Ritorno al suolo natio

 In LIFE

Sto per atterrare, fra qualche minuto, all’aeroporto di Catania per poco più di 40 ore da trascorrere nella mia terra per partecipare a un bellissimo evento familiare.

Confesso che ogni volta che torno in Sicilia, in questa lunare vita da pendolare ed emigrante fortunato del XXI secolo che mi è capitato di vivere, mi emoziono: questa volta però la sento particolare. Sarà che con gli anni che passano si diventa più nostalgici, sarà che è quasi un anno che non metto piede alle pendici della mia montagna, sarà che quando non vedo il mio mare per troppo tempo e non mi gusto il caffè guardando l’imponenza della mia Etna (per noi catanesi il vulcano Etna si declina al femminile, precisazione per i puristi della Crusca!) dal balcone della mia cucina mi sento come soffocare, sarà per tutto questo ma il 2012, senza vedere la mia Sicilia e la mia Catania, è ancora un anno monco.

Non so che città troverò, come sarà la mia casa, se sarà tutto uguale come nel Gattopardo o se la crisi che morde tutto il Paese si sta facendo sentire così forte che mi allontana ancora e sempre di più dalle colline etnee.

Catania è e sarà sempre la mia casa, il luogo dove ho le radici e dove avrei voluto mettere quelle della mia famiglia. Il destino, cinico e baro forse, ci ha messo lo zampino tre anni fa, quando – proprio di questi giorni – avevo scelto di provare il grande rientro e quell’anno trascorso giù, fra congedo parentale e vita tra aeroporti, pensione, stazione e bus capitolini, lo ricordo come uno dei più belli, intensi ed emozionanti della mia vita.

Vedere Elisa muovere i primi passi, qualche giorno prima del suo primo compleanno, è qualcosa che difficilmente dimenticherò e so solo che la scelta di quel congedo, che ha significato sacrifici economici notevolissimi che ancora non sono riuscito a colmare (e che forse non colmerò mai), è stata la cosa migliore che potessi fare per godermi la mia bambina.

In quell’anno a cavallo tra il 2009 e il 2010 sono successe mille cose, alcune bruttissime e altre bellissime. Ed è stato certo terrificante prendere quell’aereo da London Gatwick per raggiungere l’Ospedale Garibaldi di Catania dove la mia piccola era stata ricoverata per trauma cranico, a seguito di una caduta (fortuita?) al Nido. Non potrò mai dimenticare Canary Wharf, la nuova city finanziaria della capitale britannica, e le sensazioni di smarrimento che provavo gironzolando intorno a quegli uffici, aspettando una telefonata che mi tranquillizzasse sulle condizioni di salute di Elisa. Così come non potrò mai dimenticare quegli attimi terrificanti del suo collasso e il suo conseguente secondo ricovero: come dimenticare la battaglia per trascorrere la notte con lei, in un Ospedale che stava palesemente violando i miei diritti costituzionali e civili, negandomi la possibilità di assistere mia figlia in nome di un bigottismo sessuale, tipico di noi meridionali ottusi ed ignoranti, convinti che alla prima occasione buona si possano presentare avances sessuali ad una vicina di letto, proprio nei momenti in cui i nostri bambini soffrono maledettamente. Solo una mente malata può concepire un pensiero simile e solo dei responsabili sanitari vigliacchi e senza spina dorsale (per non dire altro) possono avallare un tale regolamento interno.

Ma se è vero che le cose brutte sono quelle che si ricordano meglio, perché sono le cicatrici delle ferite che restano nel petto e che probabilmente rimarranno sempre nei nostri pensieri, ci sono stati dei momenti indimenticabili, legati proprio ad un anno speso e vissuto intensamente nella mia Catania.

Dallo stupore per la piccola che cominciava a voler nuotare prestissimo alla gioia del sistemare la propria casa: l’odore della propria terra, il cibo, la gente, gli affetti vicini.

Il primo Natale di Elisa e Agnese insieme, entrambe affascinate e forse un tantino spaventate dalla presenza di Babbo Natale, il primo rientro a casa dopo la settimana del ritorno al lavoro, la mia prima festa di Sant’Agata fotografata, l’arrivederci alla casa quando abbiamo deciso che il tempo del progetto era ormai quasi definitivamente concluso.

Ed oggi che sto per atterrare a Fontanarossa non posso non pensare a quanto sia bella questa terra e a quanto incoscienti siano coloro che non si rendono conto di che spreco sia lasciarla così, con i suoi giovani migliori che sono ancora oggi costretti ad emigrare per trovare fortuna e lavoro, lasciando i propri affetti lontani e soprattutto senza nemmeno poter avere la speranza – un giorno – di ricongiungersi.

Un conto è scegliere di fare un’esperienza fuori, anche di decenni, un altro è essere costretti a dire quasi addio ai tuoi luoghi natali, ai tuoi ricordi, ai tuoi amici ed ai tuoi parenti. Perché se è vero che l’amicizia e gli affetti non si misurano certamente con i chilometri che ci separano dalle nostre persone care (ho degli amici e parenti carissimi sparsi nel globo e non sono quelle miglia a far diminuire l’affetto che nutro per loro) è vero che la distanza acuisce sia il dolore che l’incredulità di fronte all’inevitabile invecchiamento che si produce in ognuno di noi, che ovviamente diventa sempre più duro da digerire mano a mano che il tempo passa.

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