Servire lo Stato

 In POLITICA

Camillo Padoa-Schioppa, figlio dell’ex ministro dell’Economia e delle Finanze Tommaso, scomparso poco più di un anno fa, riportava un pensiero del padre, sul ruolo del servitore dello stato, durante la commemorazione pubblica all’Università Bocconi di Milano, presieduta all’epoca dall’attuale Presidente del Consiglio Mario Monti. Raccontava Padoa-Schioppa jr. che negli anni ’70 il padre lavorava al Servizio Studi della Banca d’Italia:

“… Aveva quindi un salario da middle class. Un giorno, parlavo con i miei genitori del fatto che nel settore pubblico si guadagna meno che nel settore privato, e chiesi loro il perché. E mio padre mi disse ‒ e questa è forse la frase che meglio descrive il suo atteggiamento ‒ se uno ha la fortuna di lavorare per il suo Paese è giusto che faccia qualche sacrificio.”

Ieri sono stati pubblicati i redditi e i patrimoni dei membri del nostro governo e speriamo che la morbosità dei media si possa finalmente attenuare. È singolare come, dopo un ventennio in cui i conflitti fra interessi privati e pubblici fossero – per usare un eufemismo – esplosivi, i media si siano accaniti come non mai affinché la scadenza dei 90 giorni, per la pubblicazione della situazione patrimoniale dei governanti,  fosse rispettata al minuto, in un paese che ha conosciuto ricorsi per liste elettorali presentate in ritardo, una pubblica amministrazione e un legalese che hanno inventato la differenza tra il “termine perentorio” e il termine per così dire “normale“, teorizzando il primo con l’espressione “entro e non oltre” e il secondo con “entro“, e giustificando il mancato rispetto del secondo proprio per l’assenza della perentorietà!

Anche oggi, scorrendo le prime pagine di alcuni quotidiani (chiamiamoli così per motivi letterali, essendo in edicola ogni giorno!), il giallo è il ritardo del Presidente Monti, reo di aver presentato la sua dichiarazione alle 23 (cosa che ha fregato il Giornale di Sallusti che in una prima edizione ha pubblicato che il professore non aveva pubblicato nulla: evidentemente alle 23 Sallusti, Feltri e Porro erano a ballare in qualche festino carnevalesco!).

Poi naturalmente c’è soddisfazione per questo atto di trasparenza, incredulità per il fatto che Corrado Passera abbia rinunciato ad una buonuscita milionaria (si pensi che Alessandro Profumo andò via da Unicredit con 40, diconsi quaranta, milioni di euro di liquidazione)  e magari un po’ di curiosità per la baita di Giarda, la moto di Terzi, le auto in massima parte tedesche, i fondi, le azioni, i conti correnti.

E soprattutto gli immobili, quanti immobili possiedono questi ministri! E proprio da qui vorrei partire per un piccolo ragionamento.

I membri del governo sono di fatto degli investitori molto accorti: il buon vecchio mattone non si batte mai, in Italia, a Parigi, a Bruxelles o a New York. Ma la quantità degli immobili posseduti fa saltare all’occhio la grande differenza fra questo esecutivo (che ho sempre sostenuto fosse conservatore, se non di destra) e gli esecutivi ufficialmente di centro-destra guidati da Silvio Berlusconi. Uno dei primi atti del secondo gabinetto del Cavaliere fu la cancellazione della tassa di successione e di donazione per i grandi patrimoni e la depenalizzazione del falso in bilancio, due delle tantissime leggi ad personam o ad familiam che la sedicente maggioranza neo-liberista in Italia ha avuto l’arroganza di approvare. Nell’ultimo Governo Berlusconi inoltre il primo provvedimento fu la totale cancellazione dell’ICI sulla prima casa, che ha contribuito in maniera determinante ad affossare gli enti locali e ha dato luogo ad una corsa folle a finte separazioni e false residenze pur di non pagare il balzello, l’unico di fatto federalista in un contesto di imposizione fiscale fortemente centralista.

Ebbene il governo Monti, lo scorso dicembre, ha reintrodotto un’imposta, quella sugli immobili che è innanzi tutto contro i loro stessi interessi personali, visto quanti e che immobili i membri del Governo possiedono.

Questo Governo non sarà il migliore che ci si potesse aspettare ma sicuramente sta introducendo delle novità in tema di trasparenza e di gestione della cosa pubblica che sono effettivamente significative. Poi naturalmente ci sono commentatori probabilmente a lutto per il fatto che Corrado Passera abbia non solo venduto tutte le azioni di Intesa che possedeva, ad un prezzo sicuramente basso e quindi perdendoci qualche milione di euro, ma ha addirittura rifiutato di negoziare una qualunque buonuscita, cosa che gli sarebbe comunque spettata, e ha accettato di fare il ministro guadagnando molto di meno di quello che percepiva come amministratore delegato di Intesa. E qui mi è tornato in mente Tommaso Padoa-Schioppa e la sua frase degli anni ’70 rivolta ai suoi bambini “se uno ha la fortuna di lavorare per il suo paese è giusto che faccia qualche sacrificio“.

Al di là del rigore morale che esprime una frase del genere c’è però nel paese un rapporto malato con la ricchezza e con il denaro: sarà probabilmente il combinato-disposto di una certa cultura di sinistra, che vede – ancora –  i soldi e la proprietà (spesso degli altri!) come qualcosa da espropriare o frutto comunque e sempre di corruzione morale o fisica da parte del Capitale e quindi del padrone, e di una visione pseudo-cattolica che vede nel danaro il mammona, il Satana, e che fare soldi o guadagnare bene sia comunque una sorta di peccato (e ben venga il ministro Severino a sottolineare che non lo è), un qualcosa di cui vergognarsi.

C’è tuttavia in questo elenco di redditi e di patrimoni qualcosa che non mi convince ed è l’assenza di redditi e patrimoni “normali” prima dell’esercizio della carica ministeriale. Con l’eccezione del maestro Doria tutti i membri del governo sono dei ricchi signori, con patrimoni consistenti alle spalle e che hanno lasciato lavori ben più retribuiti per servire lo stato. Quasi una sorta di sacrificio di un pezzo del paese, quello alto-borghese, che decide di occuparsi delle cose pubbliche e quindi anche dei più poveri, degli emarginati, delle altre “classi” si direbbe in una visione marxiana della società.

Ne parla Vittorio Zucconi oggi sul suo blog: il punto è che proprio perché non si può essere governati in eterno da un gruppo, che per censo ci concede un po’ del tempo a sua disposizione,  è la Politica (si noti la maiuscola) che deve tornare ad essere alta e nobile e deve consentire a tutti di avere le opportunità affinché chi vuole possa servire il proprio paese anche senza essere supermanager, alti funzionari dello Stato o stimatissimi professori universitari. Perché una delle grandi conquiste del secolo scorso, con il suffragio universale e l’indennità dei parlamentari, era proprio quella di garantire che non fossero soltanto i ricchi a fare Politica ma che chiunque potesse aspirare a sedere in Parlamento, senza per questo rimetterci di tasca propria.

Diventa quindi importantissimo come finanziare la Politica affinché funzioni proprio per la ragione stessa della sua esistenza, per occuparsi dei problemi comuni e non dei problemi dei singoli. Altrimenti la gestione della cosa pubblica sarà appannaggio dei diversi populismi, di destra con Berlusconi e i suoi ricchi simili che in forza del denaro pensano di poter comprare tutto, di sinistra (si fa per dire) con Di Pietro o Grillo che parlano solo alla pancia della gente! Populismi che oggi si riflettono anche in certa carta stampata: il Giornale e Libero da una parte sono il controcanto de il Fatto Quotidiano dell’altra.

Molti sognano un sistema all’americana, con un finanziamento trasparente da parte dei cittadini, la  deducibilità dalla propria dichiarazione dei redditi. Ma il problema è uno: per fare cosa? Qual è la visione della società che partiti, federazioni, poli, movimenti propongono e per la quale rischierebbero in proprio per attirare finanziamenti? Quali sono i leader che incarnano queste visioni? Ho ricevuto qualche giorno fa l’invito dello Staff di Barack Obama a fare una donazione per vincere la lotteria di un invito a cena con il Presidente! Premesso che non posso partecipare in quanto non sono cittadino americano e quindi non posso donare nulla (serve il Social Security Number, il codice fiscale statunitense) se ne avessi avuto la possibilità l’avrei fatto perché Obama è un grande e carismatico leader (senza bisogno di ricorrere alla patonza che deve girare come il Cav.) ma è soprattutto un uomo politico con il quale parlare di Politica, di futuro, di visione. Un uomo che non sta esitando a giocarsi tutte le sue chance di rielezione parlando di scuola e ricerca e tagliando tutto tranne quello!

In Italia invece abbiamo a destra lo stato confusionale di un partito che non è mai esistito e che è stato semmai l’ufficio propagnanda di una specie di impresario spacciatosi per imprenditore arricchito, e a sinistra un partito nato male, sotto i migliori auspici, ma che è prigioniero di una nomenclatura e di un gruppo di funzionari che hanno combinato il peggio del PCI, con il suo Comitato Centrale, e il peggio della DC, con le sue correnti e divisioni, perdendo di vista che la funzione principale di un partito è quello di saper vedere lontano, immaginare – da sinistra – una soluzione non solo alla conservazione dei posti di lavoro e del lavoro di chi ce l’ha, ma anche progettare e proporre soluzioni per creare lavoro per chi non ce l’ha, proteggere chi è senza protezione, far crescere la ricchezza di chi è più indietro. Invece questa sinistra, e per certi versi questo sindacato, è prigioniero di schemi del passato che vedono la ricchezza (degli altri) come un nemico e mirano alla sola ed esclusiva conservazione dello status quo.

Adesso che i professori hanno messo a disposizioni i loro dati patrimoniali, e sappiamo quanto hanno guadagnato e che interessi hanno in campo economico, forse sarebbe il caso che partiti, giornali, opinion maker si occupino di come – quando la stagione dei tecnici finirà – la Politica dovrà tornare a parlare al cuore e alla mente delle persone, di cosa dovrà dire e di come dovrà comportarsi, per recuperare quella credibilità che in questi 100 giorni di Governo Monti sembra essere completamente perduta, tanta e tale è la differenza e il distacco tra la sobrietà dell’esecutivo e la rissosità del Parlamento.

 

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