La rivincita delle scienze umane
Noi laureati in scienze materiali, abituati a guardare con aria snob coloro che nella vita hanno assecondato le loro passioni umanistiche, passando la vita a studiare le lingue antiche, la storia, la filosofia e tutte le altre scienze umane, da ieri assistiamo alla rivincita degli scienziati dello spirito rispetto a noi tecnologicamente avanzati.
Abituati come siamo a scandire ormai la nostra vita a seconda dei tweet e di tutte le altre diavolerie che a Silicon Valley si inventano, da ieri mattina siamo invece immersi in un mondo nel quale non si fa altro che parlare una lingua ormai morta, tra perifrastiche e gerundi. È il trionfo degli storici, dei teologi, dei filosofi e dei letterati quello che assistiamo in questa giornata conclusiva del carnevale sui giornali italiani: è tutto un chiedere notizie, interpretazioni, illuminazioni ai più grandi studiosi del mondo, biblisti, vaticanisti, ecclesiastici.
Per una volta noi, che siamo abituati a pensare che la modernità e il progresso si misurino in quanti giga-byte di dati un nuovo gioiellino possa contenere o quanto veloce debba essere una connessione per poter scambiare in tempo reale video ad altissima definizione; noi che siamo soliti pensare che nelle nostre formule, nei nostri sacri algoritmi viga la via del progresso; noi che ci dibattiamo fra melisti, linuxisti, windowsisti; noi che guardiamo con aria di sfottò coloro che non sanno quanto sia bella la rete, i social network, i ruzzle; ecco per una volta ci troviamo di fronte ad altri scienziati palesarsi dalle pagine dei giornali, dalle radio, dalle televisioni e anche dalla rete, spiegarci perché la scelta di un anziano studioso di teologia sia diventata la cosa più moderna che un successore di Pietro abbia mai compiuto.
E trovo così piccole e misere alcune polemiche su blog e forum, che misurano sempre con il loro sistema di riferimento minuscolo e provinciale ogni evento della vita (c’è stato anche chi ha inteso queste dimissioni come un’ingerenza nelle elezioni italiane per non far vincere Grillo!), non comprendendo la portata effettivamente storica per la Chiesa Cattolica e non solo.
Forse perché in Italia, a differenza degli Stati Uniti dove viene correttamente indicata come Roman Catholic Church, e come giusto che sia in quanto nella lingua dei Padri si parla di Sancta Romana Ecclesia, non riusciamo a comprendere che un Vescovo di Roma che si dimette apre un precedente che spazza via, in un sol colpo, tutte le conclusioni di Pio IX, dal Syllabo al Concilio Vaticano I, dal non expedit al dogma dell’infallibilità papale.
Così come Joseph Ratzinger si dimette perché non ha più le forze, un giorno un pontefice si potrà dimettere per errori commessi.
La portata storica di questo evento, che noi abituati a masticare scienze materiali non possiamo forse molto comprendere, sta nell’umanizzazione totale della figura del Papa. E se è normale per una diocesi avere anche un Vescovo emerito, il Capo della Diocesi dell’Urbe non è un semplice vescovo: è il primus inter pares, a lui è dovuta l’obbedienza delle sue pecorelle, a lui è richiesta la capacità per pascolarle. E se Giovanni Paolo II portò la sua croce come simbolo vivente della Chiesa che si sacrifica, papa Benedetto XVI sembra ancora di più l’umile lavoratore nella vigna del Signore, come si chiamò il 19 aprile di otto anni fa quando accettò l’incarico conferito dal Conclave. Ma nel gesto delle dimissioni, come le si chiama correntemente sebbene un monarca non si dimette bensì abdica, rinunziando al suo ruolo, c’è anche la forza del repulisti della Curia Romana, travolta da mille scandali nel recente passato e che evidentemente per le sue debolezze fisiche e caratteriali papa Ratzinger non è stato in grado di riformare.
E sta anche in questo la grandezza di un gesto che viene compiuto per il bene della Chiesa: meglio azzerare tutti i vertici e consentire un nuovo inizio per rilanciare l’azione della missione della Chiesa.
Per una volta noi che siamo soliti guardare alle ultime invenzioni come al progresso scientifico e tecnologico che inesorabilmente porta avanti la società dobbiamo lasciare spazio a quanti, tra libri di storia, di fede, di ragione e di filosofia, provano a spiegarci cosa cambia per la Chiesa e per l’intera umanità il gesto di questo anziano sacerdote e professore di teologia, chiamato un po’ a sorpresa ad un compito troppo gravoso per lui.
E in una società come quella italiana, che si auto-assolve sempre e che si appresta probabilmente a vivere un lungo periodo di instabilità dopo le elezioni generali, quella richiesta di perdono per i difetti propri sembra quasi tenera, di fronte alla sistematica incapacità di assunzione di responsabilità di un’intera classe dirigente.
E ammetto che – forse per la mia troppo sopita passione per gli studi umanistici, sacrificati in gioventù – provo un sincero moto di invidia per tutti coloro che – da ieri – sono lì a spulciare libri antichi, procedure, codici, discorsi in latino, per provare a spiegare a noi, semplici operatori del mondo digitale, cosa è cambiato da ieri nel mondo che abbiamo conosciuto sinora.
E trovo tutto ciò molto più entusiasmante di qualche nuovo servizio tecnologico a disposizione su un tablet o su uno smartphone: semplicemente perché è più vicino all’uomo questa scienza, fatta di libri, di filosofia, di etica, di morale, di teologia, di storia, di quanto una diavoleria elettronica possa esserlo.