Finalmente in Italia c’è un nuovo laboratorio politico, quello della città di Parma. Sono veramente felice del fatto che un esponente del MoVimento Cinque Stelle abbia vinto nella bellissima città emiliana. Adesso i pentastellati non avranno più alibi e dovranno misurarsi con il Governo di una città abbastanza grande che non è la stessa cosa di fare una riunione di condominio o un meetup su internet.
Innanzi tutto perché ci sono problemi reali e non virtuali e poi perché Pizzarotti sarà il sindaco di tutti i parmensi e non soltanto di coloro che lo hanno votato.
Dovrà per forza di cose mediare e in questo si vedrà quanto la longa manus del suo megafono conterà e quanto invece il nuovo Sindaco e la sua nuova Giunta saranno indipendenti da Beppe Grillo.
Sono ormai abbastanza adulto da ricordare che di laboratori politici la nostra storia patria è piena: dalle elezioni del 1948 in poi (quando finì l’esperienza dei Governi di Liberazione Nazionale con democrastiani e comunisti insieme) di laboratori ne abbiamo visti veramente tanti. Senza voler ritornare troppo indietro nel tempo ricordo bene – perché quasi maggiorenne – dei primi laboratori della seconda repubblica: ai due vertici più importanti della Trinacria, a Palermo e a Catania, intorno a metà degli anni ’80 si sperimentavano i primi governi cittadini primaverili, con Orlando e Bianco sindaci dei due principali capoluoghi siciliani, dove due esperimenti avevano preso la luce. Nella capitale siciliana nasceva in quegli anni un’associazione di cittadini chiamata la Rete nella quale partecipavano anche esponenti di vari partiti e fra essi appunto Leoluca Orlando della corrente di sinistra della Democrazia Cristiana, in netta opposizione agli andreottiani di Salvo Lima, poi ucciso nell’aprile del 1992 da Cosa Nostra.
Nella provincia etnea, nella mia Catania, nasceva l’esperimento della prima sindacatura di Enzo Bianco, nata con l’appoggio veemente di un altro e ben più famoso movimento e partito nazionale, che aveva trovato nell’esponente del Partito Repubblicano l’uomo nuovo per la primavera catanese: il Partito Radicale.
Fu Marco Pannella in persona a calare (versione siciliana del famoso arcoriano scendere in campo) a Catania e partecipare attivamente alle elezioni del Consiglio Comunale che poi portarono alla formazione della prima Giunta Bianco. Un laboratorio, appunto, si diceva all’epoca. In effetti l’euforia fu tanta: le sedute pirotecniche del Consiglio Comunale venivano trasmesse (e ben seguite) dalle emittenti locali etnee e contribuirono certamente ad aumentare la coscienza civica di noi catanesi.
Dopo il referendum elettorale promosso da Mariotto Segni e la conseguente nuova legge elettorale per l’elezione dei Sindaci (che anche in Sicilia poi fu adottata) i laboratori in Italia si moltiplicarono: nel 1993 al ballottaggio per il sindaco di Catania arrivarono Enzo Bianco, appoggiato dal PDS, dal PRI e da altri partiti di centrosinistra, contrapposto a Claudio Fava, appoggiato dalla Rete e da Rifondazione. Sembrava – Catania – una città emiliana per aver portato al ballottaggio due esponenti di sinistra, nonostante pezzi da novanta quali Enzo Trantino e Benito Paolone del Movimento Sociale Italiano, ancora non sciolto e confluito in Alleanza Nazionale.
Contemporaneamente, in quella primavera di diciannove anni fa, si eleggeva Diego Novelli a Torino, Francesco Rutelli a Roma, Leoluca Orlando a Palermo (come per Bianco il di nuovo sindaco palermitano si ubriacò con l’investitura popolare per la prima volta, dopo la sindacatura ante referendum) e sembrava che il centrosinistra dovesse fare cappotto in tutte le elezioni che si sarebbero susseguite dal 1993 in poi.
Anche nella Milano sconvolta da Tangentopoli vi era un laboratorio: era guidato da Marco Formentin e da un nuovo movimento che l’anno prima aveva sbancato alle elezioni politiche, la Lega di Umberto Bossi.
Qualche decennio dopo abbiamo avuto altri laboratori, quello di Guazzaloca a Bologna, quello di Vendola in Puglia, quello di De Magistris a Napoli, quello di Pisapia a Milano.
I risultati di questi laboratori credo siano sotto gli occhi di tutti: si chiama Seconda Repubblica con la mutazione del sistema elettorale in un confronto fra opposte tifoserie, con un ventennio di referendum ad personam fra chi aveva giurato fedeltà ad un uomo, Silvio Berlusconi, e chi invece lo voleva fuori dai giochi o nelle patrie galere.
Naturalmente alcuni dei nuovi laboratori sono stati lanciati lo scorso anno (e giusto ieri) ma se analizziamo con la lente storica i vecchi laboratori possiamo trarne una importante lezione: se non cambiamo noi cittadini, la nostra testa, alla fine non cambierà nulla. A Palermo il sindaco è Leoluca Orlando, che non è un omonimo, è lo stesso di trenta anni fa, nominato la prima volta sindaco di Palermo il 13 maggio 1985 (giusto per capire il periodo storico Michail Gorbacev si era insediato solo due mesi prima a capo del PCUS in Unione Sovietica!).
A Milano dopo il laboratorio leghista di Formentin si è visto cosa è stata l’Amministrazione comunale della Moratti e la Regione Lombardia di Formigoni e la Lega di Umberto Bossi, il movimento che doveva portare il vento nuovo del Nord, è stata spazzata via dalla propria corruzione e ingordigia.
A Catania dopo la sbornia di Bianco che portò il Centro Storico ad una bellezza accecante abbiamo avuto le giunte Scapagnini, medico personale del Cavaliere, che hanno condotto la mia città sull’orlo del baratro e in tutta la Sicilia abbiamo avuto un solo signore e padrone: Raffaele Lombardo, dopo una dura lotta con Totò Cuffaro uscito di scena per la condanna per mafia ed ora ospite delle patrie galere a Rebibbia (e per Lombardo sta per aprirsi un processo per lo stesso reato).
Adesso abbiamo un nuovo laboratorio – a Parma – e mi auguro sinceramente che Pizzarotti riesca ad amministrare una stupenda città che l’amministrazione precedente ha devastato.
Ma la cosa che più spero è che non venga dilapidato un patrimonio di consenso e di partecipazione dal basso (anche l’elezione di Doria a Genova proviene dal basso, sebbene con un altro meccanismo rispetto ai meetup di Grillo) che avrebbe come risultato altri venti anni di demagogia: è relativamente semplice per un comico parlare alla pancia di un Paese e a trovare un nocciolo di malcontento dal quale far partire la scalata al Governo nazionale. Lo ha fatto Berlusconi nel 1994 (anche lui si è presentato come antipartitico e anche lui è stato più un comico, specialmente nei meeting internazionali, che un uomo di stato), lo sta facendo Grillo adesso e magari ci sarà qualcun altro. Se gli italiani la smetteranno – una volta per tutte – di cercare sempre l’uomo della Provvidenza allora forse tutti questi laboratori avranno dato i loro frutti, altrimenti la giostra ricomincerà e ci sarà sempre qualcuno che calerà dall’alto con un programma miracoloso per il Bengodi.
p.s. A scanso di equivoci sono sempre più convinto, dopo queste elezioni, che la presenza di una risposta di sinistra ai problemi della società italiana sia necessaria. Penso infatti che il Partito Democratico si debba sobbarcare – finalmente – il peso della responsabilità di essere il primo partito italiano e disegnare non un alternativa di governo, alleandosi con questo o con quello, né un chilometrico programma come nel 2006 con l’Unione di Romano Prodi. Quello che deve fare è innanzi tutto immaginare un nuovo modello di società, basato sulla coesione, sulla responsabilità sociale dei singoli, una nuova ideologia per tutte quelle persone – come me – che pensano che ci debba essere una risposta di sinistra ai problemi della gente. Non basta infatti un bel programmino in pdf e metterlo in rete (per quello siamo bravi tutti!): serve un credibile percorso verso una società più equa e più giusta, più laica e più tollerante, più libera e più coesa. Penso sia questa la vera sfida che il Movimento di Grillo sta portando alle forze politiche: allo stesso tempo il comico genovese dovrebbe fare un gesto che smonterebbe tutti gli scetticismi attorno al suo movimento. Dovrebbe costituire un’associazione formale (in barba alle stupidaggini sulla non-associazione e sul non-statuto) e donare nome, simbolo e contenuti al Movimento. Perché fino a quando egli è il depositario del Marchio, il titolare unico del suo blog, e le campagne elettorali si fanno con la Casaleggio & Associati più che democrazia dal basso e orizzontale assomiglia invece ad una gigantesca operazione di marketing. E soprattutto sarebbe il caso che anche il linguaggio cambiasse un pochino: le persone normali prima o poi si rompono di ascoltare parole come Salme, Rigor Montis, Cancronesi, Psiconano e tutta quella serie di epiteti e insulti che il blogger genovese quotidianamente riversa su internet. Per quanto mi riguarda voterò PD anche il prossimo anno perché se c’è una cosa che non sopporto a sinistra è questa sindrome del “puro più puro”, del “comunista più comunista” del vecchio PCI, del “laico più laico”. La frantumazione a sinistra, in nome di risultati da prefissi telefonico, è forse il regalo più grande che si possa fare alla destra e alla demagogia.