Prigionieri del presente

 In POLITICA

Sono due le cose che invidio fortemente agli americani: la loro capacità di possedere vision e la loro incredibile coerenza nell’esercizio della responsabilità.

La vision, che noi dovremmo rendere in italiano con la parola immaginazione, consente loro di non fermarsi sul presente, sul hic et nunc, ma di studiare il passato e il presente con lo scopo di immaginare il futuro.

Ciò consente all’economia americana di uscire dai cicli economici negativi molto più velocemente di quanto non facciano gli altri paesi occidentali.

Ma accanto a questa loro innegabile capacità di essere sognatori, che consente loro di avere l’impresa nel proprio DNA, vi è anche il grande senso di responsabilità.

Buck stops here“, diceva il Presidente Harry S. Truman, il secchio termina qui, la responsabilità è in capo a me, intendeva affermare il Presidente, perché qualcuno che prenda decisioni prima o poi deve esserci.

Mi è venuto in mente questo detto americano quando ho rivisto qualche giorno fa su History Channel il documentario sulla cattura e uccisione di Osama Bin Laden: la responsabilità – dopo averne condiviso rischi e opportunità – era solo in capo ad una persona: il Presidente degli Stati Uniti. Lui ha dato l’ordine e lui si sarebbe beccato le pernacchie e giocato la rielezione, qualora avesse fallito. Altrimenti sarebbe stato il vincitore di quell’azione. Come poi avvenne. Oneri e onori.

Nel nostro Paese siamo invece ostaggi del presente e dello scarso senso di responsabilità a qualunque livello: il primo non ci consente di immaginare, di pensare ad un futuro realizzabile e non utopico, e la costante attenzione rivolta al nostro passato ci impedisce comunque – essendo ancorati al presente – di giudicare il nostro passato con l’occhio della Storia, cercando di imparare da essa e ponendo i giusti correttivi per ricavarne benefici nel futuro.

Preferiamo invece vivere in una cronaca permanente, in una sorta di grande stadio dove l’insulto fra le tifoserie è la regola e il rifiuto della figura arbitrale è la norma.

Ad accompagnare ciò vi è anche una totale assenza – a qualunque livello – del concetto di responsabilità, prevalendo piuttosto lo scaricabarile. Non riuscire ad individuare la corretta responsabilità, per via delle maglie burocratiche e sociali troppo strette, porta drammaticamente il nostro paese a partorire pseudo-leadership, quali quella di Berlusconi a destra o di Grillo nel M5S, capi che non mirano a far crescere moralmente la società ma soltanto a soddisfare il loro insaziabile ego e la loro smisurata vanità. Così anziché disegnare dei sogni realizzabili gridano alla pancia del Paese, spronano il primo a ribellarsi allo Stato, come se non avesse mai avuto incarichi e responsabilità, il secondo invece prova a sobillare le folle distogliendo dai veri problemi e ponendo al centro dell’attenzione mediatica se stesso, con il risultato che la sua principale attività imprenditoriale macina fatturato pubblicitario a gogò.

Ma il problema è che oltre la metà degli italiani crede a questi due imbonitori proprio perché a noi – come popolo – manca immaginazione e senso di responsabilità. E anche all’altra parte della mela, quella che si riconosce – teoricamente – nei valori della solidarietà e della sinistra, spesso la prima, l’immaginazione, manca del tutto, pensando ancora a un mondo ancorato a modelli di riferimento e sociali tipici del Novecento mentre la responsabilità è declinata cum grano salis, per evitare che qualcuno possa bruciarsi davvero con il cerino e tutti possano comunque riciclarsi sempre nel grande gioco della Politica.

Il risultato sono venti anni di stagnazione, salvo quei due-tre anni a cavallo della prima legislatura dell’Ulivo quando la congiuntura favorevole a livello internazionale portò molta ricchezza e anche molto lavoro in determinati settori (mio incluso), salvo poi ritornare al classico appiattimento, aspettando che un altro uomo della Provvidenza riesca finalmente a cacciarci fuori dai guai e a rimboccarci la notte le coperte.

Siamo ancora molto più sudditi di quello che pensiamo e ben lontani da essere cittadini.

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