Il dovere della minoranza

 In POLITICA

Ho letto il corsivo di stamattina di Massimo Gramellini su la Stampa e ho ripensato al discorso che ieri sera a Bologna ha tenuto Matteo Renzi.

Ha ragione il buon Massimo: troppi notabili democratici si stanno posizionando sul carro del sindaco di Firenze e questo non è un bene. Non soltanto per le ragioni che il vice direttore del quotidiano torinese afferma, ma anche (e soprattutto) perché è necessario che in un partito plurale la minoranza ci sia e faccia valere le proprie ragioni.

Credo che in questo momento Matteo Renzi non abbia veri rivali alla segreteria del PD o a una eventuale leadership del centrosinistra alle prossime elezioni (per quanto possono valere gli altri minuscoli partitini è chiaro che è al PD che spetta la guida della prossima coalizione).

Ma è proprio per questa ragione che i candidati più spostati a sinistra, come Civati o Cuperlo, mantengano la loro linea, senza salire sul carro del rottamatore, perché non soltanto è necessario che nel Partito Democratico ci siano differenti vedute (se si chiama democratico un motivo ci sarà, no?) ma perché è auspicabile che quanti non si riconoscono totalmente nella linea più centrista del sindaco, e magari preferiscono un posizionamento più marcatamente di sinistra, abbiano una loro rappresentanza e così possano magari incidere maggiormente.

D’altronde Matteo non ha mai fatto mistero di avere in Obama un modello e quindi di voler costruire il suo PD sul modello del fratello maggiore americano: ebbene magari non le chiameranno correnti ma il Democratic Party pullula di diverse sensibilità e di diverse aree culturali, da quelle più liberal (che in US significa di sinistra) capitanate da Nancy Pelosi, a quelle più centriste alle quali lo stesso Obama e BIll Clinton prima di lui possono iscriversi.

È chiaro che sulle questioni fondamentali il partito deve essere unito e si spera che lo scandalo dei 101 (o più) traditori di Prodi non si verifichi mai più.

Ma da questo ad annientare le posizioni – soltanto per vincere – ne passa.

Abbiamo trascorso venti anni a votare pro o contro Berlusconi: mi auguro non si passino altri venti a discutere di correnti e spifferi.

E soprattutto di pensiero unico e di uomini della provvidenza credo se ne siano visti fin troppi.

 

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