Μεγάλη Ἑλλάς

 In POLITICA

Negli stessi minuti in cui a Palermo si contavano i risultati elettorali, al di là delle colonne d’Ercole, a Manhattan, le agenzie di rating, per nulla addolcite dall’imminente e devastante arrivo dell’uragano Sandy, declassavano il rating del debito siciliano. Ci sono voluti circa tremila anni ma poi siamo tornati  dove tutto iniziò: Ζὰγκλης, Zancle, la prima colonia calcidese che i primi greci fondarono nella mia Σικελία.

Alla fine la Sicilia ha scelto il modello greco, con buona pace di Rosario Crocetta, neo eletto Presidente della Regione Siciliana.

Non ha vinto nessuno, nemmeno i grillini (pardòn, gli attivisti cinque stelle, come hanno fatto notare ieri con il comunicato stampa, spedito dal loro politburo e inviato a tutte le redazioni dei giornali), sebbene i maggiori quotidiani, fra tutti Il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio, dipingano come trionfale il risultato di Grillo nella Trinacria.

Certo la cosa bella dei numeri elettorali è che possono essere interpretati a piacimento e soprattutto non hanno la prova contraria, cosa che consente a tutti noi di avere sempre ragione e gli altri torto. Per cui Marco Travaglio, nel consueto editoriale quotidiano, attacca il Quirinale senza rendersi conto di star festeggiando una vittoria che non c’è. Afferma Travaglio che senza il M5S probabilmente avrebbe votato in Sicilia un terzo dell’elettorato, intendendo quindi che i 370mila circa elettori che hanno votato Cancelleri non si sarebbero mossi da casa altrimenti. A me invece sembra piuttosto che il Movimento di Grillo non abbia proprio sfondato. Certo con i numeri relativi fa impressione il 18% del candidato presidente e il 15% della lista (anche se colpisce un voto disgiunto anche tra i grillini ….).

Eppure di fronte ad un’astensione così elevata e considerando anche un 5% di schede bianche e nulle, abbiamo un sonoro 60% dei siciliani che non vota e boccia tutti. Ora se è vero quello che dice Crocetta che in Sicilia non si vota in massa e se si considera anche un 70% come un’affluenza normale, manca all’appello almeno un 30% che di solito si reca alle urne pur nelle belle giornate siciliane.

Ne è venuta fuori un’Assemblea Regionale che avrà certamente una legittimazione formale che non rappresenta affatto le ragioni per la quale nacque, oltre mille anni fa, e che l’ha resa il più antico Parlamento legiglativo della storia dell’uomo.

Le agenzie di rating avranno fiutato prima del tempo il nuovo corso greco della Sicilia e si sono affrettati a bocciare il nostro debito quasi immaginando che – di fronte allo stallo dell’ARS e con la presenza di chi il debito non vorrebbe nemmeno pagarlo – fosse meglio mettere in guardia gli investitori da buttare altri soldi in quel ginepraio immondo che è la politica regionale siciliana.

Come sempre a perdere saranno i siciliani, sia quelli che si sono presi il disturbo di recarsi alle urne sia quelli che non l’hanno fatto. Hanno perso perché inevitabilmente il Governo uscente non potrà combinare un bel tubo di novità, a meno che le nuove zitelle acide del Palazzo dei Normanni, come si sono definiti i grillini siciliani, accettino quanto meno un piccolo corteggiamento da parte di questo nuovo presidente.

E perderanno insieme agli elettori siciliani tutti quei siciliani (conflitto di interesse), sparsi in giro per il mondo, che hanno dovuto lasciare la loro terra e che purtroppo vedono un ritorno permanente nel suolo natio sempre più difficile e lontano.

Certo per la prima volta a Palazzo d’Orleans governerà un esponente della sinistra, già comunista, gay dichiarato e condannato a morte dalla mafia. Per la prima volta quel portone sarà varcato da un uomo che ha la scorta non per status-symbol, bensì per vera necessità di sicurezza. E questo ovviamente è una grande novità ed un embrione di cambiamento.

Noi emigranti del XXI secolo, che seguiamo le vicende ad alta quota, preghiamo affinché la nostra amata terra finalmente sia amministrata come merita.

E se purtroppo i frutti non potremo goderceli noi, ormai condannati a godere del sole e del mare soltanto nei periodi di festa comandata, che almeno i nostri figli abbiano la possibilità di scegliere se emigrare o realizzare i loro sogni al dolce caldo del seno della nostra montagna.

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