Il giovane già vecchio
Ho preso una decisione, negli ultimi giorni. Ho deciso che parteciperò alle prossime primarie del centrosinistra e voterò Pierluigi Bersani. Non è che mi faccia impazzire l’idea, non è Barack Obama e nemmeno John Kennedy.
Però è la soluzione migliore fra quelle proposte a mio giudizio ed ecco perché.
Cominciamo da Matteo Renzi: il Sindaco di Firenze è senza dubbio molto bravo. Ottima oratoria, battuta pronta, simpatico accento toscano, giovane. Le avrebbe tutte ma non perché sia giovane: rifiuto l’idea che l’età possa essere la sola discriminante. Il punto è che secondo me l’idea che Renzi sta cominciando a sviluppare sul suo modello di società è fondamentalmente un’idea conservatrice e di destra. Di una destra seria, per carità: d’altronde lui stesso si ispira all’attuale premier. Perché allora non confermare Monti a Palazzo Chigi, anziché Matteo Renzi? Almeno le competenze sono acclarate e il prestigio internazionale enorme.
Il fattore che mi ha fatto definitivamente non scegliere l’esponente PD fiorentino l’ha descritto benissimo Michele Serra nella sua Amaca di ieri:
“Sono più di sinistra le riforme che premiano il merito piuttosto che quelle che premiano le rendite di posizione”. Lo dice Matteo Renzi nell’intervista di ieri a questo giornale. Ha ragione, e doppiamente ragione in un paese come l’Italia: corporativismo e familismo congelano la dinamica sociale, tendono a lasciare il benessere là dove si trova, impediscono ai meritevoli di emergere. Se essere di sinistra significa dare al figlio dell’operaio l’opportunità di farsi valere, va da sé che le riforme devono, finalmente, “premiare il merito”.
C’è però, dentro la storia e dentro il destino della sinistra, anche un’altro principio, che è altrettanto importante: dare tutela agli ultimi, compresi gli sconfitti, gli sfortunati e – aggiungo – gli immeritevoli. Una sinistra che si occupi solo e solamente del merito avrà fatto solo la metà del proprio dovere. L’altra metà (la cui definizione più diffusa è welfare) è non abbandonare quelli che non ce la fanno. I dubbi che parecchi elettori di centrosinistra hanno su Renzi sono tutti qui: che riconoscere il merito non significhi dimenticare la solidarietà.
Ecco perché non posso votare Matteo Renzi: semplicemente non è di sinistra. E non accetto che lui affermi che ormai destra e sinistra sono parole vuote, del passato o che le ideologie non ci sono più. Abbiamo visto cosa ha portato la Seconda Repubblica, quella che era nata – finalmente, si diceva – dopo il crollo delle ideologie o dopo la fine dei partiti tradizionali. Renzi non è di sinistra, legittimamente s’intende, semplicemente perché non fornisce ricette di solidarietà, per gli sconfitti, gli sfortunati e gli immeritevoli.
Perché quello che in Italia non si capisce a fondo è che è sì giusto premiare la meritocrazia ma che facciamo quando ad un certo punto c’è chi arriva prima e chi dopo? Il primo viene premiato dal mercato: avrà migliori posti sociali, maggiore ricchezza, alti guadagni. Ma del secondo, quello sconfitto dalle regole, ripeto giuste, del merito, cosa ne facciamo? Lo emarginiamo o lo aiutiamo? Facciamo in modo che lo si possa recuperare ad una certa funzione sociale oppure gli diamo magari un’elemosina? Lo valorizziamo per quello che può dare o gli facciamo la carità? Renzi a questi interrogativi non risponde o meglio non rispondendo dà implicitamente la risposta storicamente di destra, quella reaganiana, thatcheriana, conservatrice.
Ecco perché non posso votarlo.
Nichi Vendola: a me sta simpatico Vendola e ha anche una grande capacità narrativa. Il punto è che non si vive di sole suggestioni e soprattutto si vive coniugando meritocrazia e solidarietà. È giusto e doveroso difendere i deboli, ma è altrettanto giusto snidare e scovare coloro che si spacciano per tali, perché mentono alla collettività. E spesso ho l’impressione che l’esponente di SEL difenda delle posizioni assai conservatrici, anche del sindacato di sinistra, senza rendersi conto che ormai il tempo è cambiato e bisognerebbe ragionare con parametri che non sono più gli stessi del Novecento. Il welfare del ‘900 non può esistere più, soprattutto perché in Italia è stato un welfare alimentato dall’assistenzialismo e non dalla solidarietà e come tale esposto a meccanismi di aggiramento e di truffa. Ed è stato un welfare drogato e falsato da un modello sociale, basato sulla famiglia monoreddito, che non si possiamo più permettere, specialmente perché perdiamo la metà della capacità produttiva, le donne, spesso la migliore.
Veniamo a Bruno Tabacci: l’esponente ora dell’API già dell’UDC mi sta simpatico e lo vedo magari come un buon ministro, portatore di istanze che bilanciano al centro una coalizione necessariamente di centrosinistra, per il fatto che in Italia non potrebbe essere altrimenti. La cosa che non capisco dell’API è cosa ha significato questo gioco dell’oca che hanno fatto dal 2009 quando Bersani fu eletto segretario PD. All’epoca Tabacci era con l’UDC, molto critico del Governo Berlusconi IV, sebbene avesse appoggiato il Cavaliere nel lungo quinquennio a Palazzo Chigi fra il 2001 e il 2006. Tuttavia non riesco nemmeno a capire cosa abbia voluto significare la nascita dell’API promossa da Francesco Rutelli. L’ex sindaco di Roma, già candidato premier nel 2001, sconfitto da Berlusconi, lascia il Partito Democratico che aveva fondato poiché aveva vinto le primarie per la segreteria un candidato a lui non gradito.
Già questo la dice lunga sul personaggio: forse David Milliband ha lasciato il Labour perché il fratello, molto più spostato di lui a sinistra, ha vinto il congresso del partito? O lo stesso Tony Blair? Quindi per tutta questa serie di ragioni non mi sembra adatto, Bruno Tabacci, a ricevere la nomination.
Laura Puppato: ammetto l’ignoranza, la conosco pochissimo e francamente otterrà pochissimi voti, come Tabacci, essendo mediaticamente la battaglia fra Renzi, Bersani e Vendola. Peccato non conoscerla, se non per il ritratto che ha fatto di lei Concita De Gregorio su Repubblica nei giorni scorsi. Perché in questo Paese e nel centrosinistra avremmo tutti un gran bisogno di avere una donna al comando!
E veniamo infine a Pierluigi Bersani: non l’ho votato segretario del PD perché all’epoca delle primarie per la sua elezione non partecipai. Non perché non mi ritenessi un elettore del Partito Democratico: ero molto disgustato per come erano andate le cose dopo le dimissioni di Veltroni e la lotta intestina che scoppiò successivamente. Dilapidare un consenso del 34% circa, quello ottenuto nel 2008 alle Politiche, grida ancora vendetta.
Lo voto adesso, Bersani, perché mi sa affidabile, perché non mette il suo nome nel simbolo del partito (basta con questa personalizzazione! O facciamo il Presidenzialismo o ci teniamo il Parlamentarismo. Tertium non datur!), perché mi sembra possa fare molto di più, per l’Italia, rispetto ai suoi avversari. Voto Bersani perché ho l’impressione, ascoltandolo, che sappia coniugare meritocrazia e solidarietà.
Voto Bersani perché credo che sia l’unico – nel centrosinistra – che possa vincere le primarie e soprattutto ad aprile le secondarie, che poi sono quelle che contano.
p.s. Francamente non so se voterei PD se le primarie vedessero Matteo Renzi vincitore. Sottoscrivo da questo punto di vista l’editoriale di Eugenio Scalfari di domenica.