Thirty Thousand Feet over the States

 In POLITICA

Non potendo sorvolare personalmente quel grande parco giochi a cielo aperto che sono gli Stati Uniti d’America (almeno per noi amanti di viaggi, natura, culture, contraddizioni, fotografia e giornalismo), fino a mercoledì mattina questo blog cambia temporaneamente nome, immaginando di viaggiare virtualmente attraverso gli States impegnati nell’elezione del loro Presidente.

La notte del 4 novembre del 2008 tutto il mondo – bene o male – era cosciente che qualcosa di storico stava  accadendo e che il primo afro-americano avrebbe varcato, di lì a qualche mese, i portoni della Casa Bianca. C’erano moltissime aspettative in Obama così come sempre accade – specialmente a noi di sinistra – quando carichiamo di suggestioni e grandi attese un’elezione o un particolare pubblico evento.

Sono trascorsi quattro anni, per alcuni  la vita è cambiata radicalmente, in peggio e in meglio. Sicuramente rispetto a quattro anni fa Barack Obama non è strafavorito per mille ragioni: innanzi tutto la crisi economica che ha dovuto affrontare, eredità di otto anni di spreco di denaro in due lunghi conflitti da parte di George W. Bush, era enorme e confrontabile – per peso – alla Grande Depressione del Ventinove. E se i numeri della ripresa (in termini di PIL e di occupazione) sono troppo timidi (tuttavia in Italia ci metteremmo la firma immediatamente per la metà di questi numeri!) è evidente che paga per primo il Presidente, dato che “The buck stops here”, il secchio termina sempre qui la sua corsa, come disse il Presidente Truman!

C’è la componente razziale da non sottovalutare perché il razzismo è molto più subdolo di quello che possiamo immaginare. E Barack è nero, prima ancora che un avvocato di successo, preparato e appartenente al Partito Democratico.

C’è la componente populista: son tutti uguali, un po’ il messaggio che da noi lancia Beppe Grillo e prima di lui Bettino Craxi nel celebre discorso alla Camera dei Deputati, messaggio che inevitabilmente svuota di partecipazione le elezioni (citofonare Palazzo dei Normanni per info!).

C’è la componente dei creduloni, di quelli che si bevono la storia (Donald Trump continua a farla girare) dei birthers (i sedivacantisti degli USA), di chi sostiene cioè che Barry non sia nato negli Stati Uniti ma in Kenia e quindi non potrebbe essere eleggibile al soglio di Washington!

C’è un sistema elettorale inventato duecento anni fa che dovrebbe onestamente essere riformato, dato che di fatto il Presidente degli Stati Uniti verrà scelto principalmente dagli elettori di Ohio e Florida, due tra i cosiddetti Swing States che pesano maggiormente in termini di grandi elettori.

Ci sono dunque mille motivi per guardare la notte americana con curiosità, ansia e speranza.

Potrebbe anche capitare che Obama venga eletto senza un vero mandato popolare, come capito a Bush jr. nel 2000 quando il voto popolare venne stravolto dal meccanismo dei collegi elettorali (Al Gore riuscì a perdere il suo Tennessee e poi in Florida ci fu quel che ci fu!).

Immagino già gli snob di casa nostra (e ne conosco tanti in giro) pensare che la cosa riguarda quegli zoticoni degli yankees, senza rendersi conto che invece la scelta del prossimo US Commander in Chief riguarda (e anche molto!) noi europei e noi italiani. Ma gli stessi snob sono quelli che giudicano sempre come servilismo italiano i giornali di ogni medium che hanno dedicato enormi coperture a Sandy, senza rendersi conto che l’impatto economico dell’uragano sulla costa est degli Stati Uniti avrà, inevitabilmente, ripercussioni anche da questo lato dell’Atlantico. Ma si sa che noi in Italia abbiamo il complesso di superiorità, forse per i tremila anni di storia, per aver inventato il diritto, per il Rinascimento, senza renderci conto che ormai all’estero ci guardano spesso come superiori soltanto in tema di corruzione della vita pubblica.

Insomma ci sono tutti gli ingredienti per seguire questa notte televisiva e dato che mercoledì non andrò in ufficio, mi potrò godere l’intera notte televisiva fino a quando le mie palpebre reggeranno.

Per una notta giocherò a fare il giornalista multimediale, smanettando con Mac, iPad, iPhone e SKY fra i milioni di bit di informazione che viaggeranno in rete.

Con un occhio al TG la 7 di  Mentana e un altro a Sky TG 24 (che tra l’altro organizzerà insieme a La Stampa una diretta fiume), passando per la CNN, la FOX News (speriamo si prendano un bel dispiacere) e le altre emittenti che grazie alla parabola e al web si riescono a prendere, con l’accortezza di evitare l’unico programma che sortirebbe l’effetto opposto e mi farebbe cadere in catalessi e cioè Porta a Porta di Bruno Vespa (penso si possa sopravvivere senza vedere il plastico della Casa Bianca, anche perché avendo visitato personalmente il villone bianco del Presidente me lo ricordo benone).

Quindi se ci sono amici e parenti sparsi lungo il continente americano, dalla California a New York e a Washington DC, o insonni come me da questo lato dell’atlantico, sarà divertente fare una sorta di salotto virtuale.

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E speriamo che la notte del 6 novembre sia dolce come quella di quattro anni fa a Chicago.
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