Più scuola per tutti

 In LIFE, SCUOLA

Avevamo appena terminato di pranzare, in una mensa volutamente e meritoriamente definita Ristorante Aziendale dalla società per la quale lavoravo all’epoca, quando nel grande stanzone dove progettavamo la nostra rete mobile del futuro, quella che poi fu abortita nella notte di Halloween, cominciarono a sbucare sullo schermo le prime breaking news. In un’epoca ancora primordiale per le velocità dei collegamenti, con i siti internet dei principali quotidiani presi d’assalto e con le dirette streaming ancora singhiozzanti e snervanti per l’ascoltatore, noi giovani ed entusiasti ingegneri di rete in Ipse 2000, l’operatore che avrebbe dovuto comunicare meglio e che invece fu zittito dopo un mese, restammo muti.

Era bellissimo lavorare in quella stanza: quante risate, quanti divertimenti, quanta gioventù. Pochi avevano compiuto 30 anni e forse i quarantenni, quella categoria alla quale adesso appartengo, si contavano sulla punta delle dita e ricoprivano funzioni apicali che all’epoca ci sembravano altissime e che adesso – col senno di poi – appaiono assolutamente normali.
Tutti noi, sempre così ciarlieri, noi italiani, meridionali e settentrionali, e spagnoli, dai Paesi Baschi all’Andalusia, rimanemmo senza fiato e senza parole di fronte alle immagini, a dir la verità nemmeno di sufficiente qualità, che provenivano da Manhattan.
Passata una mezz’oretta i portali di Repubblica e Corriere si bloccarono: troppi accessi per le nostre povere reti dell’epoca, troppa banda da succhiare.
Così me ne scappai a casa, nel minuscolo bilocale che dividevo con mia sorella.

Il primo pensiero andò ai nostri amici siculo-americani che avevano da poco lasciato la loro abitazione catanese per avventurarsi nel Bahrein. Alla vista della prima torre sbriciolarsi al suolo come un grissino, in un modo che nessun regista a Hollywood aveva ancora soltanto lontanamente concepito e realizzato in pellicola, pensammo: “adesso gli Americani raderanno al suolo mezzo Medio Oriente“. Proprio perché immaginammo subito che in quella regione andavano a nascondersi i responsabili dell’attentato, pensammo ai nostri amici da poco trasferiti nella penisola araba e che sicuramente sarebbero stati molto più in pericolo di noi, al caldo delle nostre copertine che l’autunno ormai prossimo avrebbe portato.
Sono trascorsi dodici anni e trovo insopportabile – ora come allora – l’idiozia di complottisti e l’arroganza di chi osserva la Storia dell’umanità con gli occhi dell’ultrà di curva, generalizzando e pontificando.

Basta farsi un giro su Twitter e leggere le risposte a un cinguettio di Vittorio Zucconi, in cui il giornalista di Repubblica ripensa al figlio quasi perduto in quella mattina terribile per l’America.

Seguo Vittorio da tanto tempo, ho studiato molto a partire dai  suoi suoi libri, veri e propri gioielli del giornalismo da inviato e corrispondente dall’estero, e so bene che il figlio, all’epoca collaboratore di un congressista americano, poteva rimanere colpito dal quarto aereo che poi si schiantò in Pennsylvania. Eppure le risposte a un tweet personale, nel tentativo di dare una dimensione umana a quella assurda tragedia, diventano strumento di tifoseria, confrontando due eventi, i due 11 settembre, che non possono certo confrontarsi semplicemente per il fatto che il mondo del 1973 e quello del 2001 non sono minimamente confrontabili.
Generalizzare e banalizzare sono ormai le malattie dei nostri tempi, vissuti fra tweet e post, in una frenesia che non ci lascia il tempo di studiare e analizzare – con lenti giuste – gli eventi ai quali assistiamo.

Così Barack Obama diventa un cow boy, senza nemmeno prendersi la briga di leggere retroscena, commenti e articoli che provengono dall’altra parte dello Stagno.

Scoprirebbero, i nostri amanti dei film western, che a volte la vita è molto più complicata: comprenderebbero come la decisione di affidarsi al Congresso, partorita dopo la consueta passeggiata serale con Denis McDonough, il Capo dello Staff della Casa Bianca, il braccio destro del Presidente, non era che il frutto della frustrazione di un uomo per niente bellicoso e che – da buon avvocato e docente di Diritto Costituzionale – stava cercando tutte le strade costituzionali per condividere un ordine che in realtà, proprio quella Costituzione, affida solo e soltanto a lui il potere di dare il via ai raid.
Come non ricordare i tweet di febbraio, qualche istante dopo la storica abdicazione di Benedetto XVI: c’era chi si chiedeva cui prodest, e chi si domandava per quale motivo i media erano così interessati a quell’evento che riguardava una religione, anzi una confessione religiosa per essere precisi. Indimenticabile in tal senso il legame che Loretta Napoleoni, economista vicina ai grillini, sospettò fra le dimissioni del Papa e l’imminente apertura delle urne che portò alla non vittoria di Bersani e all’esplosione del Movimento di Grillo, con tutte le divertenti performance teatrali di Lombardi e Crimi, col deputato romagnolo e i suoi microchip, le scie chimiche, i complotti mondiali contro Grillo e la gente.

E se scappa a tutti un sorriso di fronti alle frequenti telefonate di Francesco, non può che suscitare sorpresa, sempre per la portata storica, che un Pontefice risponda alle domande di un grande pensatore laico, Eugenio Scalfari, che su Repubblica quest’estate ha posto al papa che porta il nome del Santo di Assisi. Ma la battuta, il tweet, il post satirico, il fotomontaggio devono essere un must del tempo. Twitto ergo sum, dicono i moderni socratici.

Ecco di fronte a quello che un evento storico ormai suscita, con la ricerca quasi ossessionata alla battuta (o all’insulto dipende dall’evento!), semplificata dai nuovi strumenti di comunicazione, se potessi rivolgerei un appello alla Ministra dell’IStruzione Carrozza: potenzi a dismisura lo studio della Storia nelle nostre scuole, di ogni ordine e grado.

Non è possibile sfornare una legione di twittatori che abbiano la loro formazione soltanto attraverso la rete, senza metodo storico e senza supporto scientifico. Vale per l’11 settembre, vale per il Papa, vale per la guerra, vale per tutto.

Serve che i nostri giovani, ormai bombardati quotidianamente da stimoli di ogni genere, recuperino la curiosità di capire perché certi eventi non sono normale cronaca ma diventano parte della storia dell’umanità.

Ho studiato al Liceo Scientifico ma penso che sia una pessima notizia quella dei giorni scorsi sulla scarsa frequenza del Classico. Ho la sensazione che la corsa al progresso tecnologico ci abbia fatto perdere di vista che non c’è progresso che tenga che sia basato soltanto sulle macchine e sulle capacità di queste. Sarebbe opportuno capire – ad esempio – che soltanto attraverso uno studio appropriato delle conquiste del mondo del lavoro, dei sindacati, dei diritti dei lavoratori, del progresso della nostra società, plasticamente evidente dell’incredibile aumento delle aspettative di vita media, passa un progresso sostenibile e accettabile per l’umanità. Ma per fare ciò la scuola deve tornare a essere quella magistra vitae che forse ormai ha smesso di essere, producendo soltanto numeri per statistiche e dati da analizzare più in base a parametri economico-finanziari che sociali.

Senza sapere chi siamo, da dove veniamo e perché abbiamo intrapreso un certo percorso nella vita della nostra società, potremo essere iperconnessi, potremo vedere tutto in streaming, potremo persino crescere economicamente di nuovo, come Confindustria oggi pare di sostenere. Ma non sarà mai una crescita sociale, uno sviluppo sostenibile, un progresso sociale erga omnes.

Sarebbe soltanto un’operazione algebrica per i freddi conti economici, nulla per cui valga veramente la pena di vivere.

Auguri di Buon Anno Scolastico a tutti i nostri scolari e ai nostri studenti, di ogni ordine e grado, che in questi giorni rioccupano i banchi delle nostre sgangherate scuole.

E auguri ai loro insegnati, di ruolo e precari, nelle mani dei quali mettiamo le vite e le intelligenze dei nostri cari: che le scarse risorse e che i pochissimi soldi che la collettività dà loro non facciano perdere l’entusiasmo di educare i nostri bambini e i nostri ragazzi.

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