La gente, la piazza e il Palazzo

 In POLITICA

20130421-085721.jpg

In questo fotomontaggio, ripreso dal sito di Repubblica, sta tutto il dramma che abbiamo vissuto in questi giorni qui a Roma e davanti ai teleschermi in tutta Italia.

Le lacrime di Pierluigi Bersani e il sorriso beffardo e festante di Silvio Berlusconi: e sono francamente surreali le reazioni che in rete si leggono contro l’ex segretario del PD che ha pagato, carissimo e sulla sua pelle, le divisioni di un partito che ha dilapidato, in meno di sei anni, non soltanto il 10% dei consensi ma soprattutto l’enorme aspettativa che nel Paese si era avuta di poter finalmente avere un vero partito riformista di centrosinistra, che la finisse con la divisioni in cattolici e laici e soprattutto che volgesse lo sguardo più a sinistra che al centro.

Bersani ha perso perché la sua linea, quella del governo del cambiamento e del presidente condiviso, si è scontrata non tanto con l’autorevolissima candidatura di Stefano Rodotà, ma soprattutto con l’inadeguatezza di una classe dirigente e persino di una nuova compagine parlamentare, molto attenta ai giochi di potere e di ruolo all’interno del PD che al bene dell’Italia.

Un partito che brucia due tra i suoi fondatori e si trova costretto a chiedere una rielezione al presidente uscente, perché non in grado di fornire certezze sui numeri e sulla tenuta del partito stesso, è la dimostrazione che tutti gli sforzi per far nascere un centrosinistra moderno ormai sono stati vani.

Ma è tutta la classe dirigente del partito a portare enormi responsabilità: Bersani porta su di sé colpe che non sono tutte sue ma le paga perché il PD è comunque l’unico partito strutturato e il segretario paga anche la sua poca leadership nel momento decisivo.

Ma non c’è solo l’esponente piacentino.

Rimane imperdonabile – a mio avviso – che Matteo Renzi e i suoi abbiano deciso di portare lo scontro interno durante l’elezione del Presidente della Repubblica. Dopo il pre-incarico a Bersani e le voci che davano per quasi possibile l’inizio di un vero cambiamento, Renzi e i suoi hanno cominciato una serie di distinguo, condita con una fretta inutile e ingiustificata. Hanno portato dentro il Palazzo le logiche di Twitter e dei Social Network, confondendo il processo decisionale con la totale assenza di costruzione e mediazione.

E rimane surreale che Renzi, che afferma sempre di fare le battaglie a viso aperto e di dire le cose sempre in faccia, non abbia reso noto i contenuti del colloquio con Massimo D’Alema, cinquanta minuti di incontro con l’ex Presidente del Consiglio, ancora una volta decisivo – insieme ai suoi – per l’affossamento delle candidatura di Prodi. E trovo assurdo che non si sia votato Rodotà perché avrebbe fatto prevalere l’ipotesi di accordo con il Movimento Cinque Stelle, preferendo invece la partenza di un governissimo, che ormai è l’unica scelta praticabile.

E forse – chissà – anche perché Rodotà non è cattolico, come se Napolitano o Pertini fossero stati due ferventi credenti.

Trovo incredibile che dopo venti anni il centrosinistra sia ancora preda di chi, da D’Alema a Violante, da Fioroni a Bindi, preferisca avere come prova della propria esistenza in vita la presenza, nello schieramento avverso, di Silvio Berlusconi, al quale non è parso vero che dall’altro lato lo si facesse addirittura passare quasi per statista e responsabile.

Potrei continuare per ore a scrivere ma stamane, sarà per la febbre, non ho molta voglia: negli ultimi tre giorni abbiamo assistito ad una inadeguatezza dei mille parlamentari da far paura. Tutti, nessuno escluso. Abbiamo avuto chi ha gridato al colpo di stato senza forse nemmeno sapere cosa voglia dire: confondere piazza Montecitorio, minuscola per chi la conosce, con la gente è non tanto fuorviante ma intellettualmente disonesto. Ci siamo contati due mesi fa e anche se facessimo valere i sondaggi più recenti, anche nella migliore delle ipotesi con un M5S al 30%, ci sarebbero sempre più dei due terzi degli italiani che non si riconoscono nel Movimento di Grillo e non è una piazza romana a poter definire campione rappresentativo del corpo elettorale.

Ma se martedì o mercoledì Giorgio Napolitano dovesse dare l’incarico a Giuliano Amato o a Enrico Letta per formare un governo di scopo con l’appoggio politico dei due principali schieramenti, PD e PDL, sarebbe opportuno che il Movimento di Grillo e il suo giornale di riferimento, il Fatto Quotidiano, non gridino né al golpe né all’inciucio. Perché l’opportunità del cambiamento l’hanno avuta ma hanno detto sempre di no. Ed in democrazia non è minimamente pensabile che una minoranza del 25% pretenda di dettare legge sul 75% rimanente.

Nel momento in cui – per motivi che non condivido – il Partito Democratico non poteva garantire l’elezione di Stefano Rodotà, il movimento di Grillo ha preferito andare alla conta pur di non cedere nulla al PD: se non dico al quarto ma al quinto scrutinio si fossero impegnati per votare Romano Prodi, avrebbero certamente eliminato Berlusconi e il PDL dalla posizione principale del palcoscenico.

E forse quella foto su sarebbe stata a parti invertite.

Ho invece la sensazione che il governissimo convenga a tutti: al PDL, che fino a due mesi fa pensava di farsi un giro fermo, lontano dalla stanza dei bottoni. A Scelta Civica, che dopo l’incredibile flop elettorale, vede nuovamente la possibilità, per Mario Monti di salire sullo scranno più alto di Palazzo Madama e chissà, riverniciandosi dopo la pessima campagna elettorale, salire al Quirinale quando Giorgio Napolitano si dimetterà (non penserete che rimane sette anni il Presidente!). Al PD-Renzi che potrà cominciare la scalata interna al partito e togliersi dalle scatole l’ala sinistra del partito che è quella più resistente alle politiche neoliberiste proposte dal Sindaco di Firenze. Conviene a SEL che potrà avviare il dialogo movimentista con il Movimento Cinque Stelle dalla privilegiata posizione dell’opposizione e conviene infine proprio al partito di Grillo, che forte della sua inadeguatezza parlamentare, si potrà sempre divertire a buttarla in caciara e a gridare all’inciucio e al golpe senza mai pagare dazio. L’unica area che ci perderà sarà quella parte del PD che vorrebbe guardare ad un rapporto diverso a sinistra, cercando di uscire dall’esistenza in vita in funzione di Berlusconi. Quella parte che ha giovani interessanti come Pippo Civati, che per senso di responsabilità appoggerà il Governo, e che per tale ragione faticherà cento volte di più per far valere le proprie ragioni all’interno del partito, ammesso e non concesso che il Partito Democratico rimarrà in vita così com’è o piuttosto avverrà la scissione.

Per quanto mi riguarda sono molto deluso dal Partito nel quale avevo riposto molte speranze quando nacque: sono e rimango convinto che un moderno partito di centrosinistra sia necessario in Italia, ma per nascere deve superare questa visione cattolico-centrica del centro. Anzi: clerico-centrica. Le obiezioni che sono arrivate dall’ala cattolica del PD, da Fioroni a Bindi, passando per esponenti vicini proprio a Renzi, hanno dato la sensazione che anziché eleggere il Presidente della Repubblica si stesse eleggendo il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Confido moltissimo nel fatto che Papa Francesco voglia laicizzare il rapporto fra Vaticano e Italia, perché fino a quando i nostri sedicenti politici cattolici non la smetteranno di confondere politica e fede, reato e peccato, allora non se ne uscirà mai da questa eterna visione della politica di centro. Romano Prodi una volta ebbe a definirsi cattolico adulto: ci auguriamo che siano in molti, nel PD, a capire cosa abbia voluto dire e che si riconoscano in tale definizione.

Naturalmente in democrazia abbiamo soltanto un modo per dare un segnale alla classe dirigente ed è la croce sulla scheda alle elezioni. Qui a Roma si vota il prossimo mese e nonostante abbia partecipato alle primarie per la scelta del sindaco, e nonostante siano elezioni amministrative, non si potrà non tenere conto del fatto che Ignazio Marino rappresenta un partito che non c’è più.

Si vota la persona ma si vota anche una politica e quella del Partito Democratico non si riesce più a capire quale sia.

p.s. Quelli che dicono che Napolitano avrebbe fatto bene a dire di no credono che non hanno la più pallida idea di cosa significhi avere senso dello stato. Con il partito di maggioranza, assoluta alla Camera e relativa al Senato, allo sbando, soltanto la figura del Capo dello Stato può garantire un minimo di prestigio internazionale per il nostro Paese. Se Napolitano avesse detto di no avrebbe fatto prevalere il suo legittimo interesse di nonno, come direbbe la Lombardi, all’interesse generale. Ma uno statista fa prevalere quest’ultimo, altrimenti è un Berlusconi qualsiasi.

Recommended Posts
CONTATTAMI

Per qualunque informazione scrivimi e ti risponderò al più presto possibile.

Not readable? Change text. captcha txt
0
VINCENZOPISTORIO.COM