Un venerdì americano

 In POLITICA

Lungo il corridoio del Nordest, quello che corre da Boston a Washington, passando per Filadelfia, dove vivono qualcosa come 44 milioni di abitanti (regolari) secondo l’ultimo censimento, tre quarti del totale della popolazione italiana, vanno in scena oggi due eventi quasi dicotomici: a Camp David, località poco fuori dalla Capitale statunitense, dove ha sede una delle residenze della Presidenza americana, si terrà un nervoso vertice del G8, dove Angela Merkel dovrà fronteggiare le richieste di Obama e Monti sulla crescita e dove farà il suo esordio, in un contesto mondiale, il neo presidente francese François Hollande. Con la bomba di JP Morgan piombata sul tavolo c’è da pensare che l’argomento finanza e lo strapotere delle banche e della Finanza sarà toccato dai capi di stato e di governo ospiti di Barack Obama. Quasi contemporaneamente, nel tempio della Finanza mondiale, a Wall Street, nella parte meridionale dell’isola di Manhattan, un giovane newyorchese, Mark Zuckerberg, festeggerà il suo ventottesimo compleanno (che occorreva lunedì scorso), suonando la campanella del New York Stock Exchange e portando la sua giovane corporation, nata per gioco nei dormitori di un college ad Harvard, sull’ottovolante dei mercati che contano e già si ipotizza che rastrellerà miliardi e miliardi di dollari al suo esordio in borsa.

Guardo sempre con molta ammirazione e altrettanta preoccupazione questo capitalismo americano: il fondatore di Facebook era giovanissimo quando la bolla speculativa della cosiddetta new economy scoppiò, sul finire dello scorso secolo, e il ricordo di quelle giornate, di quando cadevano come birilli società fondate soltanto con l’intento di fare soldi in borsa e che poi fallirono per assenza di mercato, è ancora nitidissimo. Non so cosa accadrà al più noto social network del mondo e mi auguro che questo non sia l’inizio di un ennesimo bluff finanziario, ma le perplessità su asset e ricavi futuri di questa società mi rimangono.

Sarà perché vivendo al di qua dell’Atlantico, ed in un Paese a bassissimo tasso tecnologico come il nostro, mi viene molto complicato comprendere se i ricavi da pubblicità sul portale bianco e blu possano tradursi veramente in un business profittevole e indurre una crescita di determinati comparti: sta di fatto che comunque gli USA rappresentano ancora una volta il centro di interessanti novità nel mondo del business. Amareggia pensare che anche le intelligenze più innovative e più eclettiche del Belpaese debbano andare nella Valley per poter trovare capitali con i quali mettere su aziende altrimenti impossibili da creare nel nostro Paese.

Da nemmeno un mese ho un cuginetto americano, figlio di una cugina di primo grado nato in California a fine aprile: gli auguro che il suo doppio passaporto possa essere per lui il lasciapassare nella vita per trovare il meglio di entrambe le culture, evitando luoghi comuni come pizza, mafia e mandolino lì e whiskey and soda qui.

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