L’attrazione
Ieri nel tardo pomeriggio, tornando a casa, ho dialogato su Facebook con un amico di web che ha commentato il mio post di ieri sulle primarie del centrosinistra.
Questo amico mi ha fatto una bella domanda: “ma un movimento civico fatto di nuovi a termine e non dei soliti vecchi marpioni riciclati a vita nella politica perché non hanno voglia di lavorare e sudarsi gli 8-10 mila euro al mese non ti attrae?”.
È una bella domanda perché fornisce la cifra dello scoramento che serpeggia fra moltissimi cittadini, almeno fra quelli che hanno voglia di cambiare ed andare avanti, contribuire a far crescere moralmente la società italiana, caduta molto in basso per quello che si legge o si vede quotidianamente sui giornali.
Merita però questa domanda una risposta un tantino più articolata di qualche commento su un social network.
La prima obiezione che ho fornito all’amico è stata sul “movimento civico fatto di nuovi“. Diamo uno sguardo allora direttamente al programma del Movimento.
Innanzi tutto contesto alla radice la definizione di Movimento dei cittadini, libera associazione di cittadini. Non è così: il simbolo – che reca il dominio del comico genovese – appartiene (nel senso che è un marchio registrato) a Beppe Grillo che può quindi consentirne l’utilizzo o può revocarne l’uso, come già peraltro accaduto con Tavolazzi a Ferrara. Basterebbe soltanto questo per comprendere la mia ritrosia ad un’attrazione simile. Non esiste al mondo un movimento politico (nel senso che fa politica nel senso più nobile del termine) che abbia uno sopra gli altri. Se uno vale uno, come ama dire Grillo, allora ciascun membro del movimento dovrebbe essere in grado di dire la sua anche sul simbolo.
Facciamo anche finta che questo ostacolo sia superabile, magari con la cessione di Grillo dei diritti sul simbolo e che si realizzi veramente la tanto auspicata democrazia interna (che per inciso a me interessa ben poco, semmai è un problema degli aderenti a quel movimento che hanno deciso di appartenere a un movimento dove c’è qualcuno più uguale degli altri). Esaminiamo quindi i vari punti del programma. Come già scritto al mio amico, su taluni argomenti le proposte del Movimento sono assolutamente condivisibili e fanno anche parte, con diverse magari declinazioni, dei programmi di riforma di centrosinistra.
Prendiamo ad esempio l’Istruzione: la lista fornita sul sito è decisamente condivisibile e come d’altronde non potrebbe esserlo. A parte la genericità del primo punto “abolizione della legge Gelmini“, senza dire come si copre il vuoto e quale possa essere l’organizzazione alternativa, gli altri punti in elenco sono sacrosanti. Che le nostre scuole abbiano un deficit tecnologico e che risentano di organizzazione ancora gentiliane mi sembra assodato, così come ritengo si debba superare in qualche modo le storture derivanti dalle lotte studentesche del Sessantotto che – accanto a successi quali l’istruzione per tutti – hanno portato anche delle derive di enorme portata, specialmente dentro le università. Il punto è che questo è un elenco di punti e manca – purtroppo – la descrizione della copertura economica. Perché tutto ha un costo e nulla è gratis.
Passiamo alla salute: la premessa merita una riflessione particolare. “L’Italia è uno dei pochi Paesi con un sistema sanitario pubblico ad accesso universali”: questo spesso tendiamo a dimenticarlo nel nostro delirio quotidiano contro la malasanità e la cattiva gestione delle organizzazioni sanitarie. Secondo alcuni studi pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità il nostro Servizio Sanitario Nazionale si piazza al secondo posto – in Europa – dopo quello francese e prima del mitico NHS, il servizio sanitario britannico al quale ci si è ispirati oltre trenta anni fa.
Ciò significa innanzi tutto che le nostre scuole di Medicina non sono per nulla inferiori a nessuna al mondo, se sfornano medici e paramedici in grado di portare il nostro SSN a questi livelli. D’altronde il fatto che molti medici italiani vengano assunti dalle principali organizzazioni universitarie e mediche degli Stati Uniti vorrà pur dire qualcosa. Il punto purtroppo dolente sta nell’organizzazione della sanità e la sua articolazione territoriale che si innesta nella crisi delle amministrazioni regionali, nessuna regione esclusa. Forse la riforma che più dovrebbe interessarsi è proprio questa: la rimodulazione di regioni e province, per superare la napoleonica suddivisione amministrativa del territorio italiano. Ma ci tornerò successivamente.
Guardiamo ancora i punti del programma del Movimento: il primo macrotitolo “Gratuità delle cure ed equità di accesso” è sicuramente giustissimo ma anche qui incompleto: la gratuità dell’accesso alle cure essenziali è un bel proposito ma come si finanzia? Stesso dicasi per la proporzionalità del ticket: in un Paese ad altissima evasione fiscale come l’Italia qualunque classificazione basata sul reddito personale è semplicemente falsa. Sui farmaci non mi dilungo, poiché il Governo ha già approvato misure simili, sebbene sia presieduto da Rigor Montis, come lo definisce Grillo, ma non è stato ovviamente pubblicizzato sul sito del comico/portavoce.
Sulle politiche di informazione nulla da eccepire, mi sembra semplicemente buonsenso, così come sul fatto di incentivare i medici a rimanere nel servizio pubblico (l’unica cosa che non comprendo è cosa significhi stabilire dei tetti massimi alle tariffe in ambito privato. Mi sembra un controsenso nell’economia di mercato). Sull’organizzazione on line di liste di attesa e Centro Unico di Prenotazione mi sembra sia un intento di molti, sebbene anche qui il problema non è – a mio avviso – la rete di accesso: che io prenoti una prestazione via telefono o via web poco importa. Il problema è la centralità delle informazioni a disposizione. Se ragionassimo in termini di rete di informazione (mi scuso per la deformazione accademica!) il problema è il livello di trasporto delle informazioni, non l’accesso. Possiamo anche avere tutti accesso in fibra ottica alla rete, ma se poi le informazioni non sono disponibili a tutti gli interlocutori necessari è tutta fatica persa.
Sulla lotta al dolore non ho idea, ma in generale allineare l’Italia agli altri paesi UE mi sembra sempre una buona idea. Sulla ricerca anche qui nulla da eccepire: investiamo troppo poco in ricerca e quindi ben venga ogni iniziativa. Naturalmente non dovrebbe essere una ricerca fine a se stessa, altrimenti diventa semplicemente inutile. Sul tema inceneritori e strage mi sembra talmente poco articolato che non è possibile farsi proprio un’idea.
Veniamo alla informazione: qui proprio non ci capisco nulla. La premessa è interessante “Se il controllo dell’informazione è concentrato in pochi attori, inevitabilmente si manifestano derive antidemocratiche”: peccato che poi i gestori del movimento, Grillo e Casaleggio, controllino proprio le informazioni, soprattutto quest’ultimo per mestiere (si veda a tal proposito il video sul futuro ordine mondiale).
Ma veniamo alla declinazione: la cittadinanza digitale è un bellissimo proposito; ma che vuol dire? Cosa significa accesso alla rete gratuito? Significa che in ciascuna abitazione debba esserci una linea dati gratuita? A ogni cittadino danno una SIM dati gratuita?
E poi gratuito cosa? Il canone? Il traffico? E chi paga alle società di telecomunicazioni?
E ammesso e non concesso che si nazionalizzi la rete e si dia gratuitamente accesso a tutti come diavolo si fa a far girare le “macchine“?
Insomma chi paga?
Per quanto riguarda le testate giornalistiche questo è un falso problema: i contributi pubblici li prendono soltanto gli editori in cooperativa e i quotidiani di partito. Certo li possiamo anche eliminare ma forse prima sarebbe il caso di risolvere una volta per tutti il conflitto di interessi. Perché il fatto che lo Stato aiuti per la libera circolazione di idee non è un fatto in sé esecrabile, bensì un aspetto fondamentale della democrazia, per far sì che questa non sia appannaggio soltanto di chi ha mezzi (i soldi) e conoscenza (non tutti sono culturalmente digitali).
Sulle misure antitrust proposte in effetti ci può essere qualcosa di interessante, così come sono assolutamente d’accordo con l’abolizione dell’ordine dei giornalisti, così come di qualunque albo professionale, eccezion fatta per i medici e psicologi, professioni che hanno a che fare con la salute pubblica.
La copertura con ADSL è semplicemente impossibile tecnicamente e anche qui si tratta più di un libro dei sogni che di un programma politico. Ogni cosa ha un costo e qui manca la copertura economica di ciascuno di questi punti. È bello leggere “Statalizzazione della dorsale telefonica” (che però da addetto ai lavori posso dire che non vuol dire una benemerita mazza) o “eliminazione del canone telefonico per l’allacciamento alla rete fissa“: ma in entrambi i casi non si dice da dove si prendono gli euro necessari per questi due notevoli investimenti.
Trasporti: qui sono quasi d’accordo su tutto. L’unica cosa che noto è che l’obiettivo che il movimento dà per raggiunto, il blocco del Ponte sullo Stretto di Messina, a me non sembra molto raggiunto se ancora c’è una S.p.A. a Roma, negli edifici di via Marsala, che continua ad operare e quindi a spendere soldi pubblici per un’opera che non si realizzerà mai. L’obiettivo sarebbe raggiunto se la società fosse posta in liquidazione, cosa che non è ancora avvenuto. Tutti gli altri punti del programma sui trasporti sono assolutamente condivisibili, a cominciare dagli investimenti sul trasporto pubblico, specialmente su rotaia: l’unica domanda, che ormai sta diventando – mi rendo conto – ripetitiva è “con quali soldi?“.
Su Stato e Cittadini le idee del movimento sono in massima parte idee condivisibili. Io mi sono spinto un po’ oltre: secondo me non ha senso abolire tout-court le province, semplicemente perché in alcuni casi non risolve alcunché mentre in altri complica ulteriormente la gestione amministrativa.
Che serva un livello intermedio fra i comuni e lo stato centrale è necessario, ma che debbano essere le regioni – così come sono strutturate ora – mi sembra eccessivo. Forse anziché le macroregioni di ispirazione leghista sarebbe meglio fare delle microregioni (o macroprovince) che siano meno delle 110 province ma di più delle 20 regioni. Voglio dire che mentre ha un senso mantenere regioni come la Val d’Aosta, la Sardegna, la Sicilia, le province autonome di Trento e Bolzano e il Friuli, storicamente e geograficamente isolate e con una loro identità (anche se forse dividerei in due la Sicilia), altrettanto non si può dire per alcune province limitrofe che appartengono adesso a regioni diverse. Poi stiamo vedendo ogni giorno che l’organizzazione federalista delle regioni ha creato dei mostri, duplicando addirittura l’organizzazione statale, nemmeno fossimo negli Stati Uniti d’America.
Sull’abolizione dei rimborsi elettorali sono parzialmente d’accordo: parzialmente perché manca la risposta ad una domanda che è necessaria in democrazia e cioè “come si finanzia la Politica?“. Siamo sicuri che il finanziamento privato, come avviene ad esempio negli Stati Uniti, sia meglio di un finanziamento pubblico? Ho molti dubbi, specialmente quando leggo i costi delle campagne elettorali non solo per il Presidente degli USA ma anche per i collegi senatoriali in ballo il mese prossimo (basta leggere ogni giorno il New York Times).
I punti elencati su questo tema sono moltissimi e mi limito a fare alcune semplici osservazioni: l’insegnamento della Costituzione andrebbe fatto a scuola insieme all’Educazione Civica come si faceva una volta. Che poi bisogna fare anche un esame mi sembra folle: basta e avanza un giuramento, come durante il servizio militare!
Un esame genera commissioni di esame e nomine. Insomma aumenta la burocrazia e le zone grigie. Sono d’accordo sull’eliminazione dei vitalizi parlamentari così come sul divieto all’esercizio della professione durante il mandato: è singolare infatti come un professore universitario o un operaio debbano mettersi in aspettativa mentre un medico o un avvocato possano tranquillamente continuare ad esercitare. Sono d’accordo sulle incompatibilità totali fra amministratori e legislatori. D’altronde è già così in un verso (se sei sindaco di una cittadina grande non puoi candidarti al Parlamento) ma non vale il contrario (fantasia interpretativa nel passato delle Giunte per le Elezioni di Montecitorio e di Palazzo Madama). Non sono assolutamente d’accordo invece sulla riduzione a due mandati per i parlamentari: se la legge elettorale (non il porcellum, ovviamente!) consente la scelta del cittadino (io sono favorevole ai collegi uninominali, secco o a doppio turno poco importa) del proprio deputato, questi ha tutto il diritto di vedersi bocciato o promosso dal proprio elettorato. Diverso è il discorso per i titolari di cariche pubbliche o per chi gestisce il Potere Esecutivo, il Governo. Anche se bisogna osservare che l’Italia non è una Repubblica Presidenziale come gli USA, dove il Presidente può esercitare al massimo per due mandati. Ma negli Stati Uniti, che prendiamo spesso ad esempio per quanto riguarda tale limite, non vi è – né potrebbe esserci – alcun limite al numero di mandati per i membri del Congresso i quali comunque ogni due anni (se deputati) o sei anni (se senatori) si devono misurare con i propri elettori e cercarsi i voti, uno per uno.
Sullo stipendio dei parlamentari trovo sempre stucchevole questa polemica: quello che trovo scandaloso non è lo stipendio, bensì le varie voci aggiuntive. Ad esempio la diaria la trovo folle: io mica vengo pagato di più perché la mattina sono in ufficio! Trovo assurdo inoltre che si diano soldi in più anche chi risiede stabilmente a Roma: al più potrei fornire l’abbonamento gratuito dell’ATAC!
Ma lo stipendio allineato alla media nazionale proprio non riesco a capirlo, come concetto intendo.
Ma a quale media si riferisce il Movimento? I Parlamentari dovrebbero essere retribuiti come i lavoratori dipendenti o quelli autonomi?
E poi mentre nel settore privato i salari sono frutto anche di contrattazione personale (soltanto i minimi contrattuali sono stabiliti attraverso i contratti collettivi nazionali), quindi secondo le leggi di mercato, qual è il mercato di riferimento degli eletti?
Si dirà che forse andrebbero allineati a quelli dell’Unione Europea e questo già sarebbe più accettabile.
C’è da dire che il nostro problema però – come vado ripetendo mille volte – non è tanto lo stipendio dei nostri rappresentanti quanto piuttosto quello dei loro rappresentati. Che un parlamentare guadagni 10.000 euro non è scandaloso di per sé: è un numero assoluto. Grida vendetta invece che nel 2012 un operatore di call center non arrivi nemmeno a un decimo di quella cifra!
Per me possono anche guadagnare dieci volte quello che prendono adesso se il mio stipendio è dignitoso e il lavoro che essi compiono è tale che i servizi pubblici che ricevo ripagano efficacemente tutte le tasse pagate.
Scommettiamo che non ce ne fregherebbe niente di niente di quanto prendono Fini o D’Alema?
Non sono molto d’accordo sull’abolizione delle autorità indipendenti (ci sono in qualunque stato serio, a cominciare dal Regno Unito, patria delle liberalizzazioni dei servizi) mentre sono d’accordissimo sull’approvazione di ogni legge subordinata all’effettiva copertura finanziaria, come previsto d’altronde dalla Costituzione. Ma come si sposi questo punto con tutto ciò discusso in precedenza rimane un mistero.
Sui temi dell’Energia ammetto di non avere una idea molto precisa, dato che è un tema tecnicamente difficile e sono ignorantissimo in materia, a differenza di Beppe Grillo che vedo essere sempre ferrato su tutto (temo moltissimo gli onniscienti!). L’unica cosa che posso fare è approfondire finalmente la questione anche se rimane sempre la solita domanda “chi paga?“.
E veniamo all’ultimo e per me decisivo punto: l’Economia. Ci sono molti spunti interessanti, specialmente sul controllo delle società, sui consigli di amministrazione e sugli incroci azionari.
Quello che sul quale non sono assolutamente d’accordo però qui è prevalente. Comincio dal dire che “impedire lo smantellamento della industrie alimentari e manifatturiere a prevalente mercato interno” non vuol dire proprio nulla. È solo uno specchietto per le allodole e il problema del nostro Paese non è la domanda interna, bensì le esportazioni. Abbiamo una bilancia commerciale troppo sbilanciata sull’import e le nostre aziende soffrono perché non esportano abbastanza.
Un’azienda troppo orientata al mercato interno è inevitabilmente condannata a ballare durante i periodici sismi dell’economia, perché dipende troppo dalle condizioni cicliche dell’economia interna del Paese e sopravviverebbe soltanto se la valuta si potesse svalutare come nel passato.
In questa lista della spesa mancano poi tre pezzi forti della propaganda grillina: l’uscita dall’euro, la decrescita e l’abolizione del debito pubblico.
Mentre è suggestiva l’ipotesi della decrescita (anche se vorrei sapere chi e come dovrebbe decrescere, perché ci sono famiglie che hanno tagliato così tanto i consumi che se decrescono ulteriormente si suicidano!) le altre due sono due colossali minchiate (mi scuso per il termine).
La prima perché un’uscita dall’euro (e quindi la conseguente svalutazione monetaria) porterebbe una sovranità nazionale sulla moneta, chiamiamola neo-lira, che da un lato porterà sì ossigeno alle imprese per l’export, dall’altro – come ampiamente dimostrato nel passato – farà giungere ad una crescita drogata dalla svalutazione che si tradurrà in inflazione e tassi di interesse a due cifre.
Forse chi teorizza questo non ricorda la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, quando si stampavano banconote da 100.000 lire che sembravamo in foto-copisteria, in un periodo nel quale l’inflazione galoppava e i tassi erano così elevati che i mutui si pagavano al 15% e non al 3,5-5%! E dobbiamo dire, per onestà intellettuale, che l’inflazione è la tassa più regressiva che ci sia, poiché colpisce i ceti deboli molto di più di quelli ricchi.
Quello che i teorici dell’uscita dall’Unione Monetaria non dicono è che i debiti con l’estero, contratti in euro, rimangono in euro e quindi paradossalmente il nostro debito, che si abbatterebbe per la quota interna, si impennerebbe per quella esterna. L’Italia sarebbe quindi ancora più povera nel suo complesso.
Naturalmente a questa mia obiezione mi si risponde spesso: non paghiamo il debito, come hanno fatto Argentina e soprattutto Islanda. Peccato che ragionare così sarebbe come sommare mele e pere e già sin dalla scuola elementare ci hanno insegnato che non si può fare.
Per quanto riguarda il paese europeo si tratta di uno stato con un numero di abitanti pari ad una sola media città italiana! Insomma gli islandesi sono meno del numero di abitanti del quarto municipio di Roma!
Mi sembra che si tratti di un problema di ordine di grandezza piuttosto notevole, considerando che siamo la sesta/settima economia mondiale.
Per quanto concerne invece la mia amata Argentina inviterei a visitare quel Paese non facendo il solito tour turistico, ma parlando con la gente e vedendo come le divaricazioni sociali siano aumentate a undici anni dallo storico default. Certo il paese sudamericano si è molto ripreso dal 2002 (c’era gente del ceto medio che non aveva i soldi nemmeno per riparare un tubo) ed è un paese che possiede materie prime. Ma il combinato disposto di svalutazione del peso argentino, la loro moneta, e l’insolvibilità del debito ha portato la popolazione argentina priva di molti strumenti di welfare.
Perché quello che il Movimento si ostina a non capire è che tutte le cose buone che propone, dalla rete all’ambiente, dalla salute all’energia, non si finanziano da sole!
Serve qualcuno che finanzi il nostro debito perché non abbiamo nessuna materia prima da sfruttare negli scambi commerciali: non abbiamo metalli preziosi (oro in primis), né conduttori (ferro e rame), non possediamo il petrolio (anzi ne dipendiamo anche troppo!) né gas: non abbiamo nulla ma solo la nostra intelligenza e la nostra creatività da sfruttare nella trasformazione delle materie prime importate.
Se decidessimo di non pagare il debito chi ci finanzierebbe sapendo di avere davanti un debitore per nulla affidabile? E naturalmente i primi a risentirne sarebbero sempre quelli che non hanno protezione, i più deboli, i più disagiati che vivono proprio grazie alla grande conquista europea del secolo scorso che è stata il welfare, lo Stato Sociale.
Credo di essermi dilungato anche tanto per essere questo un post su un blog ma vorrei concludere dicendo una cosa: il programma del movimento, sia nei suoi punti da me condivisi che in quelli sui quali non sono d’accordo, mi sembra più adatto a programmi locali, cioè ad amministrazioni locali, e non al Governo di un Paese, ad un programma per una legislatura parlamentare.
L’osservatore più attento avrà infatti notato che mancano all’appello due punti essenziali della sovranità nazionale: la politica estera e la politica di difesa.
Sono due aspetti che stanno sopra tutti gli altri sopra menzionati perché forniscono il prestigio internazionale di uno Stato sovrano.
Ad esempio qual è la posizione del Movimento sulla riorganizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite? O sull’Unione Europea? Sulla Commissione Europea? Sull’Alleanza Atlantica? Sul programma nucleare iraniano?
Chi ispirerebbe la politica estera del movimento? Il suocero iraniano di Beppe Grillo che gli ha spiegato tutto sull’Iran (ipse dixit!)? E nel caso di attacco ad Israele: cosa propone il Movimento?
Come intenderebbe gestire i rapporti con la Russia di Putin e la Bielorussia di Lukashenko, grandi possessori di gas e quindi di energia per noi poveri gas-dipendenti?
Che tipo di relazioni propongono di avere con le potenzi emergenti, Cina, India, Brasile e Sud Africa?
E se immagino siano contrari a politiche di spesa militare qual è il ruolo che immaginano per l’Italia nelle aree critiche del pianeta, dal Medio Oriente all’Africa sub-sahariana, al Magreb?
Che mezzi fornire ai nostri militari, sempre che il Movimento continui a pensare sia necessario avere delle Forze Armate (si potrebbe fare come il Costa Rica che non possiede eserciti e mantiene una neutralità di tipo svizzero), quando questi soldati sono impegnati in missioni di pace sotto l’egida delle Nazioni Unite? Che tipo di regole d’ingaggio possono ricevere?
Queste non sono domande che non interessano la gente comune: certo hanno poco appeal nella vita quotidiana di ciascuno di noi, ma il Governo di un Paese complesso, in un mondo complicatissimo come quello che ormai ci troviamo davanti, non è gestibile mediante delle riunioni su una piattaforma informatica alla stregua di una riunione di condominio o un’assemblea studentesca. Il profilo di politica estera e di difesa dà la cifra dell’affidabilità e dell’autorevolezza di un Paese e quindi anche del suo finanziamento sui mercati finanziari, come le vicende dell’ultimo anno hanno dimostrato da quando abbiamo smesso di vergognarci per le imprese dell’ex Capo del Governo.
Inoltre le spese militari, specialmente per un’economia come la nostra che ha grandi industrie nel settore militare, non sono soltanto sprechi di denaro pubblico ma anche stipendi e salari per chi vi lavora. E le commesse non arrivano soltanto dalle nostre quattro forze armate ma anche e soprattutto dalle altre potenze industriali ed economiche.
Spero che il mio amico di web abbia compreso perché non posso essere attratto da un Movimento che per quanto mi riguarda è da un lato troppo naïf su alcuni argomenti ma dall’altro è soprattutto troppo silente sulla domanda che ho ripetutamente posto: “chi paga?“.
Non basta protestare, mandare a fare in culo, urlare, cavalcare il malessere della gente: serve anche fare proposte sia concrete che realizzabili. Le suggestioni sono interessanti se riescono a inseririrsi nella complessità del mondo che viviamo, altrimenti rimangono dei bellissimi e interessantissimi esercizi accademci.
Infine – e non meno importante – mi piacerebbe che il portavoce del Movimento, nonché depositario del simbolo, imparasse a confrontarsi in dibattiti televisivi, prendendosi i suoi bei rischi come ha fatto ieri Barack Obama, perdendo il confronto con lo sfidante Mitt Romney. Sarebbe interessante un confronto con Bersani, Alfano, Di Pietro, Casini, Fini, Berlusconi, Monti, Vendola perché è semplice dibattere con se stessi: si ha sempre ragione!