Meglio gli originali che le copie

 In POLITICA

Raccontano le cronache del tempo che quando a Bruxelles cominciavano serie negoziazioni sulle politiche agricole comunitarie, quando l’agricoltura spostava barconi di voti, soprattutto in direzione democristiana, e iniziava la notte, per il nostro Governo era il momento migliore. Bastava che cominciasse a parlare Aldo Moro per sfiancare gli altri negoziatori con quell’eloquio monocorde (e le sue convergenze parallele che mandavano in tilt qualunque traduttore simultaneo). A sinistra come a destra vi erano politici originali e con un loro stile personale: basta andare su youtube e guardarsi video di venti-trenta anni fa di Enrico Berlinguer, Giulio Andreotti, Bettino Craxi, Ciriaco De Mita. Ciascuno di loro, nel bene e nel male, possedeva un loro stile, ben riconoscibile, esercitava leadership, trascinava e creava consenso.

Poi arrivò il tempo della televisione e arrivò in politica il miglior comunicatore e venditore di fumo che abbiamo mai avuto e da allora lo scenario è totalmente cambiato. Hanno cercato tutti di inseguirlo su quel campo quando era evidente che il Cav. conoscesse il mezzo televisivo molto meglio di Occhetto, Martinazzoli, D’Alema, Veltroni, Fassino, Rutelli, Fini, Casini, Marini, Bossi, Segni, Orlando, Di Pietro e mi scuso se ho dimenticato qualche comprimario nello spettacolo televisivo andato in onda fino allo scorso anno.

Nel 2008, anno in cui i social network cominciarono a macinare followers e friends come chicchi di caffè, venne alla ribalta, sulla platea mondiale, un giovane sconosciuto ai più, un senatore di colore dello stato dell’Illinois che era soprattutto un nerd. Masticava e-mail e Blackberry come fosse la cosa più naturale del mondo, sfruttò i social network non tanto per spostare consenso quanto per crearlo (l’affluenza alle urne del 2008 fu semplicemente pazzesca per gli USA), specialmente fra i giovani che vedevano in Barack Obama uno di loro.

Da questa parte dell’Oceano, di questo grande stagno (come lo definisce una mia amica) che ci separa dagli Stati Uniti, i nostri politici di sinistra hanno cercato di imitarlo,  per contrastare il pifferaio magico del teleschermo. Così quattro anni fa fece l’appena eletto alla guida del neonato PD Walter Veltroni, che sognava un partito liquido, leggero, poco organizzato e (sosteneva) a vocazione maggioritaria. Cominciò a imitare Obama anche nello slogan: apparve quel “Sì possiamo” che francamente non avrebbe scaldato nessuno nemmeno in pieno deserto del Sahara, mentre negli US  “yes we can”  si prestava facilmente ai cori di vittoria. Era evidente a chiunque che quel neonato PD non fosse certamente autosufficiente per portare a casa la vittoria di fronte al disastro combinato dall’Unione che appoggiava il Governo Prodi e con la coalizione di centrodestra che viaggiava a vele spiegate verso l’ennesima vittoria.

Poi è cominciata la lunga traversata del deserto e finalmente lo scorso anno ci siamo liberati (si spera per sempre) del pifferaio magico di destra, prontamente sostituito da un altro imbonitore, molto meno sorridente e che cavalca la rabbia della gente.

A sinistra nel frattempo si sono organizzate le prime vere primarie della storia del centrosinistra italiano e sono state un enorme successo di partecipazione e di vera competizione (con buona pace di Grillo che invece si rifugia nelle sue parlamentarie segrete come in una nuova carboneria). La vittoria di Pierluigi Bersani ha scatenato i commenti più disparati nella rete: ha vinto il vecchio apparato, il solito comunista, un regalo a Berlusconi. A me sembra invece che abbia vinto l’originalità di fronte alla copia. Ne parla oggi Curzio Maltese su la Repubblica e penso che abbia ragione quando sostiene che Renzi, e il suo staff guidato da Gori, abbia completamente sbagliato strategia, impostando una battaglia probabilmente buona per le elezioni generale non per una competizione dove il campo, la sinistra, è già delimitato da un ben determinato perimetro di valori. Non ha mai menzionato la destra, che dovrebbe essere il principale avversario del centrosinistra, e una volta usciti dal campo Veltroni e D’Alema è apparso come sgonfiato e senza argomenti. Così come il tentativo di ribaltare il tavolo delle regole, dopo averle approvate due mesi fa, non ha giocato di certo in favore di Renzi: troppo fresco il ricordo delle 24 mila schede ricontate del 2006, dopo che per due anni il Cav. blaterò sui brogli elettorali.

Credo che l’errore dello staff di Renzi sia stato anche quello di mutuare lo stile delle campagne elettorali americane aggressive nell’agone delle primarie di centrosinistra, un campo politico molto più strutturato ed organizzato rispetto ad un partito americano che di fatto non esiste per tre anni e che poi si coagula attorno al leader nominato nell’anno presidenziale. Più un comitato elettorale che un partito politico di tipo europeo.

Mi è sembrato che Matteo abbia fin troppo inseguito i social media, la TV e i tweet: certo le metafore di Bersani non stanno molto bene in 140 caratteri però almeno il segretario PD è sembrato originale e non una copia. Gori e gli altri dello staff hanno invece disegnato per il sindaco di Firenze una campagna tutta all’insegna del modello obamiano e clintoniano, dimenticando che non basta saper usare Facebook e Twitter per vincere.

Bisogna anche essere Barack Obama e Bill Clinton per portare a casa le vittorie, bisogna possedere la loro arte oratoria, il loro prestigio e le loro competenze.

E con tutta la  buona volontà è emerso proprio in questo il limite della campagna: mancava dell’originalità. Matteo Renzi compirà però fra qualche mese 38 anni e sicuramente – come ha detto domenica sera – ha dalla sua il tempo: ma dovrà secondo me guardare un po’ meno TV e un po’ meno i siti e concentrarsi maggiormente su se stesso e provare ad essere originale. Perché dopo venti anni di nani, ballerine, escort, cotillons, luci, riflettori, promesse, interessi, era prevedibile che anche a sinistra si preferisse un bonaccione emiliano che rassicurasse gli animi e non alimentasse altre illusioni.

Per Renzi, così solerte nell’imitare Obama anche nell’ultimo messaggio (il meglio deve ancora venire), la scaramanzia gioca dalla sua parte: il presidente americano, ancora molto acerbo nella politica, perdette nel 2000 proprio le primarie democratiche per un seggio alla camera bassa in rappresentanza dell’Illinois. Non aveva nemmeno 39 anni e quelle furono le uniche elezioni che Obama ha perduto nella sua vita.

Recommended Posts
CONTATTAMI

Per qualunque informazione scrivimi e ti risponderò al più presto possibile.

Not readable? Change text. captcha txt
0
VINCENZOPISTORIO.COM