Si fa presto a dire giovani

Premesso che se fossi stato in Parlamento avrei fatto come Pippo Civati e non avrei partecipato al voto di fiducia al Governo, ieri sera ascoltando Enrico Letta da Fazio, e confrontandolo con Matteo Renzi dell’altra settimana, ho pensato che fra i due c’è un abisso di competenza ma che il primo – che godrebbe del mio voto alle elezioni – non riuscirebbe mai a vincere una campagna elettorale.

Se c’è un lascito che il berlusconismo ci ha dato, in ogni settore della politica, sinistra o centrosinistra incluso, è che abbiamo confuso le elezioni con gli spot elettorali e gli slogan.

Matteo Renzi è sicuramente più mio coetaneo rispetto a quanto non sia Enrico Letta, ma politicamente – se dovessi scegliere fra questi due democristiani – non esiterei un minuto a mettere la mia croce sul nome di Letta. Eppure – in un ipotetico confronto elettorale con il centrodestra – nonostante abbia solo 9 anni più di Renzi, Enrico Letta avrebbe molte più difficoltà, perché è un uomo che ama ragionare e non per forza giocare con le battute ad effetto.

Renzi probabilmente sarà il prescelto dalla coalizione (o da quello che rimarrà) per la sfida alla prossima premiership, specialmente se dovesse diventare un’elezione diretta del Capo dello Stato in un sistema semipresidenziale.

Politicamente però l’idea di centrosinistra che egli propone è molto più conservativa di quella di Letta, molto più vicina al vecchio Labour blairiano – fallimentare adesso – che ad un Partito Democratico di impronta obamiana, e questo a dispetto della confusione che lo stesso Renzi spesso compie in TV, mescolando insieme Blair, Clinton, Hollande e Obama.

Sarò rimasto l’ultimo romantico ma a me l’idea che bisogna scegliere un leader soltanto in base alla carta d’identità e alla sua capacità di fare battute nei talk show mi sembra aberrante, anche se mi rendo conto che fino a quando ci saranno due professionisti dello spettacolo nell’agone politico questa sembrerà sempre l’idea vincente.