I mercanti e il Tempio

 In POLITICA

James Watt, l’inventore scozzese, intorno alla metà del Settecento, perfezionò un’invenzione che sarebbe diventata nel corso dei successivi due secoli, fondamento tecnologico per quella rivoluzione industriale che stravolse completamente il mondo occidentale fino ad allora conosciuto, basato prevalentemente sull’economia agraria. Lo scienziato non avrebbe sicuramente immaginato che quel suo prototipo, la macchina a vapore, sarebbe un giorno servito per spostarsi velocemente da una città ad un’altra senza cavalli o muli, per volare come gli uccelli o per portare a spasso sulla luna degli esseri umani. E non avrebbe immaginato che quella sua invenzione sarebbe stata alla base dei più grandi conflitti sociali degli ultimi due secoli. Già, perché dopo la rivoluzione industriale e la nascita delle prime fabbriche, era inevitabile che si sviluppassero i pensieri filosofici che ci hanno accompagnato sino ai giorni d’oggi, a partire dal Manifesto di Karl Marx, base per tutte le rivendicazioni operai del XIX e del XX secolo.

Per oltre un secolo e mezzo lavoro e capitale si sono scontrati a colpi di ideologia e di compromessi: i lavoratori – specialmente qui in Europa – hanno ottenuto a poco a poco conquiste e riconoscimenti sicuramente impensabili a metà Ottocento, cercando man mano di superare il concetto del padrone, vero dominus dell’economia agraria di allora. In Italia, in particolare, l’avvento dei governi di centrosinistra, caldeggiato da Fanfani e Moro, nella Democrazia Cristiana da un lato, e da Nenni, nel Partito Socialista Italiano dall’altro, portò allo Statuto dei Lavoratori nel 1970, nato dalla penna intelligente di un socialista illuminato, Gino Giugni, morto due anni fa dopo una vita spesa per i lavoratori e per i loro diritti.

Dal dopoguerra in poi generazioni di lavoratori, operai e impiegati, sono riusciti ad ottenere faticosamente delle conquiste sindacali di enorme portata: spesso – nel parlare dello statuto dei lavoratori – parliamo sempre e soltanto di articolo 18, quello che disciplina il licenziamento senza giusta causa e obbliga il datore di lavoro (non più padrone, finora almeno!) al reintegro del dipendente, ovvero all’indennizzo per i casi previsti dalla legge. Certo questo articolo è importantissimo, specialmente in un tessuto imprenditoriale come quello nostro dove vi sono una miriade di imprese con meno di 15 dipendenti dove il datore di lavoro spesso si sente, appunto, un padrone.

Ma lo statuto non prevede soltanto questo: disciplina diritti inviolabili dei lavoratori, ne valorizza il valore intrinseco e non li considera un puro numero di matricola sul libro paga.

Riconosce la validità dei contratti collettivi, stabilendo un principio sacrosanto e cioè che per lo stesso identico lavoro non vi possano essere discriminazioni salariali: naturalmente il mercato regola anche il compenso ma il sistema dei minimi indiscutibili è una conquista sociale di enorme importanza, indipendentemente dal sesso, dalla religione, dalla residenza.

Tutte queste conquiste sociali della classe operaia e impiegatizia sono l’architrave del moderno benessere che abbiamo guadagnato man mano nel nostro Paese dopo le macerie del conflitto mondiale. Fino al 14 settembre 2011, data di approvazione da parte della Camera dei Deputati, della quinta versione della manovra economica varata dal Governo italiano nel mese di agosto. Come sottolinea oggi, 15 settembre, Luciano Gallino su “la Repubblica” il famoso articolo 8 della manovra, che ha portato la CGIL a proclamare lo Sciopero Generale del 6 settembre scorso, interviene sì sull’articolo 18 ma anche su tante altre questioni. Dà alle rappresentanze sindacali in azienda un potere inaudito, configurando una sorta di diarchia fra i datori di lavoro da un lato e i sindacati dall’altro. Da un solo padrone a due: le specifiche intese infatti possono riguardare ogni cosa. Se ad esempio, nota Gallino, il contratto di lavoro parla di 40 ore settimanali, è il caso ad esempio del contratto dei metalmeccanici, il più diffuso anche in aziende dove un bullone non si vede nemmeno in catalogo, le specifiche intese aziendali possono portare anche a 65 ore settimanali (che significano ben 13 ore al giorno su 5 giorni lavorativi, ovvero 12 ore fino al venerdì e 5 il sabato, giusto per far di conto). L’articolo 8 in questione stabilisce che è veramente possibile derogare da tutte le leggi che regolano il mondo del lavoro. Conclude Gallino che l’articolo 8 della manovra non sia per niente emendabile ma deve essere semplicemente cancellato, per “non far fare un salto indietro di mezzo secolo alla nostra civiltà del lavoro“.

Sono rimasto molto colpito da questa conclusione del sociologo piemontese e mi sono chiesto come sia possibile, a prescindere dalla banda di irresponsabili che siede a Palazzo Chigi e in Parlamento, che il nostro Paese sia arrivato al punto da buttare nel cesso anni e anni di conquiste sociali, dopo che c’è stato anche tanto, troppo, sangue su quelle conquiste. Mi sono domandato perché il nostro Paese, che probabilmente ha la Costituzione più avanzata delle democrazie occidentali, abbia semplicemente evitato di applicarla, facendo sì che la stessa Costituzione divenisse un orpello istituzionale, carta straccia da poter calpestare a proprio piacimento. Non riesco a darmi una risposta convincente: aveva ragione forse Mussolini quando diceva che governare gli italiani era inutile? Abbiamo forse bisogno sempre di un uomo della Provvidenza per evitare di risolvere i problemi? È mai possibile che i discendenti di coloro che hanno dato al mondo intero il codice civile, l’arte, l’architettura, gli acquedotti, la letteratura, la Divina Commedia, la Cappella Sistina e via enumerando, è mai possibile che proprio costoro non riescano più ad andare avanti consolidando le scelte di civiltà, estendendone i diritti anche a chi non li possiede? In altre parole è finita la parabola evolutiva del popolo italiano ed è iniziata una fase discendente?

Questi interrogativi – lo confesso – mi tormentano: non comprendo perché le nuove generazioni debbano stare peggio di quelle che li hanno preceduti, magari non tanto in termini di salute (se l’aspettativa di vita aumenta è perché le condizioni di vita ovviamente e oggettivamente sono migliorate), ma da un punto di vista sociale. Perché sembra che sia diventato inevitabile per grandi fette della popolazione questo destino. C’è una frase che disprezzo, quando parlo con alcune persone, questa: “Si sa, è così! Non ci si può fare niente!“. Questa frase, se ci riflettiamo un attimo, è applicata a mille cose: “le poste non funzionano a dovere? Beh, si sa! È sempre stato così! “. Diviene modus vivendi della Nazione un tipico sentimento della società mafiosa, quello che “è sempre stato così! inutile lagnarsi! Il nostro destino è questo! Questa è la nostra società!“. Accettare il proprio destino per evitare quindi di esserne attori.

Quante volte si è abdicato a pensare con la nostra testa, vittime della pigrizia – pensare è faticoso, lasciandoci trasportare dagli eventi e da fantomatici leader.

C’è in questo – a mio avviso – una forte responsabilità di quello che io definisco il cattolicesimo catastrofista, quello che teorizza che la sofferenza sia necessaria sempre e comunque, una sorta di cilicio perenne nel quale l’intera società si colpisce e si flagella, come se avesse sempre una colpa da espiare. Come se il benessere e la felicità fossero dei sentimenti dei quali vergognarsi, come se l’agognare di stare meglio fosse un qualcosa per il quale chiudersi in un confessionale, battersi il petto con un Confiteor e dire un Pater, Ave et Gloria, per mettersi a posto la coscienza, come se in questo mondo non avessimo diritto ad altro che la sofferenza, giusto dazio per il premio che un giorno verrà!

Ed è in questo contesto che grida vendetta la mancata completa applicazione dell’articolo 3 della nostra Carta Fondamentale:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Si può oggettivamente asserire che l’articolo 8 in questione sia conforme a questo articolo della Costituzione? Non è evidente che anziché rimuovere gli “ostacoli” questo provvedimento approvato ieri sera impedisce de factoil pieno sviluppo della persona umana” e la partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del loro Paese? Non è evidente che un potere così smisurato nelle mani di imprese e rappresentanze maggioritarie sindacali mina alle fondamenta stesse della società italiana, senza alcun contropotere per garantire gli altri?

Dove sono tutti quei cattolici che dovrebbero applicare il Vangelo? Come possono continuare a votare leggi che contrastano anche con la Parola nella quale professano di credere? E dov’è il libero arbitrio, la capacità dell’uomo (dono di Dio per i credenti) di essere artefici del proprio destino e saper scegliere cosa è bene e cosa è male?

Cos’altro deve succedere e cos’altro dovranno compiere questi personaggi affinché da Oltre Tevere si esprima una condanna netta e inequivocabile contro provvedimenti di questo tipo e contro comportamenti cristianamente (e laicamente) immorali da parte loro? Come possono il Papa, che negli annuari pontifici porta il titolo di Vicario di Cristo qui sulla Terra, e la Curia Romana non esprimere la condanna più netta di fronte a questo continuo calpestare della dignità umana? Se si è per la vita, senza se e senza ma, e legittimamente si esprimono grandi condanne nei confronti dell’aborto e delle manipolazioni genetiche per la salvaguardia dell’embrione, perché non ci si occupa anche della vita di chi è già nato e vede i propri diritti calpestati quotidianamente in nome del salvataggio di una classe dirigente ormai intollerabile per qualunque uomo di buona volontà? Può una struttura così importante come la Chiesa Cattolica abdicare al proprio ruolo di guida (spirituale) dei cattolici per un pugno di denari, dall’otto per mille alle esenzioni fiscali sugli immobili?

Dov’è la Chiesa che segue il suo Cristo che nel Tempio di Gerusalemme mandò via a gambe levate i mercanti con le loro bancarelle?

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