Generazione Cannibale
David Cameron, primo ministro britannico, è nato a Londra il 9 ottobre 1966, compirà quindi fra poco più di un mese 45 anni: è diventato capo del suo partito a 39 anni e ha vinto le elezioni a 43. Il suo vice, Nick Glegg, leader dei liberal democratici britannici, terzo consistente (adesso) partito del Regno Unito, è nato in un villaggio a quaranta chilometri dalla capitale, Chalfont St. Giles, qualche mese dopo, il 7 gennaio 1967. Nel dicembre del 2007, a 40 anni è diventato il leader del suo partito e quindi a 43 anni compiuti viene nominato vice Primo Ministro del governo di coalizione fra i Lib-Dem e i Tories.
Dall’altro lato dell’aula del Parlamento di Westminster guida il partito laburista e il governo ombra dell’opposizione di sinistra Ed Milliband, nato a Londra la vigilia di Natale del 1969, ha vinto la battaglia politica per la direzione del suo partito (e quindi dell’opposizione parlamentare) contro suo fratello, David, tre anni e mezzo circa più anziano di lui, essendo quest’ultimo nato il 15 luglio 1965. Ed Milliband è diventato leader del Labour Party all’età di 40 anni.
Angela Merkel, cancelliera tedesca, è nata invece ad Amburgo il 17 luglio del 1954 ed è capo del governo federale tedesco dal 2005. Aveva 51 anni. Cinque anni prima, nel 2000, all’età quindi di 46 anni diveniva Presidente della CDU, la democrazia cristiana tedesca, il partito conservatore della Germania. Il leader della SPD, il principale partito di opposizione, è invece Sigmar Gabriel, nato a Goslar il 12 settembre 1959. Divenne capo del partito a 50 anni compiuti, nel novembre del 2009.
Il presidente francese Nicolas Sarkozy, parigino, è nato nella capitale francese il 28 gennaio 1955 ed è diventato capo del suo partito nel 2004 all’età di 49 anni, eletto presidente nel 2007 all’età di 52. Il partito socialista francese, all’opposizione, è guidato da Martine Aubry, figlia di Jacques Delors, anche lei parigina ma nata 5 anni circa prima, l’8 agosto del 1950 ed è diventata capo del partito a 58 anni.
Questi politici sono i leader, di governo e di opposizione, di tre dei quattro paesi con le economie più forti ed importanti dell’Unione Europea, oltre che i quattro paesi con più popolazione. La quarta economia, se non imploderà prima, è la nostra, quella italiana.
L’Italia è guidata da Silvio Berlusconi, nato a Milano il 29 settembre 1936, che come noto scese in campo nel 1994, a 57 anni. Guida ancora il suo Paese, dopo averlo fatto agli inizi della sua carriera politica e nel quinquennio 2001-2006, dal 2008 quando vinse nuovamente le elezioni all’età di 72 anni. Come si ricorderà il leader del principale partito avverso al Presidente del Consiglio era Walter Veltroni, nato a Roma il 3 luglio 1955 e diventato segretario del PD a 52 anni. Dopo le sue dimissioni e la reggenza pro-tempore del vice Dario Franceschini, ferrarese nato il 19 ottobre 1958, quindi giovanissimo – per l’Italia – leader di opposizione a 51 anni, le primarie del partito hanno eletto segretario nazionale Pier Luigi Bersani, piacentino, nato anche lui – per ironia della sorte – il 29 settembre ma del 1951, 15 anni quindi più giovane di Berlusconi, capo del suo partito all’età di 58 anni.
I leader dei maggiori partiti in Italia sono il leghista Bossi, di quasi 70 anni (li compirà il 19 settembre), Pier Ferdinando Casini (bolognese che compirà 56 anni a dicembre), Gianfranco Fini (conterraneo di Casini del gennaio 1952, quindi compirà 60 anni con l’anno nuovo) e Antonio Di Pietro (molisano, 61 anni da compiere a ottobre). Influentissimi sono sempre Massimo D’Alema, romano del 1949, in politica da una vita, già Presidente del Consiglio (a 49 anni) e Ministro degli Esteri (a 57) e Giulio Tremonti, più volte superministro dell’economia, nato a Sondrio nel 1947. Alfano, neosegretario agrigentino del PDL di 41 anni, non credo si possa definire influente, dato che comanda sempre il suo capo e a stento Tremonti gli tiene testa!
Dall’altro lato dell’Oceano Atlantico il presidente degli Stati Uniti Barack Obama è nato alle Hawaii il 4 agosto del 1961, ha infatti appena compiuto 50 anni, ed è stato eletto a 47 anni. Il leader dell’opposizione repubblicana, in realtà maggioranza in un ramo del Congresso ed intendendo con leader colui che ricopre la più alta carica istituzionale affidata ad un esponente repubblicano, è John Boehner, dell’Ohio che è nato nel 1949 ed è Speaker della Camera dei Rappresentanti dal 5 gennaio di quest’anno, all’età di 62.
Stephen Harper, primo ministro canadese, ha 52 anni ed è primo ministro dal 2006, quando di anni ne aveva 47. In Giappone è stato appena nominato il nuovo premier, Yoshihiko Noda, del 1957, quindi 54 anni. Il suo predecessore Naoto Kan aveva 11 anni in più e ha lasciato l’incarico qualche giorno fa.
Questi dati anagrafici sono relativi ai paesi del G7, cioè alle sette potenze industriali, i sette paesi più ricchi del mondo, quelli dove si sono raggiunti livelli elevati di benessere e una democrazia consolidata. Come si potrà notare facilmente, al di là di qualche puntuale eccezione e di qualche ruga, la stragrande maggioranza dei leader sono giovani o hanno cominciato la loro carriera di leader giovanissimi. Sono arrivati cioè alla leadership del loro partito, se non del governo del loro paese come nel caso inglese, ad un’età dove ancora in Italia si parla di delfini.
Questa differenza anagrafica è – a mio parere – uno dei fattori di immobilità del nostro Paese. Come può un vertice di maggioranza composto da un settantacinquenne, un settantenne e un sessantaquattrenne (Berlusconi, Bossi e Tremonti rispettivamente) potersi mai occupare efficacemente del problema generazionale che ormai è in procinto di esplodere? Anche se fossero in perfetta buona fede (sebbene questi vertici ricordano riunioni assai meno nobili che vertici politici per il bene del Paese) quali strumenti hanno per affrontare il problema delle generazioni future, loro che di futuro ne hanno poco davanti?
Come possono mai capire la realtà di un ragazzo di 20 anni, di un giovane di 30 o di un fresco padre quarantenne?
La gerontocrazia che ci governa è strutturalmente inadeguata ad affrontare il problema poiché essi sono parte del problema: fanno parte di una generazione che ha compiuto qualcosa di completamente innaturale e cioè di mangiarsi il futuro dei propri figli, lasciandoli in una condizione peggiore di quella che essi avevano ereditato dai loro padri.
Per la prima volta dal dopoguerra in poi, e francamente sembra proprio per la prima volta in assoluto nella storia moderna e contemporanea dell’Italia, la generazione dei figli e dei nipoti starà peggio di quella che li ha preceduto, dove le tanto sudate tutele sociali si sono trasformate in privilegi intollerabili e intoccabili.
Non lo so se un giorno andrò in pensione, se la prenderò o meno, se non ci saranno più soldi per pagarle, sta di fatto che quando si parla delle cause che ci hanno portato in questa situazione si parla troppo genericamente di debito pubblico. Si può avere un debito pubblico enorme (quello giapponese, ad esempio, di più del 200% del PIL) ma utilizzarlo per finanziare opere e investimenti, per far sì che il benessere e la ricchezza aumenti e si distribuisca il più possibile a tutti.
Nel nostro paese – per un’atavica mancanza di senso dello stato – si è ritenuto di adoperare il debito soltanto parzialmente per questi fini. Come si sia potuto infatti permettere di avere le baby pensioni? Ricordo benissimo di padri e madri di compagni miei di scuola che andarono in pensione a 40 anni, magari perché avevano lavorato da 18, riscattato giustamente l’anno di militare, speso qualche contributo figurativo e ritirarsi infine a 40 anni. Ritirarsi per modo di dire perché poi magari si continuava a lavorare in altro modo, cumulando la pensione e magari consulenze e perizie.
Abbiamo assistito alla trasformazione delle varie casse mutue in qualcosa di sacrosanto come il Servizio Sanitario Nazionale, conquista enorme di civiltà per una società, salvo poi distruggere quell’aggettivo, Nazionale, che dovrebbe garantire a tutta la Nazione e su tutto il territorio nazionale, lo stesso standard qualitativo del servizio e soprattutto le stesse opportunità di cura. Con il risultato che sono state spese vagonate di soldi pubblici nel settore sanitario, ricevendo in cambio – noi cittadini – l’emigrazione dei malati, con trasferte della speranza verso istituti sanitari migliori, creando nei fatti la disparità dei malati. Qualcosa che griderebbe vendetta al cospetto di Dio, si direbbe nelle Sacre Scritture.
Abbiamo visto una classe politica sperperare denaro pubblico senza pudore, inventandosi vitalizi dopo mezza legislatura (adesso portato ad un completo mandato), indennità parlamentari regionali che fanno rabbrividire se confrontate ad esempio con i congressisti statunitensi che hanno un territorio molto più vasto da affrontare. Abbiamo speso enormi quantità di denaro per finanziare fantomatici progetti di autostrada o di ammodernamento autostradale, con il risultato che prima ci mettevo otto ore per fare Catania-Roma, traghetto compreso, adesso ce ne devo impiegare dodici, con un numero di cantieri che fa assomigliare la SA-RC più ad un videogame che ad una strada europea.
Abbiamo speso soldi pubblici per sederci al tavolo della pace in Iraq, senza la benché minima dignità nazionale dopo che non si era partecipato ad alcuna campagna bellica, sempre con la solita faccia di bronzo di pensare che siano gli altri ad assumersi le responsabilità di una guerra (anche quella assurda e folle del 2003) salvo poi partecipare alla coalizione dei volenterosi (come la definì George W. Bush) che si doveva accaparrare il petrolio di Saddam. Un insegnamento del Duce addirittura migliorato, senza quel famoso “basteranno poche migliaia di morti per sedersi al tavolo della pace” pronunziato da Benito Mussolini.
Abbiamo siglato patti di amicizia con un dittatore, Gheddafi, spendendo molto di più di quello che sarebbe stato necessario per chiudere con le conseguenze del folle colonialismo del Ventennio: lo abbiamo osannato, il Colonnello, gli abbiamo fatto montare una tenda beduina a Villa Pamphilii, bloccato Roma per giorni, organizzato un banchetto a “base” di hostess per ricevere in cambio le dritte sul Bunga Bunga, con il risultato che la considerazione del Governo della Repubblica all’estero adesso è praticamente equivalente a quella dello Swaziland (con tutto il rispetto per quel minuscolo regno).
Abbiamo ascoltato i nostri politici dibattere sulla Libia come se stessero parlando di una soap opera: un ministro della Difesa galvanizzato perché finalmente poteva giocare con i suoi tornado, un ministro dell’Interno che tuonava contro la guerra, temendo un’invasione di clandestini sulle coste di Lampedusa, un Presidente del Consiglio dispiaciuto per l’amico libico, con buona pace dei massacri che quest’ultimo stesse compiendo, forse rammaricandosi di non avere appreso qualche altro costume sessuale beduino, da mettere in pratica nella sua corte brianzola.
Abbiamo visto lo Stato sperperare quattrini non accorpando le consultazioni elettorali e referendarie, solo ed esclusivamente per fini di parte, o per organizzare eventi sportivi che avrebbero dovuto portare benefici alla collettività e che invece hanno lasciato cattedrali nel deserto (si pensi all’Air Terminal di Roma Ostiense per i mondiali del ’90 o alle piscine chiuse per abusivismo dei mondiali di nuoto di due anni fa!) e le tasche piene di pochi e poco scrupolosi uomini di affari. E Dio ci scampi dai Giochi Olimpici a Roma nel 2020!
Adesso questi quattro vecchi tra i palazzi romani della politica nazionale si riuniscono e non riescono a trovare il bandolo della matassa perché ormai la matassa è troppo ingarbugliata e loro stessi non hanno più gli strumenti, se anche li avessero mai avuti, per risolvere i problemi.
Sono loro il problema perché sono gli esponenti di spicco di una generazione che si è mangiata i figli e il loro futuro, in una sorta di cannibalismo sociale che ha visto prevalere il padre sul figlio, la cosa più innaturale si possa concepire.
Buona pensione a chi ce l’ha e a chi ce l’avrà. Noi – quarantenni del 2012 – abbiamo ormai capito: almeno lasciateci il servizio sanitario nazionale per curarci la mente quando a ottanta anni andare in ufficio sarà dura.
p.s. Apprendiamo da ieri sera e dalle homepage sui siti dei maggiori quotidiani italiani che il provvedimento sui riscatti contribuivi verrà probabilmente tolto per evidenti ragioni di incostituzionalità. Certo che sette ore di vertice per partorire simili cazzate viene subito una domanda: ma che hanno fumato e bevuto quelli lì ad Arcore? O lo fanno apposta per noi blogger, professionisti o a tempo perso (sempre fancazzisti per il ministro Brunetta), così abbiamo del materiale sul quale sbraitare?