Il populismo e gli imbarazzanti endorsement

 In POLITICA

Ieri sera mentre osservavo i sondaggi che Ilaria D’Amico presentava a Mario Monti, ospite della sua trasmissione su SKY TG24, riflettevo sul fatto che se il centrosinistra vincerà le elezioni del mese prossimo, come probabile, sarà ancora una volta una vittoria in massima parte dovuta all’assenza di reale competizione piuttosto che una reale capacità di attrazione del consenso. Mi spiego meglio: il maggior partito italiano sarà, probabilmente, il Partito Democratico con poco più del 30% dei voti. Alla Camera dei Deputati il PD prese nel 2008, sotto la guida del primo segretario Walter Veltroni, oltre 12 milioni di voti per un 33% dei voti validi. Il PD ospitava nelle sue liste la rappresentanza radicale che adesso invece si presenta (forse) autonomamente. Inoltre era alleato con l’Italia dei Valori di Di Pietro che a quelle consultazioni ottenne circa il 4.4% per un totale di circa 1,6 milioni di voti. Guardando oggi i risultati dei sondaggi sembra che tutto sommato le cose non siano di molto cambiate: certo è cambiato l’alleato, Vendola al posto di Di Pietro, si è avvicinato Tabacci e si è perso Rutelli (all’epoca l’API non esisteva) ma tutto sommato le percentuali di voto al più raggiungeranno – per la coalizione – il 39-40% dei voti (se tutto va bene!).

Naturalmente – come in ogni sistema elettorale maggioritario – è in quel 60% restante che si gioca la partita ed è per questo che lo scontro più forte è tra Berlusconi e Monti. Confesso che mi piacerebbe conoscere a chi diede il voto dal 1996 al 2008 il nostro Primo Ministro. Se è vero – come ha dichiarato – che ha votato il Polo della Libertà (si chiamava così allora) soltanto nel 1994, quando il pifferaio lo convinse, cosa ha scritto sulla scheda nel 1996, nel 2001, nel 2006 e nel 2008?

Egli, esponente di una borghesia un po’ elitaria ed aristocratica, da chi si sentiva rappresentato? E non avvertono – costoro – un minimo di imbarazzo a non essersi battuti prima per sconfiggere il populismo che era presente già all’epoca nell’offerta politica berlusconiana? O veramente credevano ai cosacchi in Piazza San Pietro quando già da tre anni non esisteva più l’Unione Sovietica?

Ma torniamo al 60% dei voti extra-sinistram. La scorsa tornata elettorale la coalizione di centrodestra ottenne un 47% circa dei voti. Un’enormità che soltanto l’incapacità di quella maggioranza ha saputo sprecare. Il resto se lo divideva il partito di Casini, la sinistra, la destra di Storace e una moltitudine di liste e partitini sotto l’1%, tutte con percentuali da prefisso telefonico.

Non serve essere degli esperti di flussi elettorali per comprendere che se togliamo quella componente moderata, che ha trovato rappresentanza nella neonata formazione montiana, la debacle del centrodestra sta tutta nell’intercettazione del voto populista. In questo il travaso di voti PDL-Lega verso il Movimento di Grillo è francamente evidente. È come se si trattasse di vasi comunicanti, come ben si vede dai sondaggi da quando il vero capocomico, Berlusconi, è tornato sulla scena del grande show della campagna elettorale. Con buona pace dei seri attivisti del Cinque Stelle, che hanno creduto e credono ancora fermamente nel loro programma, il voto che Grillo sta intercettando è soltanto marginalmente legato alle battaglie, giuste o sbagliate che siano, che gli attivisti svolgono sul campo. In realtà mentre la proposta programmatica del Movimento è anche interessante, specialmente per le tematiche ambientali e tecnologiche, ciò che fa appeal agli elettori delusi dal centrodestra è semplicemente la rabbia nei confronti di una certa classe politica. Ecco che nei forum e sui social network si chiede di dare il voto a Grillo perché “così possiamo provarlo“, con le stesse – incredibile ma vero – parole con le quali nel 1994 – dopo lo sfascio della Prima Repubblica a seguito di Tangentopoli – si faceva propaganda affinché si provasse il nuovo che all’epoca avanzava, Silvio Berlusconi.

Così accade oggi che l’elezione generale di febbraio verrà decisa non tanto dalla bontà di proposte politiche, né tanto meno da un confronto serio tra una destra e una sinistra europea. Se Bersani riuscirà ad andare a Palazzo Chigi lo sarà per due aspetti: innanzi tutto perché la formazione di centro di Mario Monti non sarà riuscita ad intercettare un quantitativo di voti moderati sufficiente a far vincere le elezioni al Centro. Al massimo potrà aspirare ad un governo di coalizione qualora al Senato non ci sia una maggioranza netta.

Ma tutta la partita si giocherà su quanto la pancia degli italiani, che amano il populismo (e sono molti!), si sentirà più garantita, nella canalizzazione della propria rabbia, da Berlusconi o da Grillo. Certo bisognerà anche vedere quanti dei 200.000 attivisti del Movimento, che si sono presi la briga di portare avanti le idee della democrazia diretta, siano anche contenti dell’incredibile apertura a Casa Pound del loro portavoce/capo della coalizione/candidato premier.

Credo infatti che specialmente chi proviene da simpatie di sinistra, da antagonismi, da lotte di classe, non potrà mai accettare che in nome di un programma in massima parte economico (quindi capitalistico nel senso del rapporto capitale-lavoro) si possa passare oltre certi valori. Insomma conosco personalmente ed indirettamente uomini e donne che sono state nella vita visceralmente antifasciste: possono costoro abiurare i loro principi democratici pur di ottenere qualche voto in più imbarcando Casa Pound e il loro retaggio fascista? Non avvertono il dovere di respingere qualunque accostamento di questo tipo alla loro causa?

Infine voglio spendere una parola su quel 4-5% di votanti che secondo i sondaggi voteranno la Rivoluzione Civile di Ingroia: ora al di là del fatto che praticamente sono i voti di Di Pietro nel 2008, mi chiedo (e l’ho chiesto su twitter anche ad Ingroia): va bene che per il vostro partito il voto è utile ma si può accettare l’endorsement di Massimo Ciancimino, figlio di Don Vito, comunque sotto inchiesta per reati di natura mafiosa? E come si può accettare che un collaboratore di giustizia, così controverso come il figlio del boss-sindaco di Palermo, si lasci andare a dichiarazioni contro Piero Grasso di questo tipo?

Può un uomo che si è formato alla scuola di Paolo Borsellino, Antonio Ingroia, accettare che un suo collega, con il quale è vero ha avuto forti scontri, venga accusato di fatto di aver chiuso gli occhi (magistratura silente, sic)? Proprio quel collega che fino a qualche giorno fa ha diretto la Procura Nazionale Antimafia? Inoltre Grasso è stato vicinissimo a Giovanni Falcone, come ha spesso raccontato in TV da Fazio. Cosa rende Ingroia inattaccabile? La vicinanza a Borsellino mentre quella a Falcone non va bene perché il giudice di Via Notarbartolo andò a lavorare a Via Arenula? Siamo di nuovo alle campagne di fango a seconda delle idee di come si combatte la mafia? Spunterà un nuovo corvo? Non avverte, il magistrato Ingroia, il dovere di respingere questi endorsement?

E quando leggo che Antonio Ingroia valuta Mario Monti più pericoloso di Berlusconi allora comprendo perfettamente il richiamo al voto utile che negli ultimi giorni Bersani e il centrosinistra sta facendo: è questo gioco di intercettare la rabbia e il populismo repressi che sono molto più pericolosi.

Purtroppo la posizione di Ingroia non è certo minoritaria in molti campi, anche della sinistra.

C’è chi ritiene che avere a che fare con una destra borghese, elitaria ed europea sia peggio che avere dall’altra parte Berlusconi. L’ho sperimentato personalmente chiacchierando con amici: c’è chi sceglierebbe – in un ipotetico ballottaggio fra Monti e Berlusconi – il secondo, perché il primo è il rappresentante dei poteri forti, delle banche e di tutto ciò che la solita propaganda complottista propina. Ora che Berlusconi e tutto il suo immenso impero economico non costituiscano un potere forte mi pare surreale, ma tant’è.

Molta gente non si rende conto che avere una destra monetarista decente, quella che si rifà a Thatcher e Reagan, alla scuola di Chicago, alle idee di Giannino (per restare in Italia), sarebbe un bene anche per la sinistra. Perché mentre il populismo distrugge tutto, anche le fondamenta della casa comune, in nome della pancia e del presente, le due visioni economiche e sociali hanno entrambi quei limiti per le quali – fisiologicamente – si alternano alla guida del Paese. E nei momenti di emergenza possono anche concordare un programma comune, perché alle basi c’è il Paese. Il populismo, sia di destra che di sinistra, invece porta soltanto a rabbia e macerie.

E di costruttivo non c’è proprio nulla.

 

p.s. ad onor di cronaca, a domanda “tu cosa sceglieresti fra il populismo di Berlusconi e quello di Grillo?” la mia risposta è stata “Grillo, perché almeno non lo conosciamo ancora!”. Completo però qui il mio pensiero. Se ci fosse veramente un ipotetico ballottaggio fra Grillo e Berlusconi il mio voto andrebbe sì al comico ligure, ma l’istante dopo farei i bagagli per emigrare dal nostro Paese. Perché un Paese che avesse al ballottaggio due populisti sarebbe da ricoverare in massa e per i miei figli voglio qualcosa di più di un popolo rancoroso e rabbioso. 

p.p.s. Molti sono affascinati dalla posizione grillina sui referendum senza quorum alla stregua di quanto si è soliti fare in Svizzera. Piccolo giochino: immaginiamo di fare un referendum popolare e senza quorum sulle armi negli Stati Uniti. La democrazia sarebbe diretta ma c’è il rischio che il risultato sia un ritorno al Far West ovunque, anche negli Stati che attualmente hanno posto severi limiti al possesso delle armi. Sarebbe quella democrazia diretta migliore della democrazia rappresentativa?

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