Siamo tutti prigionieri
Il prossimo 7 marzo, quindi due settimane dopo l’esito delle elezioni politiche, il Tribunale di Milano si pronuncerà sulle accuse mosse dai PM milanesi a Silvio Berlusconi, rispetto alla famosa vicenda Fassino-Consorte, quella della frase “abbiamo una banca” pronunciata dall’allora Segretario dei DS ora Sindaco di Torino.
Il collegio giudicante ha infatti accolto l’istanza della difesa del Cavaliere rinviando il verdetto a dopo il voto.
C’è da augurarsi, per l’imputato e per noi cittadini, che il Tribunale lo giudichi non colpevole perché altrimenti ci sorbiremmo l’ennesimo attacco alla Magistratura che vorrà distruggere giudiziariamente colui che non è stato in grado di annientare con il voto. Sia che perda le elezioni sia (a maggior ragione) che le vinca, un’eventuale sentenza di condanna di Berlusconi nel processo Unipol non farà altro che aumentare il già enorme ego vittimistico del nostro ex Premier.
Ma un voto di condanna, anche se il Cav. dovesse perdere le elezioni, sarebbe inoltre una truffa bella e buona nei confronti dell’elettorato che lo ha votato e che non lo ha votato. Infatti sospendere il giudizio di un mese e mezzo, aspettando quindi l’esito elettorale come se fosse ininfluente per l’opinione pubblica se il capo di una coalizione politica sia un delinquente conclamato o meno, equivale a renderci tutti come in una prigione. Siamo tutti incatenati alle vicende di questo uomo: di fatto non siamo liberi di decidere se egli sia o meno degno di rappresentare il nostro Paese, in Parlamento o al Governo, sia che si ponga all’opposizione che in maggioranza.
È questa la ragione per la quale non dovrebbe servire – in un paese normale – una legge che limiti la candidabilità o meno di un pregiudicato o di un imputato. Basterebbe semplicemente il buon senso di una società che ragioni con la propria testa e non sempre con la pancia, sempre con quello spirito da ultrà di curva, trasportando in politica quanto si vede nei nostri stadi di calcio.
La politica dovrebbe servire per migliorarla la società: invece – grazie anche al contributo determinante di venti anni di referendum personale su di lui – ha finita per degradarla.
In definitiva le elezioni dovrebbero servire per poter scegliere qualcuno che è migliore di me non uno peggiore, un delinquente per giunta abituale date le condanne che gli si stanno fioccando addosso una dopo l’altra.