Fanatici o consapevoli?

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Amazing … wonderful … love“: era cominciata da poco più di mezz’ora la messa laica al California Theater di San José, in California, quando Phil Schiller ha preso in mano il suo nuovo iPad mini.

E così si era compiuto il definitivo passaggio di consegna fra Stefano il Grande, il papa comunicatore scomparso l’anno scorso e che non avrebbe (si dice) gradito un tablet di quelle dimensioni, e il timido Timoteo I, che dirige la Chiesa della Mela Morsicata collegialmente con il suo collegio cardinalizio, forse consapevole dei propri limiti comunicativi che non potrebbero evocare le suggestioni che il suo predecessore riusciva a suscitare in ciascuno degli ascoltatori.

Con il nuovo sfondo colorato della scenografia, con una mela immersa in un arcobaleno di colori, papa Timoteo I aveva iniziato la celebrazione liturgica che chiudeva il 2012, primo anno del pontificato di questo timido signore dell’Alabama, sfoderando i soliti numeri.

Conforme all’ortodossia della mela, custode della stessa ortodossia, Cook ha lasciato agli estatici fedeli in platea il compito di interpretare i numeri a loro uso e consumo. C’è ben poco da dire in effetti, specialmente riguardo il mercato dei tablet che la Mela ha creato dal nulla nel 2010 e che continua a dominare in termini di traffico web che poi è quello che conta nel business. Ci sarebbero quasi gli estremi per un intervento dell’antitrust americano tanto è dominante la posizione nell’analisi di traffico del segmento delle tavolette. Il 91% del traffico web passa da iPad, di qualunque tipo e generazione, mentre il restante 9% è su tablet di altro tipo, nonostante la presenza di tutti i maggiori competitor di Apple che sfornano una tavoletta al giorno nel tentativo – finora vano – di scalfire il dominio assoluto della casa di Cupertino. È questo a mio avviso il numero che più fa impressione e non il fatto che sia stato venduto qualche giorno fa il centomilionesimo iPad!

Ora l’iPad mini è un bel prodotto, sicuramente molto accattivamente, specialmente se lo pensiamo per un mercato femminile (non c’è nulla di discriminatorio, solo la consapevolezza che con le mie tozze manine difficilmente mi troverei bene con il piccoletto appena nato): è perfetto sia per le borse da Mary Poppins che le nostre signore portano in giro (il vero mistero dell’universo femminile insieme agli stupendi e zeppi portafogli) sia per le tracolle da manager rampanti in carriera, pronte a leggere l’ultima sfumatura di grigio in autobus prima di raggiungere l’ufficio.

Ma due sono stati gli oggetti che secondo me hanno un’importanza maggiore della presentazione di ieri. Certo l’iPad mini era attesissimo specialmente per la valenza quasi eretica rispetto ai desiderata di Steve Jobs e rappresenta la definitiva emancipazione del nuovo gruppo dirigente di Apple dall’ingombrante ombra del fondatore e padrone del vascello di pirati. Ma i due oggetti più significativi sono – a mio giudizio – il Mac mini e il nuovo iMac.

E se in ambito software i rinnovamenti relativi a iBooks e iBooks Author (rispettivamente il lettore di libri su iOS e il creatore di libri su Mac, quest’ultimo straordinario, specialmente se pensiamo ad un ottica di didattica, purtroppo in Italia solo per pochi dato che nella scuola pubblica manca di tutto!) sono indubbiamente più interessanti i due prodotti desktop, perché consentono di comprendere ancora una volta la cifra dell’innovazione di Apple, non tanto in ambito informatico, bensì in quello del design industriale.

E se gli informatici un giorno cessassero di considerarsi figli di un dio minore dell’industria e cominciassero finalmente a pensare che design non significa automaticamente  qualcosa per fanatici, probabilmente l’intera Computer Industry ne beneficerebbe e probabilmente tutto il settore ICT riuscirebbe a trovare nuova linfa. Perché – e lo dice  un Mac User – ormai con l’avvento delle tavolette e con i nuovi sistemi operativi praticamente installabili su qualunque macchina (meno che OS X che non solo non gira benissimo sui cosiddetti Hackintosh ma è anche vietato perché viola la licenza d’uso) i software fanno praticamente tutto ciò che ci serve, chi meglio chi peggio dell’altro. Ma non è quella la differenza fra i vari produttori. E d’altronde lo hanno capito benissimo a Redmond, nel quartier generale della Microsoft, azienda dominatrice del mercato del SW per PC, che ha visto assottigliarsi così tanto il proprio potere da dover cambiare rapidamente modello di business e inventandosi anche lei la sua tavoletta, la Microsoft Surface che andrà in vendita fra poco e che monterà il nuovo Windows 8, sistema operativo chiaramente orientato al touch screen. Il nuovo Mac mini è uno straordinario concentrato di bellezza e tecnologia.

Ma dove il gruppo capitanato dal pirata Jony Ive, il responsabile del Design Industriale di Apple, si è superato è senza dubbio il nuovo iMac.

Pensionato il lettore dvd, gli ingegneri di Apple hanno così potuto non tener conto del vincolo fisico dell’ingombro del lettore portando lo schermo dell’iMac a soli 5 mm di spessore. Ho commentato ieri sul mio profilo Facebook che il mio iMac, del 2007, con i suoi 3 cm di spessore, sembrava appartenere ad un’era paleozoica degli stessi Mac e dell’intera industria dei computer.

Questo commento ha suscitato la reazione di un mio amico omonimo di Catania, Vincenzo, che di mestiere fa il System Administrator e di computer se ne intende veramente e molto ma molto più di me. Non è la prima volta che polemizziamo sulla tecnologia dalle pagine del social network di Zuckerberg e ogni volta è sempre molto stimolante.

Vincenzo appartiene a quella comunità di supertecnici informatici che privilegia la funzionalità all’estetica. Ed io li rispetto molto. È infatti un sostenitore dell’open source e di Linux, è favorevole al cloud computing solo se è l’utente a controllarlo (insomma no Microsoft Azure, Google Drive, Apple iCloud, Dropbox, …) e pone il design come mero elemento per il marketing. Il mio amico considera che la potenza maggiore di Apple stia nel suo Marketing Department (in effetti Phil Schiller è considerato uno dei Chief Marketing più influenti nel mondo) e giustamente diffida dei fenomeni di fanatismo quasi religioso che ci sono ogni qual volta che dei prodotti della mela vengono proposti.

Sotto alcuni aspetti confesso di essere molto d’accordo con Vincenzo, specialmente quando pensa alla tutela dei più giovani e al loro consumo di tecnologia, spesso soltanto per giocare o per socializzare su Facebook.

Però se sono stati venduti 100 milioni di iPad non è che tutti quelli che abbiamo comprato, regalato e usato la tavoletta siamo degli stupidi ragazzini viziati! Il mondo è più complesso di quello che a volte possa sembrare.

Il problema principale è che spesso – nel mondo dell’Informatica – si ragiona ancora con la mentalità di quaranta anni fa quando i primi PC facevano il loro esordio. Si trattava di una specie di macchinario, sconosciuto ai più, che faceva apparire i primi utilizzatori come una sorta di maghi, intendi a inserire delle formule magiche attraverso una tastiera, aspettando l’elaborazione. Il fatto è che dopo il 24 gennaio 1984, data in cui venne presentato il primo MacIntosh, dotato di schermo, mouse e con un sistema operativo a finestre che rendeva semplice la tecnologia, il mondo è andato molto avanti e il computer, che prima era per pochi eletti, adesso è nelle case di tutti noi. E quando sento di sistemi chiusi, di open source e di fanatismo religioso, sorrido.

Sarà che a 40 anni sono diventato molto più cinico e disincantato di quando ero romanticamente un sognatore, è che non mi sfugge di certo una cosa: tutte – dico tutte – le aziende che producono PC, SW, tablet, smartphone e chi più ne ha più ne metta non sono aziende benefiche. Sono società che campano per fare profitti, soldi, scopo di qualunque entità giuridica che serve a far muovere l’economia e quindi anche a dare o creare lavoro. E se da un lato osservo con molto interesse tutto il fenomeno attorno a Linux e a tutte le varie distribuzioni del sistema del pinguino, non mi sfugge che una delle distribuzioni più diffusa di Linux, Ubuntu, è realizzata da una società, la Canonical Ltd. che non è un ente benefico. E giustamente aggiungo io.

E che – orrore orrore – ha sede in un paradiso fiscale, l’Isola di Man, ed ha persino uffici a Londra, Boston, Taipei, Montreal, Shanghai, San Paolo e ovviamente nell’Isola di Man, dove ha costituito altrettante società di diritto locale per gestire il business nei vari continenti. Ora dato che ci sono sicuramente costi operativi da sostenere, dai 500 dipendenti alle sedi, è evidente che la Canonical non è sicuramente un ente benefico anche se produce software che ha il pregio di essere libero o open (sono due concetti molto diversi quello di freeware e open source, spesso confusi tra di loro. Pochi sanno ad esempio che la base del sistema operativo del Mac, il Darwin, è totalmente open source. Cioè ti scarichi il sorgente dal sito di Apple e ti fai il tuo OS. È lecito).

A me sembra che nel mondo dell’informatica e delle nuove tecnologie in generale, ci sia una sorta di complesso di inferiorità rispetto all’industria pesante. A nessuno verrebbe in mente di acquistare la nuova Fiat 500, tanto per fare un esempio di un’autovettura di moda, per smontarne il motore e capire come funziona. Eppure questa è una delle obiezioni che si fa ad esempio rispetto al Mac, all’iPhone, all’iPad: non si possono aprire. Surreale.

Nel nuovo iMac gli ingegneri della Apple si sono inventati anche un nuovo drive, che combina la velocità dei nuovi Flash drive alla capacità dei vecchi hard drive. L’hanno chiamato Fusion Drive (e qui è chiaro che si tratta di marketing puro!) e mi domando: ma com’è che questa idea è venuta a Cupertino e non in qualche altra cittadina della Valley dove risiedono i maggiori centri di ricerca di HP? O nei laboratori di Asus, Acer, IBM, Lenovo?

La risposta a mio giudizio sta nel concetto di innovazione che in Apple hanno implementato e che riguarda la macchina nel suo insieme e non come singoli pezzi da assemblare. D’altronde, facevo sempre notare al mio amico Vincenzo, il motore Fiat Multijet Diesel è stato un enorme successo tanto da farlo vendere ad altre case costruttrici, GM in primis, che l’hanno inserito nelle loro vetture. Ebbene perché allora le macchine di Torino si vendono in misura minore rispetto ai loro concorrenti? Mutatis mutandis sarebbe solo un problema di marketing, seguendo la logica di Vincenzo. Ma la storia non mi convince. Certo il marketing Fiat è stato soddisfacente con la 500, lo è con la Alfa Mito, cioè con tutte quelle macchine che sono inserite in un segmento di nicchia, non a caso rappresentando il design italiano. Ma Marchionne quando pubblicizzo la nuova 500 parlava del nostro iPod. Il mercato ha scelto l’iPod del manager italo-canadese perché finalmente era una macchina fatta bene, rispetto al passato, a tutto tondo: dagli interni agli accessori, dal motore alle forme.

Nessuno si sognerebbe mai di confrontare un frigorifero qualunque con uno SMEG, proprio perché l’elettrodomestico dell’azienda emiliana di Guastalla, è un must del design di arredamento italiano. Ho un amico che vive in una bella casetta a tre piani a Hackney, uno dei borough di Londra, che nel ristrutturare la casa ha scelto di rifare i bagni con arredi italiani.

Se ragionassimo nell’industria dell’arredamento come facciamo in quella informatica le tazze e i bidet in questo momento in offerta al brico dietro casa mia al prezzo di 59 euro la coppia sarebbero equivalenti ai sanitari più moderni e più belli.

Questo è il salto in avanti che ogni prodotto Apple compie: far sì che un computer, una tavoletta, un telefono, un lettore, un media center, si complementi con l’arredamento, senza sminuire la sua funzione intrinseca.

Un iMac rappresenta veramente un complemento d’arredo ad uno studio di una casa, ad un angolo di una cameretta di studenti: quanti altri Personal Computer al mondo completano l’arredamento così come avviene con il prodotto di Cupertino?

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