Parole da bandire
Il nostro Paese ripartirà quando finalmente saranno consegnate alla Storia parole come “casta” e “inciucio“: sta diventando infatti il modo più semplice per giustificare qualunque presa di posizione. Ormai tutto è diventato casta: abbiamo la casta dei politici, dei giornalisti, dei dipendenti pubblici, degli insegnanti. Chiunque sia altro rispetto a chi noi pensiamo di rappresentare diventa inesorabilmente casta, additato quindi come spreco per la collettività.
Così, di fronte ad un accordo politico per uscire dallo stallo nel quale siamo precipitati a causa dei risultati elettorali di due mesi fa, tutto diventa inciucio, sistema molto comodo per non argomentare a pieno il proprio dissenso.
Sarebbe stato auspicabile un altro tipo di governo, non v’è dubbio. Ma di fronte ad un tripolarismo, come partorito dalle urne, e ad una delle tre parti che vuole conservarsi illibata fino a quando – sperano – arriverà il loro turno di governare, era inevitabile – purtroppo – che un governo fra chi se le è suonate di santa ragione in campagna elettorale veniva partorito.
Ma affinché si faccia un salto in avanti per la democrazia è il linguaggio politico che deve cambiare: non possiamo ridurre tutto a caste e inciuci, perché non si può andare troppo lontano. Perché sbraitare contro il sistema, il regime, è sempre troppo comodo attraverso una bella tastiera: poi arriva il turno delle decisioni e anche un popolo notoriamente smemorato come siamo noi italiani ad un certo punto si rompe di ascoltare parole vuote, come casta e inciucio, e vuole, da chi si professa alternativo al sistema, fatti.
E su questi fatti si verrà poi giudicati.
In bocca al lupo a maggioranza e opposizione: in un paese normale si ha bisogno dell’una e dell’altra.