La strada più semplice

 In POLITICA

Una mia amica , che come ho raccontato qualche volta su queste pagine tiene un interessante food blog da Londra, scrive – il giorno delle elezioni americane – un post molto bello su quella che, come abbiamo visto, è stata vissuta come un’elezione globale.

Tra le tante cose mi ha colpito questa frase che parlava del nostro Paese:

… Berlusconi was the result of a corrupt system …

Non sono del tutto d’accordo con questa affermazione, anche se la vulgata comune è propensa a ritenere il fenomeno Berlusconi figlio (o risultato) di un sistema corrotto. Io credo che questa sia invece solo una parte della verità. A mio avviso il Cavaliere è stato qualcosa di più del semplice prodotto di Tangentopoli o della corruzione in politica e della commistione con il mondo degli affari.

Silvio è stato il risultato dell’incapacità di un intero popolo di assumersi le proprie responsabilità e scegliere di conseguenza la via più semplice, quella segnata dal populismo, affidando ad un uomo forte, di potere, le sorti di un intero Paese. E se ci pensiamo bene è la soluzione che spesso siamo portati a scegliere e non soltanto noi italiani.

Quando nel 2004 gli Americani confermarono Giorgino Bush scelsero la via più semplice, così come quattro anni prima – le famose elezioni dei brogli della Florida – scelsero di nuovo la destra, che voleva abbassare le tasse, nonostante l’avanzo primario in lascito dall’amministrazione Clinton fosse eccezionale. Risultato: avanzo dilapidato in due guerre, tagli fiscali assurdi, colossale spostamento di risorse dalla classe media alla classe ricca, impoverimento della classe media, aumento della classe povera, aumento del debito pubblico (federale, ma molti stati sono sull’orlo del fallimento) nonostante non ci sia una spesa sanitaria né scolastica minimamente confrontabile con quella europea.

Certo nel 2000 ci fu la Florida, ma da che mondo è mondo i tentativi più o meno riusciti di brogli ci sono sempre stati: raccontano le cronache del tempo, che nelle  elezioni che diedero a Jack Kennedy la Presidenza, a Chicago, città fondamentale per portare a casa i Grandi Elettori dell’Illinois, votarono anche i morti ….

Ma al netto delle dinamiche elettorali, la scelta nelle democrazie è dei popoli (con tutto il massimo rispetto per le teorie complottiste dei vari movimenti!) e proprio perché uno vale uno, come ama dire adesso Beppe Grillo, siamo sempre noi – davanti al seggio – a poter scegliere.

Così divenne suggestivo per gli Italiani scegliere il miliardario in doppio petto, quello che portò tette e culi in prima serata, con il suo Drive In, l’uomo vincente con la sua squadra di calcio, l’uomo ricco che non avrà bisogno di rubare al popolo perché è già ricco di suo.

L’Italia scelse nel 1994 il populismo di Berlusconi e soltanto grazie alla rottura con Bossi nel 1996 la vittoria andò a sinistra. Ma nonostante il buon periodo e i buoni risultati economici ottenuti dai governi Prodi-D’Alema-Amato, nel 2001 prima e nel 2008 dopo gli italiani hanno riaffidato le sorti del Paese sempre a quella destra populista fondata dal Cavaliere.

Certo il sistema di potere era (è) corrotto ma questo non basta a spiegare questo masochismo: in realtà ad essere in un certo senso corrotto era (è) un popolo che non soltanto si beveva le promesse ma per alcuni, quelle promesse, venivano mantenute. Ancora una volta l’Italia sceglieva la strada semplice.

Accadeva solo da noi? Direi di no. Prendiamo l’untore della crisi in Europa: la Grecia. Ma è normale pensare che si potesse andare in pensione a 40 anni (cioè alla mia età!) e che si potesse ereditare il posto di lavoro nel Pubblico Impiego?

In Spagna un boom immobiliare, alimentato certo dalla finanza allegra, si è trasformato a boomerang in una bolla, così come negli Stati Uniti. Naturalmente molte e tante responsabilità sono di Wall Street e della City, con prodotti finanziari che gridano vendetta al cospetto di Dio! Ma i popoli sono proprio indenni dalle responsabilità? È un diritto divino avere la casa di proprietà anche senza i soldi per comprarla?

Parliamo con un esempio del nostro orticello: siamo il popolo del lamento e del mugugno. Vogliamo moralità, vogliamo che tutti paghino le tasse ma poi storciamo il muso se dobbiamo ad esempio pagare il canone della RAI (la tassa più evasa) o se dobbiamo pagare l’IMU.

Canone Rai e IMU sono l’emblema della demagogia dei populisti del nostro Paese, a cominciare dall’ultimo arrivato nell’agorà della Politica, Beppe Grillo. Il leader del Movimento Cinque Stelle ha anche una bella sezione dedicata alla RAI e all’abolizione del canone. La cosa più singolare è che quelle stesse persone, che pensano all’abolizione del canone, sono le stesse che vedono la BBC come l’esempio delle televisione pubbliche. Ora anche io penso che la BBC sia la miglior televisione pubblica del mondo (dove un capo che sbaglia si dimette, come accaduto nei giorni scorsi) ma non posso non notare che la BBC è sostenuta dal canone (e costa anche di più del nostro). Sull’IMU poi c’è il non plus ultra della demagogia: in nessun paese occidentale, dove i comuni devono erogare servizi ai cittadini, c’è una gratuità di questi servizi. In tutti i paesi tali servizi sono finanziati attraverso la tassazione sugli immobili. D’altronde mi sembra abbastanza normale questo: vogliamo strade, illuminazioni, pulizia, marciapiedi, strisce pedonali, parcheggi, semafori. A meno di stampare moneta la fornitura di servizi ai cittadini ha un costo e per sopportarlo, in qualunque paese democratico, a qualsiasi latitudine, si pagano le imposte.

Eppure il populismo di ieri e di oggi cavalca le giuste ondate di sdegno di cittadini nauseati dalle tremende ruberie che si sentono e propone le cose più disparate.

Così il Movimento di Grillo propone l’abolizione di qualunque finanziamento pubblico che vuol dire tutto e non vuol dire nulla! Faccio un esempio: con quali capitali si potrebbe mai realizzare l’Italia digitale che pensa Grillo senza un finanziamento pubblico? E stesso dicasi per autostrade, strade, ferrovie, aeroporti e tutto ciò che passa sotto il nome di infrastruttura.

Quello che i populisti non riescono proprio a capire è che c’è una Spesa Pubblica cattiva (gli sprechi, quella improduttiva, quella derivante dalla corruzione) e c’è una Spesa Pubblica buona.

La bestia, tanto per parlare di un argomento caro alla destra americana, semplicemente non esiste: se affamiamo lo Stato i primi a morire di fame sono i più deboli. Storicamente è stato sempre così.

La cosa che osservo più o meno quotidianamente è che il nugolo di fan attorno a Berlusconi si sta affievolendo mentre si sta ingrossando quello attorno a Grillo. E non credo sia un caso.

Quanto sta accadendo nel Movimento grillino in Emilia è significativo e le parole del consigliere Giovanni Favia, l’eretico del fuorionda contro Casaleggio, è significativo: non vogliamo diventare un Fan Club. Ecco quella parola, Club, mi ha ricordato proprio il 1994 quando Berlusconi fondò Forza Italia, che non era un partito ma era organizzato proprio in club.

Conosco molto bene una persona che proviene da una famiglia di fedele osservanza berlusconiana e che adesso è grillino e obamiano, un ossimoro onestamente: cavalca ogni protesta, divulga il verbo del grillo, cercando sempre la strada più semplice.

Obama diventa quindi un grande presidente, per questa persona, perché dice che vuole tassare i ricchi, cosa che Obama in realtà non ha mai detto. Semmai il Presidente americano ha detto che vuole confermare gli sgravi di Bush al solo ceto medio (che poi in US hanno un livello di reddito enorme, rispetto al nostro, 250k), mentre il famoso 2% più ricco può sopportare meglio il ripristino della tassazione precedente alla venuta del suo predecessore.

Grillo sul suo blog, copiando un pezzo di Michael Moore, si intesta anche la vittoria di Obama e giù tutti i fan a osannare Barack.

Come noto a me piace moltissimo Barack Obama, lo ritengo un buon presidente e sono certo che senza l’assillo della rielezione farà meglio di quanto fatto nel primo mandato (e i primi discorsi pubblici danno buoni auspici). Ma il sottoscritto di Obama condivide l’impostazione politica ed economica. Grillo invece no. Innanzi tutto perché Grillo (e Berlusconi attraverso i suoi) sbraita contro i finanziamenti pubblici mentre Obama ha salvato l’industria delle auto proprio attraverso i soldi pubblici. E forse questo salvataggio gli ha consentito la rielezione, sottraendo i decisivi voti dell’Ohio a Mitt Romney. Grillo tuona contro le banche, senza nemmeno fare la distinzione fra banche di investimento e banche commerciali. È vero che da noi formalmente non esiste questa distinzione e credo che anche in America ormai sia stata abolita. Però il concetto funzionale esiste: ecco fare di tutta l’erba un fascio è populismo. Ci sono banche, più o meno piccole, che aiutano l’economia reale, quella che in USA chiamano Main Street e banche che aiutano soltanto Wall Street. Nella Bibbia di Grillo, prontamente adorata dai suoi adepti, tutto è banca, tutti nemici, tutti da annientare.

Così come quando si parla di decrescita felice: concetto che forse è realizzabile dove c’è molto, ma dubito ad esempio si possa anche solo proporre a chi vive nella monnezza … E così via con molti dei punti dell’elenco delle cose da fare proposte da Grillo nel suo programma.

Ora io temo che alle prossime elezioni, ancora una volta, gli italiani sceglieranno la strada semplice e si consegneranno all’ennesimo imbonitore e venditore di fumo, pur di inseguire un sogno: ottenere un mondo migliore senza faticare, senza rendersi conto che invece accadrà esattamente l’opposto, perché la storia ci insegna che nulla è gratis.

Quello di cui avremmo bisogno è un serio confronto fra ricette economiche, che magari possono anche contaminarsi. Ma temo invece che la campagna elettorale per le politiche si baserà sulle prebende dei parlamentari, sulle auto blu e sul finanziamento pubblico ai partiti.

Purtroppo ancora una volta gli italiani sceglieranno di pancia e non con la testa e con il cuore.

p.s. sono rimasto molto colpito del fatto che Michele Santoro abbia chiamato per parlare di crisi economica un personaggio come Flavio Briatore, un uomo che ha avuto anche il panfilo sequestrato per problemi con il fisco. È questo il modello di servizio pubblico televisivo tanto sognato da Santoro e Travaglio? È con Briatore che si può ragionare di crisi economica nel talk show che – sostiene Travaglio – dovrebbe essere il migliore e il più indipendente su piazza?

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