8 novembre 2016
Chi avrà letto il titolo di questo post avrà pensato che il fuso orario interno al mio corpo, danneggiato dalla nottata, sia andato in tilt. No, vi assicuro, sto benone. La data nel titolo è l’election day delle prossime presidenziali. Non è che soffra particolarmente d’ansia per cui non vedo l’ora di vivere un altro anno elettorale americano: è che la stabilità del sistema istituzionale americano semplifica notevolmente i rapporti tra cittadino-istituzioni e tra imprese-istituzioni, stabilizza i mercati finanziari, consente programmazione.
So bene che in mezzo ci saranno le elezioni di medio termine per capire se negli ultimi due anni di mandato Barack Obama avrà recuperato la maggioranza alla Camera. Però una cosa è certa: il 20 gennaio 2017 Barack Obama cederà lo Studio Ovale al suo successore, sia esso democratico o repubblicano, e potrà dedicarsi a 55 anni a tenere conferenze, seguire le figlie negli studi, fare filantropia, avendo avuto l’onore e l’onere di servire il suo Paese nel massimo ufficio. Non ci sono seggi senatoriali a vita, né una candidatura nuovamente al Senato, come rappresentante del suo stato, l’Illinois. E probabilmente lo stesso accadrà con Joe Biden, qualora non decida di provare la corsa alla Casa Bianca. Quattro anni fa, quando accettò il ticket vincente con Obama, sapeva che la sua storia parlamentare era finita.
Spesso si fa molta confusione – specialmente nella demagogia della rete, fra Renzi e Grillo, ma non solo loro – sul limite dei due mandati dell’amministrazione USA. La confusione è dovuta al fatto che mentre da noi il sistema è parlamentare (come quasi tutta la vecchia Europa, eccezion fatta per la Francia e il Portogallo) negli Stati Uniti il sistema presidenziale è stato blindato con un sistema di pesi e contrappesi che ha il suo cardine nella totale separazione dei poteri legislativo (Congresso), esecutivo (Presidente), legislativo (Corte Suprema). Inoltre gli USA sono una Repubblica federale un po’ diversa dai nostri staterelli. Anzi noi Europei faremmo bene a pensare che siamo ridicoli a continuare con un’architettura istituzionale da Congresso di Vienna del 1815. E forse sarebbe anche il caso, più che parlare sempre di euro e di soldi, di cominciare a pensare a una sorta di legittimazione popolare del nostro, di esecutivo. Europeo, intendo.
Adesso ci attendono quattro anni di Obama in America e elezioni importantissime in Europa, con Italia e Germania che andranno alle urne nei prossimi mesi per scegliere i nuovi parlamenti e magari indicare i nuovi governi. E nel contesto dell’Unione sarà importante capire cosa vorrà il governo di David Cameron: vogliono gli inglesi rimanere isolati e mantenere un rapporto privilegiato con gli americani, esercitando una sorta di primato con le altre ex colonie del Commonwealth, in un’anacronistica ventata vittoriana, oppure vorranno partecipare attivamente alla costruzione di una vera Unione Federale di popoli europei. Saranno interessanti gli anni che verranno perché capiremo finalmente se nel Regno Unito prevale lo spirito londinese, la vera capitale d’Europa con buona pace di Bruxelles, o prevarrà lo spirito provinciale e autarchico delle province. Vedremo. Nel frattempo godiamoci questa festa democratica e che sia – per noi italiani – di buon auspicio per le elezioni che verranno.
p.s. considerazione di gossip: io non so quanto la serenità della famiglia Obama sia vera o costruita per le elezioni. Però guardando la tv a me sembra un bel esempio di famiglia, solida, con buoni principi, qualche rigidità sulla disciplina (anche se Malia sta diventando una piccola donna e per Barry cominceranno i dolori di padre, conflitto di interesse paterno, lo ammetto!). E tutto sommato è bello anche questo, vedere cioè immagini di famiglie normali che diventano first family senza lettoni di Putin, bunga bunga, corna, veline, starlette della televisione trasformate in parlamentari e ministre.