Per fare cosa?
Ogni volta che un potente cade non riesco a gioirne a pieno. Mi è capitato qualcosa di simile lo scorso anno quando guardavo alla TV le scene di giubilo e di festa attorno al Quirinale, dopo che Silvio Berlusconi aveva rassegnato le dimissioni. Nel momento in cui l’avversario, il nemico, era caduto sarebbe stato in grado il centrosinistra di rispondere efficacemente e responsabilmente? La risposta a questa domanda arrivò nel giro di una settimana quando Bersani, che sarebbe diventato Presidente del Consiglio a mani basse se avesse deciso di non appoggiare il Governo Monti, rinunciò alle sirene del voto e fece l’unica scelta possibile per il periodo storico nel quale ci si stava trovando.
Ieri mi è accaduto qualcosa di analogo quando ha annunciato la sua uscita di scena – o meglio dal Parlamento – Massimo D’Alema, il leader maximo della sinistra italiana che è stato – nell’ultimo ventennio – il più amato e il più odiato dei leader del PDS-DS prima e del PD poi.
Renzi e i rottamatori ne hanno fatto l’emblema della loro battaglia politica, come se D’Alema (e con lui Veltroni, Bindi, Finocchiaro, Marini) fosse l’origine di tutti i mali della sinistra, dimenticando (colpevolemente) che comunque questi leader – nel bene e nel male – erano quelli che avevano portato alla vittoria il centrosinistra in due consultazioni nazionali su quattro e che lo stesso Renzi – durante le due campagne che ha vinto, per la provincia e il comune di Firenze – ne ricevette l’appoggio, nonostante alle primarie la dirigenza del partito non lo avesse appoggiato.
Ammetto un conflitto di interessi: fra i leader di sinistra considero Massimo D’Alema una spanna sopra gli altri, per la sua capacità di analisi e per la sua lucidità. Purtroppo ha difetti come tutti e i suoi – in primis un narcisismo forse esagerato – hanno finito per prevalere sui pregi, caricandolo di responsabilità che forse non erano tutte e solo le sue.
Ora quando vedo una foto come questa – postata su internet – penso che in Italia il complesso di Piazzale Loreto non è del tutto debellato. Certo non si mette più a testa in giù nessuno, come fu fatto con il Duce, però vi è un giustizialismo da cortile che rasenta il ridicolo. E la cosa più pazzesca – in tutta questa vicenda della rottamazione di D’Alema – è che il tutto è avvenuto alle primarie per la scelta del candidato unitario del fronte progressista, non alle elezioni generali. È vero che lo staff di Renzi ha preso le distanze dallo scemo che aveva pubblicato la foto ma mi chiedo onestamente contro chi stia facendo la sua battaglia elettorale Renzi. Perché se la scelta è quella di scimmiottare la campagna elettorale di Beppe Grillo, e il suo sono tutti uguali (tanto da parlare di PDL e PDmenoL), allora non comprendo perché la gente dovrebbe votare per il populista Renzi e non per il populista Grillo. Quale sarebbe la differenza fra i due populisti? Che il secondo fa uso di espressioni colorite sul pisello dell’avversario? Veniamo da un’era politica in cui il sesso è entrato nel lessico politico (e anche nelle ricompense!), mica ci si può scandalizzare di un comico che dice che un avversario ha il complesso di avercelo piccolo!
Ancora una volta però siamo di fronte a delle scelte personalistiche che nulla hanno a che vedere con il governo del Paese. Direi a Renzi, così come lo ripeterei a Bersani, a Vendola, a Tabacci, a mister X del centrodestra: va bene rottamiamo tutti, mandiamo anche al confino D’Alema, Bindi e Finocchiaro. Ma poi voi che volete fare?
A me sembra surreale che si continui a parlare di questa rottamazione senza un minimo di spiegazione – tanto per fare un esempio – di cosa sia il liberismo blairiano che Renzi vorrebbe realizzare. Innanzi tutto perché francamente lui non è affatto Tony Blair e poi perché la teoria economico-sociale del leader laburista inglese vigeva in un contesto storico totalmente differente da quello attuale. E con buona pace di Matteo il Blairismo in Italia lo si è tentato di fare – forse anche male e proprio ad opera di D’Alema – negli anni in cui si poteva fare. Adesso che tutte le sinistre del mondo concordano per una sterzata decisiva verso politiche sociali qual è la ricetta di Renzi? Ok gli asili nido, ci mancherebbe, ma è un po’ pochino considerando che le competenze sui nido sarebbero in teoria dei comuni.
Qual è la politica industriale di Renzi e del suo staff? Che ne facciamo delle fabbriche? Che tipo di opere pubbliche dobbiamo realizzare? Che tipo di welfare state il sindaco di Firenze immagina per l’Italia del futuro? Quali politiche per la salute? Quali politiche sociali (mica tutto si ferma alle unioni civili per i gay fare politiche sociali!)? Quali investimenti per la scuola?
Ma soprattutto: come si finanziano?
A queste domande Matteo Renzi non sta dando delle risposte ma si sta limitando – lui e il suo staff – a martellare con la storia della rottamazione. Come se scomparsi i vecchi tutti i problemi sociali dell’Italia si possano risolvere da sé.
p.s. lunedì ci sarà l’ultimo dibattito televisivo fra Mitt Romney e Barack Obama. Se “Barry”, come si faceva chiamare da ragazzino vergognandosi un tantino del suo nome africano, non combina un’altra cavolata, come durante il primo dibattito, forse qualche swing state, gli stati che oscillano e che sono determinanti per la conquista della Casa Bianca, se lo aggiudica e può rimanere ad abitare per altri quattro anni in quella villetta bianca alla fine di Pennsylvania Avenue a Washington DC. Altrimenti tornerà a fare il mestiere che faceva prima, probabilmente aumentando il numero di conferenze da tenere come i suoi predecessori, Bill “Bubba” Clinton in testa, e come il Vice Presidente Al Gore, forse unico esempio al mondo di uomo politico beffato alle elezioni che in una vita post-politica diventa enormemente ricco! Negli Stati Uniti non si sente parlare di rottamazione perché è la Costituzione che stabilisce il limite di due mandati presidenziali. Ma la stessa non pone limiti all’elettorato passivo (cioè l’elezione al Congresso) come invece si vorrebbe fare in Italia (vedi proposta di legge popolare di Beppe Grillo sul limite di due mandati). Probabilmente gli USA non sono così democratici come l’Italia …