Un Paese di provincia

 In POLITICA

La sera di domenica ho ascoltato i commenti sulla vittoria di François Hollande alle presidenziali francesi attravero la televisione francese France 24. Purtroppo il mio francese è così basic che ho dovuto quasi subito accendere il canale in lingua inglese della stessa emittente. Ovviamente tutti i canali informativi italiani, Rai News, TGCOM 24, SKYTG 24 e i tre telegiornali delle 20, TG1, TG5 e TG la7, stavano commentando lo stesso evento e la stessa cosa tutti i maggiori network internazionali in lingua inglese: BBC, CNN, Al Jazeera. Ho preferito il canale francese proprio perché era trasmesso dalla redazione francese, con giornalisti francesi, ma era in inglese.

Ho constatato quindi che tra i sette paesi più industrializzati, che non sono di madrelingua inglese, tre hanno canali informativi nella lingua d’oltremanica, mentre soltanto uno non ha nessun telegiornale, né rete all news, nella lingua franca del mondo contemporaneo.

Quel Paese è ovviamente il nostro.

Ho notato infatti come in Germania vi sia la Deutsche Welle, il Giappone ha la NHK World e come detto in Francia vi è la France 24. Nei paesi ad economia fortemente in crescita, come la Cina (che per inciso ha per definizione la lingua più parlata del mondo, il mandarino, dato che ha un numero di abitanti enorme!), abbiamo la CCTV che trasmette in inglese e ormai ha il suo HQ a Times Square a New York e la Russia ha il suo canale all news Russia Today.

Tutte queste emittenti hanno più o meno un punto in comune e cioè che sono in qualche modo pubbliche, cioè di proprietà dello Stato.

Soltanto in Italia la televisione pubblica, intendo dire quella che dovrebbe essere pubblica e finanziata con i soldi del canone televisivo, non ha ritenuto necessario, nel XXI secolo, mettere su una redazione che lavori, trasmetta e produca programmi in lingua inglese, mentre ha continuato per anni a distribuire obbrobri come Rai International o si è accontentata di un Rai Med, per il bacino del Mediterraneo, quasi a volersi confinare più nel vecchio impero romano che nel mondo globalizzato.

Qui c’è tutto il nostro provincialismo: pensare che la televisione italiana debba servire soltanto a far sentire meno soli i nostri connazionali all’estero, in una visione quasi di inizio Novecento, quando l’emigrazione dal nostro Paese era di poveri disperati in cerca di fortuna al di là degli oceani.

Non ci si è resi conto invece che oggigiorno i nostri connazionali emigranti hanno un livello di cultura e di istruzione molto elevato e che parlano tranquillamente l’inglese per cui non aspettano certo il TG1 trasmesso da Rai Italia (o come cavolo si chiama adesso che Rai Corporation è stata liquidata) per sapere cosa accade nel mondo e certamente non bramano dalla voglia di sorbirsi tutti i santi martedì e giovedì i talk show all’italiana.

Sarà un caso ma questo unico paese (fra quelli industrializzati e cosiddetti civilizzati), nel quale non esiste un canale informativo all news nella lingua parlata da tutto il mondo che conta, è lo stesso nel quale esiste ancora un Ordine dei Giornalisti per esercitare la professione dell’informazione. E nel quale il Servizio Pubblico radiotelevisivo, anziché fare servizio pubblico, continua a scimmiottare le televisioni commerciali che per definizione hanno il compito di dare profitto ai loro proprietari.

Una volta si diceva che la letteratura era lo specchio dei tempi e sicuramente ancora è vero: ho l’impressione che bisognerebbe aggiungere la televisione e l’informazione, per comprendere pienamente una società nella quale si vive. E così mentre in Italia continua ad arrancare la banda larga (per ovvi conflitti di interessi con la televisione del Biscione) e l’informazione è avvitata su se stessa e sui fatti di casa propria, negli altri paesi si aprono finestre sul mondo, per capire come stare in mezzo agli altri e non a isolarsi come vorremmo fare qui.

Basta aprire la rassegna stampa di ieri, dei maggiori quotidiani mondiali, e confrontarla con quella italiana per capire come ci stiamo condannando sempre di più ad essere sempre di più una provincia lontana, anziché provare a divenire uno dei centri culturali del mondo: e considerando che il patrimonio culturale ed artistico del Belpaese non è minimamente confrontabile con quello che le altre nazioni possiedono è forse questo un crimine contro le future generazioni ancora più grande del debito pubblico.

 

p.s. per amor di patria non commento la rassegna stampa odierna: dopo il titolo del Tempo di ieri (Hanno vinto i fasciocomunisti) non riesco proprio a leggere la caterva di banalità che quasi tutti i quotidiani in edicola ci propinano oggi per commentare le elezioni amministrative dello scorso weekend.

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