The day after the rain
Non è certo colpa soltanto di Alemanno se ieri mattina Roma si è trasformata in un grande e immenso caos per il nubifragio che si è scatenato sulla capitale all’alba. Sarebbe veramente ingeneroso e fazioso prendersela solo ed esclusivamente con l’attuale sindaco di Roma, considerando che l’ex esponente missino è sindaco soltanto da tre anni e il disastro al quale ciclicamente si assiste, nella città eterna, è responsabilità di tutti i sindaci, di tutte le giunte, comunale, provinciale e regionale, di tutti i governi del Regno prima e della Repubblica poi.
È quindi in definitiva anche colpa un po’ nostra, di tutti i cittadini, di Roma e non solo, che contribuiamo con i nostri comportamenti e con le nostre scelte affinché la capitale del nostro Paese si distanzi sempre di più dagli standard qualitativi delle altre capitali europee e delle maggiori metropoli del mondo occidentale.
Ne parlavo ultimamente con un collega: è proprio folle il modello di viabilità di questa città (non dissimile da altre grandi città d’Italia), tutto centrato sul trasporto privato e per la maggior parte di un trasporto basato su autovetture riempite da una singola persona. La cosa che mi colpì a Los Angeles fu che nelle freeway della megalopoli californiana vi era una corsia chiamata car pooling, dove potevano correre soltanto autovetture con almeno due passeggeri. Le strade erano ugualmente intasate (LA ha un pessimo sistema di trasporto pubblico a mio avviso) ma sicuramente lo erano di meno di quello che sarebbero state se i passeggeri di questa corsia avessero scelto di prendere ciascuno un’autovettura.
Naturalmente è ovvio che una soluzione del genere è praticabile in una città abbastanza nuova come Los Angeles, mentre risulta impossibile in una ultramillenaria come Roma. Il problema però si deve affrontare: assistiamo ultimamente allo svuotamento progressivo del centro storico, ormai riservato soltanto ai super ricchi. Molti romani sono costretti, dall’affitto esoso, a spostarsi verso la periferie, talvolta in zone nuove a cavallo del raccordo anulare, altri ancor oltre nella provincia, senza che siano stati pensati servizi di trasporto decenti dalle zone nuove o facilitazioni per i pendolari che sono costretti a utilizzare le ferrorie regionali che sono un vero scandalo, moderni carri del bestiame, dove al posto delle bestie ci sono lavoratori e cittadini di questo strano Paese. Chi ancora si può permettere di vivere a Roma è obbligato a utilizzare un mezzo a due ruote oppure a mettersi il cuore in pace e trascorrere ore sui mezzi o in auto.
Chi scrive abita relativamente vicino al posto di lavoro: sono nemmeno otto chilometri che compio la mattina attraverso una combinazione di gambe, bus e nuovamente gambe, mentre al ritorno da gambe e due bus. Ebbene questi otto chilometri vengono percorsi in media in poco più di un’ora, utilizzando bus espressi, che viaggiano su corsie che dovrebbero essere preferenziali ma che in realtà diventano corsie per i privilegiati (auto delle FF.AA. non in servizio di emergenza, corpo diplomatico, auto blu e in alcune zone di Roma anche per i motocicli), in condizioni di sicurezza che non credo siano proprio rispettate.
Leggevo stamane sulle pagine de “la Repubblica” che statisticamente sono 720.000 i lavoratori romani che si spostano nella fascia oraria che ieri è stata colpita dal maltempo. Di questi 160.000 sono passeggeri dei servizi pubblici, mentre 560.000 coloro che preferiscono (o devono) adoperare i mezzi privati. Sono numeri francamente incredibili e vergognosi. E sinceramente le grida dell’opposizione di centrosinistra farebbero bene a tacere su questo argomento: prima di Alemanno Roma è stata amministrata da Rutelli e da Veltroni (e prima ancora da esponenti DC, PSI e PCI) e soltanto la scelta poco felice di riproporre Rutelli, nel 2008, ha consegnato la città agli ex missini. Roma è una città sicuramente non di destra, come si evince facilmente spulciando i risultati proprio del 2008, quando Nicola Zingaretti strapazzava il suo avversario, nei confini della Capitale, nelle elezioni provinciali. Certo la giunta attuale ha vinto le elezioni del 2008 promettendo trasparenza e lavori pubblici che non si sono visti, impegnati come sono stati nella spartizione di poltrone a parenti e amici nelle due società principali della capitale, l’Atac e l’Ama. E sarebbe preferibile che l’opposizione chieda le dimissioni del Sindaco e le nuove elezioni capitoline per queste questioni, per l’assenza di una politica per la collettività e la fine di una logica clientelare che vede chi sale al potere occupare tutte le poltrone occupabili. Ma dopo averle chieste, queste dimissioni, sarebbe bene che gli esponenti dell’opposizione si interrogassero su cosa vogliono effettivamente fare per questa città, quale tipo di sviluppo sia veramente sostenibile per la Capitale d’Italia nel XXI secolo.
E lo stesso dovremmo cominciare a farlo noi cittadini, ponendoci un quesito analogo a quello che John Fitzgerarld Kennedy pose nel celeberrimo discorso di insediamento alla Casa Bianca a tutti gli americani: “Non chiedete cosa possa fare il paese per voi: chiedete cosa potete fare voi per il paese“. Quale modello di sviluppo può avere una metropoli come Roma se i servizi pubblici, quelli pagati dalla collettività con le loro tasse locali e con i sempre più esigui trasferimenti nazionali, sono in uno stato pietoso? Vuole Roma diventare una moderna capitale europea oppure vuole per sempre confinarsi ad un ruolo provinciale? E Roma non è soltanto l’amministrazione che può avere un colore e cinque anni dopo un altro: Roma è innanzi tutto i suoi abitanti, residenti e non, coloro che la vivono, la amano e la promuovono con i milioni di visitatori che giungono sulle loro strade. C’è un aura di immensa tristezza in questa fine del 2011 nel vedere le condizioni delle due più antiche capitali d’Occidente, Atene e Roma, esempi del declino di due orgogliose e storiche nazioni del Mediterraneo.
Ma una bella assunzione di responsabilità sarebbe il caso che tutta la classe dirigente prima o poi la faccia: se Roma ha due sole linee della metropolitana, un’altro pezzettino quasi in esercizio, due linee in costruzione, un trasporto su rotaia ancora affidato alle Ferrovie dello Stato, integrato soltanto nel costo del biglietto del trasporto, poche linee tranviarie, filobus che si rompono spessissimo, corsie preferenziali che non vengono rispettate, uffici pubblici che vedono i cittadini non come i loro clienti finali, nonché azionisti in quanto contribuenti, ma solo come utenti e tal volta nemici, quasi dei rompiballe, se le strade di Roma sono dei colabrodo, se il servizio giardini non funziona come dovrebbe, se le rete fognaria è insufficiente, la colpa non è soltanto del Sindaco Alemanno. Come è possibile che si sia consentito di edificare tutto intorno al Grande Raccordo Anulare senza portare uno straccio di trasporto pubblico locale prima che gli immobili fossero venduti, lasciando che siano poche linee periferiche a vomitare passeggeri tutti diretti al Centro? Ed è mai possibile che gli ambientalisti italiani si scaglino contro qualunque progetto di opera pubblica senza che venga mai proposto uno straccio di proposta alternativa? Se è vero che sotto il suolo della capitale ci sono tremila anni di storia, problema che Parigi, Berlino, Londra, Madrid, Barcellona non hanno, non è che forse bisognerebbe cominciare a non pensarlo più come un problema e capire come valorizzare ogni reperto che viene trovato durante gli scavi senza rinunciare a costruire infrastrutture per fornire servizi per tutti?
Ed ha senso che il Centro Storico di Roma, e anche la prima cintura, il cosiddetto anello ferroviario, sia invaso ogni giorno da mille e mille auto blu, da una moltitudini di dirigenti, più o meno alti, che ottengono come benefit dalle loro aziende le loro belle auto aziendali e si mettono tutti in marcia verso il centro? Perché il sindaco di Londra adopera la metropolitana e il sindaco di Roma invece deve essere scarrozzato fin sopra la piazza progettata da Michelangelo?
Forse se i cittadini avessero avuto un altro esempio dall’alto, allora probabilmente la maggioranza di essi avrebbe imitato, un po’ come fanno i bimbi con le loro mamme e i loro papà. Imitare gli esempi positivi è il miglior strumento per migliorarci tutti.
Oggi è il giorno dopo: il timore che sia sempre lo stesso gattopardesco “giorno dopo“, che non cambi proprio nulla e si aspetti la prossima emergenza.
L’unica certezza di questo day after è che stamattina una bambina di tre mesi si è svegliata senza il suo papà, annegato in uno scantinato adibito ad abitazione, altro scandalo – quello della speculazione di taluni proprietari immobiliari ai danni soprattutto degli extracomunitari – che grida vendetta. Bisognerà spiegare a questa bimba, fra qualche anno, quando magari comincerà quella sfibrante fase dei perché che il suo papà, che nemmeno ricorderà, è morto per tre ore di pioggia, in una paese dove era migrato, sperando di trovare delle condizioni di vita migliori di quelle dalle quali proveniva. Probabilmente questo uomo avrà anche pensato che l’Italia fosse il suo bengodi, la sua occasione per sopravvivere a questo mondo, provenendo dalla povertà estrema di un angolo remoto del pianeta.
A questa bimba, che presumo sia nata qui in Italia e che soltanto degli stolti considereranno straniera, vorrei mandare un bacio paterno e cantarle una ninna nanna, una di quelle che tantissime volte canto ad Elisa, talvolta anche contro voglia preso dalla stanchezza e dallo stress, ma che lei non potrà mai ascoltare dal suo papà.