La coppa dei forti

 In SPORT

Premessa d’obbligo per evitare che qualche amico romano, di fede bianco-celeste e non, possa pensare che io stia rosicando per la sonora sconfitta della mia squadra del cuore ieri all’Olimpico. Commentando in dialetto romanesco si potrebbe dire: “Ammazza che ‘nchiappettata!“. Sufficiente, vi pare?

La sconfitta senza scusanti del Catania ieri a Roma, contro una Lazio desiderosa di vendicare le quattro polpettine raccattate dietro le reti delle porte del Cibali in campionato, qualche mese fa, mi dà l’occasione di riflettere sulla competizione minore del calcio italiano, la Coppa Italia (che per ragioni a me sconosciute di sponsorizzazione bisogna chiamare TIM Cup), metafora efficace del nostro malandato Paese.

Come è noto agli addetti ai lavori questa manifestazione non se la sono mai filata di molto i grandi club: troppo importante il campionato e troppi interessi in gioco in Serie A. La coppetta nazionale nasce sull’ispirazione della FA CUP, la più antica manifestazione calcistica a squadre, istituita nel 1872 e che tuttora è probabilmente ancora più sentita, in Inghilterra, della stessa Premier League. La ragione mi sembra ovvia. È aperta a tutte le squadre (sei livelli di competizione, come se da noi partecipassero anche le squadre di seconda categoria dilettantistica, 763 i partecipanti complessivamente della scorsa edizione) e al di là della partecipazione delle squadre maggiori nei turni successivi ha un elemento di democrazia che la contraddistingue: il sorteggio.

Non ci sono teste di serie, le grandi squadre possono soccombere l’una contro l’altra nei turni precedenti quelli finali, chi gioca in casa lo stabilisce la monetina e non il piazzamento in classifica.

Da noi invece la Federcalcio s’è inventata una soluzione all’italiana: dopo vari e infruttuosi cambiamenti del passato, dai gironi alle estenuanti partite di andata e ritorno in un calendario già zeppo di match, hanno partorito un porcellum applicato al calcio. Se da un lato è bello che la competizione sia stata aperta anche ai dilettanti della LND, la Lega Nazionale Dilettanti, si è deciso di adoperare per il fattore campo il più italico dei criteri, proprio dal momento in cui entrano in scena i big: il premio di maggioranza, decidendo che giocasse in casa chi si fosse meglio piazzato nella stagione precedente.

Bel modo di attirare la gente allo stadio, vero?

Il risultato è lo stadio Olimpico ieri sera praticamente vuoto, nonostante i prezzi popolarissimi, anche per effetto dell’assurdità di giocare alle 21 di un giorno di gennaio una partita secca che – teoricamente – sarebbe potuta terminare anche alle 23.30, tra recuperi, riposo, supplementari e rigori. Hanno partecipato – in questa edizione – 78 squadre, fra serie A, serie B, Lega Pro e LND. Insomma circa il 10%  di quelle che partecipano all’equivalente inglese della competizione. Stasera si disputa Juventus – Milan, poi sarà il turno, la settimana prossima di Inter – Bologna e Fiorentina – Roma. Se escludiamo la squadra felsinea, che dovrebbe fare un miracolo al Meazza, comunque vada le quattro semifinaliste saranno sempre tra le solite note.

Insomma non mi sembra molto difficile capire che se la Coppa Italia non ha molto successo, e quindi i dividendi televisivi sono minimi (infatti i diritti li ha potuti comprare agevolmente la RAI), la ragione non sta nelle astruse formule che si inventano per movimentare un po’ la competizione. Ma semplicemente perché diventa comunque una competizione di élite e la probabilità che una squadra minore arrivi non dico alla finale di primavera ma almeno tra le prime otto è troppo bassa, anzi quasi inesistente.

Una volta si diceva che era la letteratura lo specchio dei tempi, adesso mestamente si può dire lo stesso del calcio: una oligarchia di proprietari/padroni di club sportivi che si dividono le tortine. E poi si lamentano che gli stadi sono vuoti e vogliono costruirsi quelli propri, più confortevoli e più piccoli. Come se, in caso si fosse giocato ieri a Tor Pignattara (è un esempio!), davanti a diecimila spettatori tutti seduti in poltroncina, e magari con lo schermo personale per i replay personali, cambierebbe qualcosa per l’interesse generale degli sportivi verso questa competizione e verso questo calcio.

La cosa triste è che questo sport, senza voler andare troppo in là con il tempo, è stato sì inventato dagli inglesi nelle sue codificazioni attuali, ma risale allo storico calcio fiorentino di epoca rinascimentale. Gli altri ci copiano l’invenzione, la migliorano e quando la re-importiamo lo facciamo male! Ricorda qualcosa?

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