Prima che il gallo canti

 In POLITICA

Ieri su Repubblica il professor Odifreddi commentava i mediocri risultati che i nostri scolari stanno ottenendo – in confronto con i loro compagni asiatici – nelle discipline matematiche. Concordo anche io che si tratti di una vera emergenza perché il problema della ricerca applicata passa inevitabilmente attraverso gli studi delle scienze esatte, talvolta troppo trascurate nella scuola italiana.

Tuttavia, se c’è una cosa che ancora una volta ci ha insegnato questa campagna elettorale, questa consiste nella necessità – per le giovani generazione – di tornare a studiare sicuramente meglio di come sia stato fatto sinora la Storia del nostro Paese e del mondo intero, l’Educazione Civica e la Politica. Perché non basta parlare di rete, di larga banda, di web, di social network per essere cool. Se c’è una cosa che abbiamo imparato da queste dieci settimane di propaganda e confronto è – come sostiene su l’Huffington Post Lucia Annunziata – che siamo in un profondo default politico, prima che economico e forse proprio per questo più grave.

Soltanto con la totale e completa ignoranza storica, politica e sociale si può trovare la spiegazione sul perché più della metà degli italiani voti secondo la loro pancia e a seconda di promesse non tanto irrealizzabili quanto provenienti da personaggi totalmente inaffidabili, perché già nel passato hanno fallito. Soltanto una colossale amnesia collettiva può spiegare come sia possibile che individui, per quanto anziani, vecchi e ignoranti che siano, cadano nell’inganno di un imbonitore, un venditore di fumo, e continuino a credere che quel fumo sia dovuto all’arrosto.

Soltanto un popolo che non ha mai studiato la propria storia, ignorato cosa sia la parola comunità, cosa sia lo Stato nei Paesi civilizzati, può permettersi di accettare che un individuo propini da un palco un editto contro la libera stampa, voglia silenziare i sindacati, voglia mandare tutti a casa senza distinguere gli uni dagli altri, secondo la più comoda delle definizioni populiste.

Seguo campagne elettorali per passione da quando ero un giovane studente liceale: non avrei mai immaginato che un giorno avrei visto persone, raccogliendo sul web meno dei consensi di quanti ne ricevetti io nella mia scuola per fare il consigliere di istituto, che sederanno in Parlamento in forza di una decina di voti, per effetto di una legge elettorale che consegna a pochi individui la possibilità di nominare i propri fedeli.

Non avrei mai immaginato che nonostante venti anni, due decenni, di propaganda anti-comunista, ci sia ancora qualcuno disposto a votare solo sull’onda di un’emozione anti-comunista, quando ormai la storia del Partito Comunista Italiano è stata consegnata ai libri di storia e non più alla cronaca.

Ma se c’è una cosa che più mi ha colpito e mi ha lasciato l’amaro in bocca è stato vedere come molte persone, che ho considerato intelligenti e ammirevoli per il loro successo nel lavoro e nel mondo delle professioni, cadere nel baratro profondo della rabbia e dell’odio polemico, utilizzando espressioni becere che offendono prima ancora che gli altri loro stessi. Ho ascoltato persone che stimavo formarsi le loro opinioni leggendo soltanto i gossip di un noto giornalista romano, che ha fatto della maestria capitolina di scovare i soprannomi, una sorta di culto, semplificando e mistificando la stampa italiana come asservita al potere, senza fare lo sforzo di leggere per informarsi.

Come se bastasse soltanto qualche articoletto ritagliato sul web per avere contezza di ciò che possa essere la linea editoriale di De Bortoli, Mauro o Calabresi.

Ho ascoltato uomini e donne parlare di spread ripetendo il mantra grillusconiano senza nemmeno informarsi – qualora non lo ricordino personalmente – cosa fosse nel 1992 la situazione finanziaria del nostro Paese, quando i tassi di interessi sui mutui erano a due cifre e l’inflazione sfiorava quella sudamericana.

Ho sentito persone osannare gli Stati Uniti d’America per aver eletto un nero alla Casa Bianca e poi rivolgersi con espressioni terribilmente razziste per coloro non solo che hanno pelle diversa e vivono nel nostro Paese ma anche per coloro che fanno parte della nostra stessa Unione Europea e della nostra stessa Italia.

Ho scoperto la vera personalità di alcune persone e ne sono rimasto profondamente deluso. Non so se queste elezioni siano la metafora delle Pasqua cristiana, con la Resurrezione, o come temo siano invece più vicina a quella ebraica, con il passaggio dei quaranta anni nel deserto.

Da domani sera, con quello che probabilmente sarà un risultato elettorale pieno di incognite e confusione, saremo tutti chiamati a concorrere per questa traversata nel deserto: ma credo che soltanto investendo nella scuola, nei nostri scolari e nei nostri studenti, potremo trovare la strada per attraversare il deserto nel quale – come comunità – ci troviamo. E mi auguro che la rete di comunicazione, le famose internets di George W. Bush, torni ad essere uno dei mezzi di studio e comprensione, senza che venga idolatrata come sta quotidianamente avvenendo negli ultimi tempi.

Troppo comodo sperare che attraverso la soluzione più comoda si possono raggiungere risultati: purtroppo (o per fortuna) la via semplice semplicemente non esiste.

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