Prigionieri del pezzo di carta
Ieri a Palinuro, su una delle più belle spiagge d’Italia (e quindi del mondo intero), si è consumata una delle tante tragedie del mare, che colpiscono le nostre coste durante l’estate.
Un uomo, proveniente da Sala Consilina in Campania, è morto dopo aver accusato un malore, probabilmente a causa dello sforzo e dello stress per salvare – a sua volta – bagnanti poco esperti che rischiavano di annegare.
La notizia è già commovente così, credo: si può aggiungere l’età, 45 anni, giusto per dare l’idea di una vita abbastanza giovane.
Quasi tutti i giornali italiani, dalla carta stampata ai TG, fino al web, hanno invece titolato con la professione dell’uomo: avvocato.
Come se l’aver aggiunto questo titolo di studio al titolo “L’avvocato eroe” cambiasse sostanzialmente l’evento o desse alla stessa tragedia un qualche pathos aggiuntivo.
Sarà perché mi trovo all’estremo Sud dell’Italia e vivo la maggior parte del mio tempo nella Capitale, e in entrambi i luoghi un “dotto’” non si nega a nessuno, sta di fatto che questo episodio mi ha riportato alla mente un fatto che non credo abbia tanti riscontri all’estero e cioè che noi siamo come prigionieri del pezzo di carta.
Tutti, me incluso, che ancora nel mio studio catanese tengo alla parete la bella pergamena della mia laurea, senza che nemmeno possa esercitare la libera professione non essendo più iscritto all’Ordine (altra follia tutta italiana, retaggio del Fascismo, che dopo 80-90 anni ancora non siamo riusciti a debellare).
Identifichiamo le persone con il pezzo di carta che sono riusciti a conseguire nella vita, come se questo fosse il punto di arrivo e non di partenza di qualunque carriera professionale e lavorativa si voglia intraprendere. Vediamo con riluttanza e talvolta con fastidio persino chi voglia mettersi in gioco magari scegliendo strade diverse, percorrendo cammini differenti o distanti dal percorso di studi affrontato, intraprendendo vie per la propria soddisfazione e realizzazione professionale e di vita che spesso non sono propriamente derivate dal pezzo di carta appeso al muro!
Ci vedo in questa prigionia, in questo vivere perennemente attaccati al titolo di studio, come se fosse un diploma o una laurea a caratterizzare una persona e persino un eroe, come nel caso dell’uomo morto ieri in spiaggia, una delle cartine di tornasole dell’immobilismo italiano nel mondo del lavoro e dell’istruzione. Considerarsi arrivati nell’istante in cui il Presidente della Commissione di Laurea ti proclama dottore, mentre dovrebbe essere chiaro che nel mondo iper competitivo dove ci è stato dato di vivere, quello può essere sì un momento di soddisfazione ma comunque un mero step nel percorso di vita e di carriera.
E così come la deformazione professionale, insita in ciascuno di noi tanto che abbiamo medici ridicoli che parlano con termini scientifici con chi non ne capisce una mazza, senza rendersi conto dell’esilarante effetto che abbiano sull’interlocutore o ingegneri che parlano come se il mondo fosse bianco e nero, fatto di bit e di calcoli strutturali oppure psicologi che analizzano persino gli SMS che vengono scambiati fra amici, anche questa sorta di catalogare le persone in base al titolo di studio la trovo la dimostrazione di un provincialismo che non ci può mai far uscire dalla crisi strutturale, economica, sociale e culturale nella quale l’Italia intera è ormai precipitata.
Comunque a quest’uomo campano che ha dato la vita per gli altri, non è certamente servita la sua laurea in Legge, l’esame di procuratore e l’esercizio della professione forense per capire che di fronte a sprovveduti in mare bisognava tuffarsi.
È bastato il gran cuore che aveva e che forse ha ceduto per lo sforzo e lo stress della tragedia.
Che riposi adesso in pace.
Grazie dell’esempio.