Le inutilitarie
Mancavano quasi due anni, il 10 febbraio 2007, quando a Springfield, in Illinois, quell’allora semi sconosciuto senatore di quel freddo stato del Midwest, Barack Hussein Obama, annunciava alla nazione la propria candidatura per la Presidenza degli Stati Uniti. Si sarebbe votato soltanto il 4 novembre dell’anno successivo e soltanto all’inizio di gennaio del 2008 sarebbe cominciato il grande circo delle primarie.
Dieci mesi per le primarie e dieci mesi per le secondarie, per dirla alla Massimo D’Alema.
Domenica a Roma si vota per le primarie del centrosinistra per eleggere il candidato sindaco che dovrà sfidare Alemanno e il nuovo portavoce candidato del Movimento Cinque Stelle nelle elezioni che si terranno a fine maggio.
Perfettamente inutili e anche dannose. Non perché non sia una bella cosa coinvolgere la base nella scelta del futuro (si spera) sindaco della Capitale solo che non è così che si fanno le primarie.
Su questo ha ragione da vendere Massimo D’Alema che ha sempre sostenuto la pericolosità di un meccanismo che non porta alla scelta di una candidatura sulla quale, dopo un certo percorso, possano convergere i voti. Perché la normale dialettica durante le primarie non è che poi si possa ricomporre dopo dieci giorni!
Nel centrosinistra si continua a sbagliare nonostante i tanti, troppi, precedenti. Fino all’ultimo, quello delle più interessanti primarie per la premiership, che hanno visto poi prevalere Pierluigi Bersani. Abbiamo forse dimenticato il grande parterre de roi che aveva circondato la candidatura di Matteo Renzi? E che è successo?
Pietro Ichino sul versante welfare e Luigi Zingales su quelle economico-finanziario, dopo aver sponsorizzato la candidatura del sindaco di Firenze, hanno preferito partecipare in un’altra veste alla competizione elettorale. E se il professore di Chicago non si capiva perché dovesse stare nella coalizione del PD (in USA ha parteggiato per Mitt Romney, mica per Obama) Pietro Ichino era un senatore uscente del PD scelto all’epoca da Walter Veltroni. E lo stesso sindaco di Firenze non è che si sia proprio sbracciato per far vincere Bersani, a differenza di Hillary Clinton che insieme al marito siglarono la tregua con Obama e il suo staff e portarono prima all’acclamazione per la nomination durante la Convention di Denver e poi alla storica vittoria del primo presidente afro-americano della storia. Accordo, con i Clinton, suggellato dalla nomina a Segretario di Stato (il ministro più importante nel gabinetto americano) proprio dell’ex rivale alle primarie.
In Italia questo non solo non è accaduto ma il PD si è plasticamente spaccato. Certo, probabilmente se ci fosse stato Renzi ci sarebbe stato qualche voto in più e probabilmente a quest’ora il sindaco sedeva già a Palazzo Chigi. Ma voglio provocatoriamente chiedere: e se ci fosse stato Renzi veramente a fianco di Bersani durante la campagna elettorale? Se insomma si fosse inventato un ticket, anziché parlare di premio di consolazione, come se la politica fosse un gioco e non una cosa seria?
È un meccanismo serio quello di primarie così concepite e soprattutto possono queste contribuire a portare al successo nelle elezioni che contano?
Le primarie non si fanno certo così e l’America lo insegna dato che le hanno inventate!
Torniamo a queste elezioni capitoline: che Alemanno terminasse il proprio mandato in primavera era arcinoto, al più si sarebbe potuto (abbiamo sperato!) dimettere prima! Hanno senso delle primarie ad un mese dal voto? E per giunta con candidati tutto sommato deboli? Se Alemanno rivincerà le elezioni sarà perché dall’altro lato si è rinunciato a gareggiare, con il rischio di consegnare la Capitale, oltre che al sindaco uscente, ad un altro telecomandato dalla villa di Sant’Ilario a Genova!
Se la sinistra vuole realmente coinvolgere la base attraverso questo meccanismo, deve cominciare a lavorare per tempo, non per timore di bruciare le candidature, ma proprio per costruirle dal basso, generando consenso e passaparola.
Altrimenti a un mese dal voto si ha sempre l’impressione che le primarie diventino una specie di giochino per qualche posticino di consolazione e non per trovare il miglior candidato sindaco.
E naturalmente chi perde poi non deve avere la sindrome rutelliana che abbandonò il partito che aveva fondato solo perché diventò segretario Pierluigi Bersani e non Dario Franceschini. E nemmeno quella renziana che perdute le primarie è letteralmente sparito proprio quando il Partito avrebbe dovuto manifestare la massima compattezza.
Se non si affrontano le primarie con l’obiettivo lungo di vincere le elezioni sono molto dannose nella peggiore delle ipotesi.
Nella migliore sono solo inutili.