’italianità di due importanti aziende, Alitalia e Telecom Italia.
E se per l’ex compagnia di bandiera sembra il remake del 2008 – che costò peraltro qualche aggravio ulteriore nella sconfitta alle elezioni politiche di Veltroni e del suo neonato PD – per Telecom Italia è forse una primizia assoluta.
Non poteva non mancare la presa di posizione di Beppe Grillo, con il suo solito garbo fascistoide (non uso la parola fascista per non turbare i nostalgici del Duce) in uno dei soliti post terroristi, che chiede al Governo di dirottare i fondi per la TAV (che nessuno vuole, sostiene Grillo, nemmeno il governo francese) verso l’azienda guidata da Bernabé e oggi in procinto di passare a Telefonica, la prima compagnia spagnola.
Ora essendo stato un dipendente indiretto di Telefonica dall’agosto del 2001 all’ottobre del 2002, potrei apparire la persona meno indicata per difendere un’operazione simile, soprattutto perché quello stop alle attività di IPSE mi brucia ancora!
Tuttavia in un sistema capitalistico bisogna ragionare in maniera “capitalista” e non con l’appartenenza nazionale o meno.
Mi spiego meglio: quando nel 2008 l’Alitalia fu venduta (o forse svenduta, dato che i debiti ce li siamo sorbiti noi contribuenti) alla cordata patriota, per fare un bel piacere a Silvio Berlusconi che rientrò trionfante a Palazzo Chigi, il piano industriale presentato da Colaninno e soci fu incredibilmente miope. Si preferì retrocedere l’Alitalia di fatto a una compagnia regionale, intestardendosi sulla tratta fra Linate e Fiumicino, quando era evidente a chiunque che l’Alta Velocità ferroviaria avrebbe fagocitato la stragrande maggioranza dei viaggiatori. Non mi capita mai di andare a Milano, ma se per lavoro dovessi andarci e avessi qualche meeting in centro, per quale ragione dovrei andare a Fiumicino, prendere l’aereo e atterrare a Milano, quando fra le due stazioni centrali delle nostre due principali metropoli bastano tre ore?
Eppure in nome dell’italianità, come se per una compagnia aerea fosse importante la bandiera sulla livrea e non la qualità del servizio erogato ai clienti, il nostro Paese ha preferito sobbarcarsi di quattro miliardi ulteriori di debiti (l’IMU sulla prima casa tanto per dare un’ordine di grandezza delle cifre in ballo!), restare con una compagnia minuscola rispetto ai colossi mondiali (a parte i voli per gli USA, Alitalia ha rinunciato ai mercati asiatici che hanno maggiore redditività), avere meno concorrenza (è scomparsa Air One), specialmente su alcune tratte (già citata Milano-Roma), con il conseguente aumento dei prezzi, e infine trovarsi dopo cinque anni nella stessa identica situazione, con l’aggravante che Air France ha adesso qualche problemino anche lei e quindi probabilmente otterrà l’Alitalia ad un prezzo ancora più basso di quello che cinque anni fa voleva sobbarcarsi, peraltro caricandosi di debiti. Prezzo di poche centinaia di milioni, stando all’ultimo servizio del TG di SKY, per salire al 50,1% delle azioni e garantirsi il controllo.
Oggi è la giornata di Telecom Italia e la reazione è sempre la stessa: la società diventa di fatto spagnola (o lo diventerà a breve) e noi siamo a discutere se sia giusto o meno che “le nostre telecomunicazioni” finiscano in mano straniera. Ora a parte il fatto che la Spagna è in Unione Europea e quindi straniero fino a un certo punto, non è che Telefonica produca yogurt e quindi di Telecomunicazioni non ne sa nulla!
A meno di Beppe Grillo, che notoriamente è un tuttologo e quindi in grado in pontificare su tutto (immagino a breve un dialogo in simultanea e in streaming con Benedetto XVI e Francesco per superare il duo Scalfari-Odifreddi che si è diviso i due papi su Repubblica), ma che razza di classe dirigente e politica abbiamo se basa le valutazioni industriali sul passaporto di una società?
Mi si dirà: si temono tagli occupazionali.
Ma perché con l’attuale assetto azionario di Alitalia e Telecom l’occupazione è florida? Non è forse la compagnia telefonica sottoposta al contratto di solidarietà? Quali garanzie per l’occupazione possono garantire soci che non si occupano di telecomunicazioni quali Generali e Mediobanca? Ripeto, sono stato vittima degli spagnoli nel 2001, ma si può sostenere che Telefonica non sappia operare nelle TLC?
Ciò che detesto nel nostro Paese, e in qualunque altro Paese, è l’eccesso di nazionalismo e di patriottismo. Se sono nato in Italia, se sono di religione cattolica, se sono meridionale è un fondamentalmente un caso.
Se fossi nato in Arabia Saudita sarei musulmano con ragionevole certezza; se fossi nato in Finlandia, oltre a sopportare meglio il freddo, sarei probabilmente luterano.
Questo patriottismo così esteriore, che diventa fondamentale di fronte all’estetica (la compagnia di bandiera!), che diviene un fattore dirimente durante le elezioni, ecco tutto questo amore di patria (“le nostre telecomunicazioni!“, grida Grillo!) dov’è poi quando si tratta di valorizzare i beni, soprattutto culturali, che abbiamo?
Dov’è quando deturpiamo il paesaggio, l’ambiente e le nostre città?
Dov’è il nostro amore per l’Italia quando evadiamo le tasse, incitiamo alla violenza negli stadi, quando devastiamo la scuola pubblica, soffochiamo la sanità pubblica, quando non garantiamo ai figli di altri italiani, soltanto con un colore della pelle diverso e che professano un’altra fede, gli stessi diritti che i nostri figli invece hanno per volontà quasi divina, solo per quella colossale botta di culo per cui la cicogna li ha lasciati sotto un cavolo emiliano e non sotto la soia cinese?
È veramente così importante che l’Alitalia abbia la sede legale alla Magliana o alla Malpensa oppure che voli, con una buona qualità di servizio, a prezzi decenti per chiunque (ho fatto i biglietti per scendere a Catania nel mese di Marzo: vi sembra normale pagare cinque volte tanto per fare una tratta di cinquanta minuti, come un mio collega è forse costretto a fare?) e magari con la possibilità di raggiungere altri Paesi per favorire il turismo in quello che diciamo sempre essere il più bel paese del mondo?
Ed è così essenziale che l’ex monopolista delle telecomunicazioni continui a irradiare bit tricolori sulle proprie reti, anche a scapito della qualità del servizio (penosa l’ADSL di Telecom!), senza nessun investimento serio per migliorare la telecomunicazioni (almeno quelle fisse)?
Il tutto in nome dell’italianità? Ma quando noi italiani la smetteremo di fare i provinciali e cominciamo a pensare che siamo soltanto un puntino del nostro pianeta e che siamo condannati (io dico per fortuna) a vivere in mezzo agli altri paesi e che l’autarchia è una ricetta buona per i minchionatori professionali?
p.s. Ciò che è importante nelle telecomunicazioni e in qualunque altra industria di qualunque paese non è di chi sia la proprietà dell’eventuale erogatore di un certo servizio. Ma dove si fa la ricerca, la progettazione, dove si trova la mente, il know-how. Siamo sempre bravi a prendere in giro gli altri, ad esempio quei nove milioni che nella giornata del 20 settembre si sono messi in fila per comprare un iPhone, persino quel coattissimo modello oro, e non ci rendiamo conto che innanzi tutto non abbiamo nessuna azienda (noi patrioti italiani) in grado di produrre un simile marketing (e stiamo parlando del lusso dell’IT, noi che abbiamo il lusso della moda!) e – secondo e non meno importante – che dietro ogni apparecchio della Mela, accanto alla solita informazione del “Made In” c’è il “Designed by Apple in California”. Perché volente o nolente a fare i lavori ripetitivi son bravi tutti. Ma l’eccellenza del lavoro della mente, dall’operaio artista della Ferrari al progettista innovativo, non è qualcosa di replicabile.