Ricordando Karen

 In LIFE

Cinquanta anni fa, il 7 settembre 1962, moriva una donna che ha influenzato Out of Africa

tutta la mia vita con la sua storia e il film che ne ha derivato il grandissimo Sidney Pollack.

Non sono ancora stato nel Continente nero: un po’ mi sento africano di nascita, data la posizione geografica della Sicilia. Quel film e quel libro hanno (e di molto) influenzato me e tutte le mie scelte.

Ricordo ancora di averne trovato una versione tascabile a Sigonella, nella base americana vicino Catania, dove sin da bambino, grazie agli amici che vi lavoravano, ebbi i miei primi contatti stelle e strisce. Qualche decennio dopo, con tre amiche, andammo a festeggiare il 4 luglio fra i militari di stanza nella mia Isola. Fu lì, in una bancarella, fra l’odore di hamburger, hot dog e french fries che trovai prima Our Town, tradotto in Italia come Piccola Città, opera teatrale di Thorthon Wilder che a scuola avevo portato in scena insieme agli altri attori della compagnia teatrale scolastica, e poi Out of Africa, il libro della Blixen dal quale avevano realizzato quello che è (tuttora) il mio film preferito di sempre.

Da quando sono partito per Roma, nel lontano aprile 1998, ogni volta che percorro la Catania – Messina (o viceversa l’ultimo tratto della Salerno – Reggio Calabria, quando il primo pezzo di isola si intravede dopo il curvone di Bagnara Calabra) per salutare la mia terra e il mio mare mi faccio accompagnare dalle note di John Barry, il musicista che ha scritto i pezzi originali della colonna sonora e che ha diretto l’orchestra che suonava la traccia numero tre del CD, quel Concerto per clarinetto in La maggiore, K. 622 di quel grandissimo genio che era Wolfang Amadeus Mozart, musica che l’amato di Karen, Denys Finch-Hatton (impersonato da un meraviglioso Robert Redford), si portava perfino durante i safari, dormendo tra i leoni con la ninna nanna del compositore austriaco.

Per molto tempo Karen ha avuto per me il volto di Meryl Streep, un’attrice straordinaria (basta ascoltare la sua voce nel film per rendersene conto della bravura di questa donna che è riuscita a rendere l’accento danese della Blixen in maniera superba, lei nata nel New Jersey) e superba interprete della scrittrice danese.

Ogni volta che torno a Roma in aereo, quando il carrello del velivolo si stacca sulla playa di Catania, vira a manca e procede parallelo alla costa orientale sicula, facendomi gustare l’Etna e Aci Trezza, il porto di Riposto e le splendide spiagge di Marina di Cottone e di Giardini, la maestà di Taormina, la Perla dello Jonio, e la costa frastagliata messinese prima delle Eolie e quindi della rotta verso la Capitale, canticchio nella mia testa proprio le note di quella colonna sonora e penso a quelle straordinarie immagini, quelle che la Blixen mirabilmente descrisse come il dono più prezioso che Denys le avessa mai potuto fare, quello di vedere il mondo attraverso l’occhio di Dio. E quelle stupende immagini di gazzelle, gabbiani, elefanti, leoni, bufali e tutto ciò che di immenso e bello si può ammirare dall’alto, osservando la savana, mi passano nella mente mentre osservo la mia terra dall’alto, le sue colline sinuose e le sue spiagge, i suoi grandi scogli neri e le coste frastagliate e deserte dei brevi e miti inverni siciliani. Penso ogni volta ai miei familiari e ai miei amici che devo lasciare lì a continuare la loro vita nella nostra terra, mentre a me è stato dato di vivere da emigrante forzato, steso come un lenzuolo fra Catania e Roma, e di recente anche con un terzo lembo a Spoleto dove mia moglie ha un piccolo rifugio di campagna.

La mia Africa (questo il titolo italiano del film) è rappresentata dagli odori e dai sapori della mia terra, dai fichi d’india che fra qualche settimana saranno già insuperabili, alle rosse e dolci arance che ci accompagneranno durante il Natale.

Mi manca molto la mia terra e ogni volta che ricomincia la stagione autunnale e rientro nella Capitale, conscio di poter tornare sempre più di rado fra gli affetti di sempre, sento un groppo in gola che si fa sempre più ingombrante.

Una mia carissima amica fraterna, che tiene un interessantissimo food-photoblog da Londra, città che amo particolarmente, ha scritto di recente un post sul tema delle proprie origini. Spesso, in maniera più provinciale ammetto!, alla mia famiglia capita quasi la stessa cosa, specialmente se ci troviamo in vacanza sulle spiagge di Fondachello, Mascali (CT), come quest’anno o a passeggio per qualche cittadina medievale umbra.

Ci capita che la gente, ascoltando i nostri accenti che si sovrappongono, mischiando termini, modi di dire e parlate, ci chieda da dove veniamo. Forse ce la potremmo cavare come il fratello della mia amica londinese che risponde semplicemente Brooklyn, ma non renderemmo giustizia a quello che siamo e all’interesse che quelle stesse persone ci rivolgono, chiedendoci – con sana curiosità – da dove proviene quella famiglia mista. Così ci capita di rispondere che in realtà la nostra è una famiglia itinerante, con un padre catanese (sono ultra campanilista lo so, non dico nemmeno che sono siciliano!), una madre umbra e una figlia che è nata a Roma ma che ha vissuto, sin da quando aveva sei mesi, in maniera quasi schizofrenica, alternando un anno intero e qualche estate a Catania, con Roma e la campagna.

Ma per me, che ho nella mia isola il mio rifugio mentale, Catania e la Sicilia rimangono La Mia Africa, l’unico posto al mondo nel quale riesco a stare in pace con me stesso, specialmente quando osservo il mare di inverno che si infrange contro gli scogli e i faraglioni di Aci Trezza, quegli enormi massi che Polifemo – incazzato di brutto perché il furbacchione di Ulisse l’aveva accecato – lanciò contro l’Odisseo di Itaca.

A me Karen Blixen ha lasciato anche un grande dono, quello di riuscire ad inventare storie: spesso quando Elisa non ha troppa voglia di addormentarsi viene da me sul lettone, si poggia sulla mia spalla sinistra e mi chiede “papà, mi racconti una storia nuova?“. È il suo modo di dire che non vuole le solite fiabe di Biancaneve, Cappuccetto Rosso, Cenerentola, La Bella Addormentata nel Bosco e La Bella e la Bestia, fiabe che l’hanno accompagnate fra le braccia di Orfeo negli ultimi tre anni, ma vuole qualcosa di diverso, di inventato.

Allora come Karen a cena con Denys e Barkeley, l’amico commerciante di avorio, comincio ad inventare storie e favole, con gli occhioni cerulei di Elisa che dapprima sono intenti nel seguire la trama, talvolta partecipando, poi mano a mano si staccano da questo mondo per passare ai sogni, chiudendosi delicatamente per la notte.

A volte penso che se non avessi visto il film e letto il libro mia figlia si sarebbe accontentata dei Tre Porcellini

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