#Nuovalegislatura: come tutto ebbe inizio
In attesa che venerdì prossimo la nuova legislatura venga inaugurata, con l’elezione dei Presidente delle due Assemblee legislative, volevo solo ricordare come il saccheggio delle istituzioni ebbe inizio, quando ancora molti grillini nemmeno erano nati.
Dopo le elezioni del 1994, quelle della famosa discesa in campo, che si conclusero con la vittoria alla Camera del Polo di Berlusconi (al nord alleato con la Lega e al Sud alleato con il Movimento Sociale Italiano) mentre al Senato – tanto per cambiare – non ci fu la maggioranza e soltanto dopo – durante la formazione del Governo passarono con Berlusconi alcuni senatori tra cui Giulio Tremonti (la storia si ripete sempre, vero?), le opposizioni (PDS in testa) chiesero al Polo di continuare nella ormai consuetudine di affidare la Presidenza della Camera o del Senato all’opposizione. D’altronde a Montecitorio e a Palazzo Madama sedevano rispettivamente Nilde Jotti e Giovanni Spadolini. Ebbene spinti soprattutto dall’enfasi dei radicali, che alle prime elezioni maggioritarie si schierarono con Berlusconi, passò la linea del chi vince prende tutto.
Il risultato fu che la Camera andò alla Lega – con Irene Pivetti – e al Senato andò in scena un’indecente conta fra Giovanni Spadolini e Carlo Scognamiglio Pasini, all’epoca uno dei tanti conquistati dallo charme del miliardario (in migliaia di miliardi di lire!) prima di capire con chi avesse a che fare, che si concluse – per qualche voto – a sfavore dell’ex esponente repubblicano, primo Presidente del Consiglio non democristiano che il nostro Paese avesse avuto sino a quel momento.
Ovviamente poi la storia si replicò due anni dopo, quando, dopo la vittoria dell’Ulivo di Prodi, alle guida delle due Camere andarono Violante e Mancino. Nel 2001 il patto di legislatura (diremmo meglio di spartizione) fu garantito grazie all’elezione di Casini alla Camera, Pera al Senato e alla Lega i ministeri pesanti di Lavoro (Maroni) e Riforme Istituzionali (Bossi poi Calderoli), tanto che perdemmo cinque anni per una riforma costituzionale (di parte) poi bocciata dagli italiani al referendum.
Nel 2006 l’Unione di Prodi perse un’altra occasione, nemmeno aiutata da Giulio Andreotti che come senatore a vita avrebbe fatto bene a sottrarsi alla conta contro Franco Marini, mentre alla Camera il patto fu di eleggere Fausto Bertinotti, forse per tenere buona Rifondazione, sebbene il partito, all’epoca unico della sinistra radicale, avesse imbarcato al Senato due senatori, Turigliatto e Rossi, che avrebbero votato spesso e volentieri contro il loro stesso governo.
Altri due anni e la storia non è cambiata, nemmeno di fronte alla semplificazione del Parlamento, per cui abbiamo avuto i due uscenti, Fini e Schifani e forse il peggior governo della nostra storia repubblicana.
L’occasione quindi adesso è storica: che si fa? Si continua con questa logica che chi vince si prende tutto (anche se al Senato vorrei capire come possa uscire un presidente democratico) oppure finalmente si può tornare ad un rispetto delle istituzioni senza essere tacciati di inciucio?
Possono le opposizioni presentare delle candidature decenti (ovviamente che non sia un condannato al Senato mi sembra scontato!) e essere votate anche dal partito di maggioranza relativa oppure dobbiamo continuare in questa assurda conta sulla pelle delle istituzioni?