Se la storia corre più veloce della cronaca
Stamattina – come noto a chiunque abbia un qualunque mezzo di comunicazione con l’esterno e non viva su un cucuzzolo di montagna (o in Cina, dove la Televisione di Stato non ha informato sulla questione) – papa Benedetto XVI ha reso noto che in piena libertà rinuncerà al Ministero Petrino a partire dal 28 febbraio alle ore 20.
Siamo talmente pieni della nostra quotidianità, specialmente nella rete dove tutto è simultaneo e ogni cosa viene vissuta come se fosse la più importante del mondo salvo poi dimenticarla in un microsecondo, da non renderci forse conto di essere testimoni di un evento storico.
Abbiamo visto la portata storica dell’elezione di Obama, il primo afroamericano alla Casa Bianca; abbiamo assistito allo sbarco sulla Luna; abbiamo visto la caduta del muro di Berlino e la fine dell’impero sovietico: a ogni evento abbiamo ovviamente assegnato questo aggettivo, storico, perché tale era.
Tuttavia, se poniamo fine ai sorrisi per i fotomontaggi (un po’ scontati), ai tweet satirici (alcuni proprio scemi) e alle reazioni dei politici italiani (proprio necessarie? Anche quella della Mussolini?) e razionalizziamo cosa è accaduto stamattina in Vaticano forse ci rendiamo conto di essere di fronte alla Storia, con al S maiuscola. Certo, l’allora Cardinale Ratzinger aveva a suo tempo parlato della possibilità di dimissioni di Giovanni Paolo II, così come ne aveva accennato sul libro intervista Luce del Mondo. Ma quando avviene quello che prima era semplicemente un’ipotesi giuridica e scolastica, allora si comprende la portata storica dell’avvenimento di stamane.
Tutti noi che abbiamo studiato nelle scuole superiori italiane ricordiamo certamente il gran rifiuto di Celestino V nel III Canto dell’Inferno dantesco, vivisezionando quel
« Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto. »
Viltade, scrive il Sommo Poeta, condannando il rifiuto a portare avanti il ministero petrino e quindi a servire la Chiesa, aprendo la strada a Bonifacio VIII.
Già chi come me è nato agli inizi degli anni settanta fa molta fatica a ricordare Paolo VI e Giovanni Paolo I. Il papa è stato per noi Wojtila, il papa polacco. Quindi già nel 2005, quando morì il Pontefice che più di ogni altro impresse alla Chiesa l’uso dei mezzi di comunicazione per portare la parola del Vangelo in giro per il mondo, ci sembrò di vivere un momento storico. Chi abita a Roma ricorderà l’incredibile invasione di pellegrini per l’omaggio alla salma e per i funerali.
Ma quello che è accaduto oggi non ha eguali: innanzi tutto perché costituisce un precedente. Nelle Chiese cristiane, cattoliche e non, strutturate secondo la gerarchia episcopale, il successore di San Pietro era di fatto l’unico Vescovo a rimanere in carica per tutta la vita.
Con Benedetto XVI questo non accade più e ho la sensazione che abbia ragione Gad Lerner quando sul suo blog scrive oggi che forse lo stesso primato petrino subirà dei cambiamenti, forse anche in una direzione di facilitare il percorso verso l’unità dei cristiani.
Ma la rinuncia al soglio di Pietro è forse una vera rivoluzione per un mondo dove l’istituzione Chiesa è sempre vista come conservazione. Eppure se togliamo questi pochissimi pontefici che hanno rinunciato per noi il Papa c’era fino alla fine del suo tempo terreno.
Ed il fatto che colui che fu definito il Custode dell’Ortodossia Cattolica, non appena eletto al soglio di Pietro, abbia compiuto questo gesto, diventa ancora più rivoluzionario per un’istituzione bimillenaria come la Chiesa Cattolica.
Personalmente sono molto sorpreso: confesso che non mi aspettavo una così forte accelerazione al ministero petrino da parte di un Pontefice che mi è apparso molto stanco sì del suo ruolo ma anche un po’ timido nel compiere certe scelte rivoluzionarie. Sta di fatto che con queste dimissioni papa Benedetto XVI imprime alla Chiesa l’accelerazione che molti aspettano, cioè un nuovo inizio, con un nuovo conclave. Vedremo fra qualche settimana chi sarà il suo successore (quanto farebbe bene alla Chiesa un pastore più giovane!). L’unica cosa che possiamo dire al Santo Padre – laicamente – è di ringraziarlo per averci reso testimoni della Storia che tante volte studiamo sui libri: e per chi è malato di informazione come me (cit. persona a me cara!) lo ringraziamo anche per averci tolto dalla mente che domenica 24 si vota!
Per un giorno non si parla di campagna elettorale, ma di storia.