La partenza e la paura
Se stamattina non ci fossero stati Michele Serra e Massimo Gramellini, con le loro due rubriche giornaliere, “l’Amaca” e “Buongiorno“, la lettura dei giornali e le notizie sull’apertura di Piazza Affari mi avrebbero depresso ancora di più!
Il commentatore di Repubblica, con il suo elegante ed inconfondibile stile, riflette sulla scelta da parte della Bocconi di non divulgare il nome dello studente omofobo punito, scelta di grande civiltà in forte contrasto con il comune andazzo forcaiolo che spesso si legge e si vede in giro. Michele Serra approfitta di questo episodio per discernere sull’essere “migliore” che è “faticoso” ma che comunque qualcuno “deve pur farlo“. Mi hanno confortato queste parole: a volte siamo talmente sommersi dal cinismo, dal male, dall’indifferenza che ci lasciamo travolgere e ripaghiamo sempre con la stessa moneta. Certo “per fortuna il Signore di guance ce ne ha date solo due“, diceva Giulio Andreotti, ma è sempre meglio – una volta esauriti gli schiaffi e le guance – girare le spalle e proseguire per la propria strada.
Il vicedirettore della Stampa ironicamente riflette sulle ricette anticrisi dei maggiori attori sulla piazza: è un pezzo di grande ironia ed efficacia ma allo stesso tempo di crudo e terribile realismo. A rileggere le dichiarazioni di Sacconi, Berlusconi, Trichet sembra che nessuno, proprio nessuno, abbia la più pallida idea di come venire fuori da questo continuo terremoto. E allora l’ipotesi di Suor Giuliana, vicepresidente paolina, rimane l’ultima spiaggia.
Questi due trafiletti li ho letti dopo la sfilza di articoli sulla crisi economica e soprattutto dopo la tredicesima pagina de “la Repubblica“: in questa sezione del giornale diretto da Ezio Mauro era riportata la sfilza di prime pagine, homepage, commenti dei principali quotidiani inglesi, spagnoli, francesi, americani e finanziari. Tutti – conservatori e progressisti – concordavano che il principale problema in Italia è la credibilità del governo e del suo Capo. Insomma ha un nome ed un cognome e si chiama Silvio Berlusconi! Nel nostro Paese si parte per le vacanze agostane con una classe politica, capitanata dal Cavaliere, letteralmente incollata alle ormai traballanti poltrone, senza ascoltare nemmeno il brusio di un ultimo briciolo di coscienza civica che consenta loro di congedarsi dalla storia di quello che la letteratura definisce il Belpaese, culla per secoli e secoli di arte, storia e letteratura del mondo occidentale.
Il Cavaliere e la sua maggioranza parlamentare, volutamente sordi ai richiami di tutto il mondo produttivo – industriali, artigiani, commercianti, sindacati, banchieri – e dell’opinione pubblica – dalla stampa alle TV – rimangono fermi e immobili sulle loro ormai stantie posizioni di incredibile irresponsabilità, proponendo fantomatiche riforme costituzionali, dello statuto dei lavoratori, per arrivare alla pazzesca normalizzazione del conflitto di interessi, con un Presidente del Consiglio che in questa situazione di crisi invita gli italiani a investire in azioni delle proprie aziende!
Si parte per le vacanze con un stato d’animo pieno di angoscia e di paura perché il destino della nostra ricchezza, accumulata in oltre 60 anni dai nostri nonni e dai nostri padri, si sta lentamente sgretolando per l’inerzia della nostra politica, per la cecità di pochi ma potenti operatori e per l’irresponsabilità di un gruppo di potere che sembra aver scientemente deciso di far tabula rasa del tessuto sociale che il nostro Paese, in tanti anni di lotta e di conquista, aveva conquistato.
Perché il fallimento di un paese, attraverso un default del proprio debito sovrano, consiste solo in questo: tagli e ancora tagli alle spese pubbliche che in Italia, come in tutte le nazioni avanzate del mondo ed in particolare in Europa, sono spese per l’istruzione, la sanità, i trasporti, la previdenza. In altre parole tutti quei servizi pubblici che consentono anche a chi ha di meno di poter competere con chi ha di più, di poter essere curato a spese della collettività e di vivere meglio. Come ha fatto efficacemente notare il finiano Bocchino in Parlamento e in TV, i titoli di stato servono per tenere aperti gli ospedali e le scuole, per far sì insomma che anche il figlio dell’operaio abbia – almeno in teoria – la possibilità di diventare un giorno imprenditore, professionista, manager, potendo studiare con un basso impatto sul reddito della propria famiglia e poter essere curato indipendentemente da quanto guadagni.
Si va in ferie quindi con la paura che il mondo che lasceremo ai nostri figli sia peggio di quello che abbiamo ereditato noi e quello che fa rabbia, molta rabbia, è che chi ha gli strumenti per agire e per assumere su di sé la responsabilità di un’azione di contrasto, non senta il peso di questa eredità scaricata sui propri figli e nipoti, per generazioni. E soprattutto non avverta nemmeno un senso di colpa per essere stato uno degli artefici e sicuramente il protagonista assoluto di quasi venti anni di distruzione di ogni ascensore sociale.
Forse i tribunali non riusciranno mai a emettere nemmeno un giudizio di primo grado su Silvio Berlusconi, troppi cavilli e leggi ad personam porteranno alla prescrizione dei reati a lui ascritti.
Ma la storia, inesorabile, sta già scrivendo, sulle pietre angolari della nostra casa comune, a perenne memoria per le future generazioni, il terribile e pesante giudizio sul Cavaliere, l’uomo che ha incarnato un sogno che alla fine si è rivelato un vero e proprio incubo per milioni e milioni di persone e che sta trasformando il Paese in un cumulo di macerie, sociali e istituzionali. Soltanto un immenso sforzo di tutti, una sorta di piano Marshall interno, potrà salvarci e si renderà necessario per rimuovere tali macerie e per ricostruire la casa comune, il rispetto reciproco e la solidarietà sociale.