Subito, ma anche dopo
Sarà che fa caldo, è estate piena e la crisi economico-politica in Italia sta mandando in tilt il flipper della “casta” ma vorrei capire da Antonio Di Pietro che cosa significhi – in termini pratici – il suo post di oggi.
Scrive l’ex PM di Mani Pulite:
“Per restituire credibilità al paese e frenare così la speculazione finanziaria c’è una sola via: quella che porta alla crisi di governo, allo scioglimento delle Camere e poi alle elezioni anticipate, senza perdere tempo e senza provare a fare pastrocchi”
Ma se sciogli le Camere ed indici le elezioni anticipate ‘sto maledetto “porcellum” chi lo deve cambiare? L’assemblea del mio condominio?
Continua poi Tonino:
“Ma siccome sappiamo benissimo che ci sono moltissimi esponenti politici che a parole tuonano contro questa legge (il porcellum, ndr) e nei fatti se la tengono ben stretta, non ci resta che lanciarci ventre a terra nel referendum abrogativo che abbiamo proposto, all’insegna della trasparenza e del rilancio del maggioritario.
Il referendum abrogativo? E quando si rinnoverebbe allora questo Parlamento?
Perché delle due l’una: se vuoi il voto anticipato per fare una giusta “igiene” istituzionale allora si vota con la legge attuale. Pazienza, fa schifo ma almeno la parola ritorna – in linea di principio – al popolo sovrano.
Se invece pensi che questa legge elettorale è una cagata pazzesca e sarebbe meglio correggerla, tanto che hai proposto un referendum abrogativo, nel frattempo che si raccolgano le firme, vengano accettati i quesiti, si indicano i comizi referendari, si celebri la consultazione popolare e si proclami l’esito del referendum, si sciolgano finalmente le camere e quindi si rivoti per il Parlamento nazionale, che facciamo?
Chi governa nel frattempo? Risposta scontata purtroppo …
p.s. Non si è sentito nessuno fra i leader politici affermare una cosa semplicissima e cioè che chiunque vinca le elezioni, con la presente legge elettorale, si impegni a presentare, all’eventuale opposizione, immediatamente dopo aver vinto le consultazioni con il porcellum, un tavolo per cambiare la legge elettorale e in un anno, massimo due, impegnarsi a votarla e quindi a ritornare al voto con la nuova legge.
Cioè non si è sentito fare nessuna proposta “semplice” sul tema elettorale, soltanto ipotesi sempre inserite in proposte articolate e complesse di riforma costituzionale, come quella sacrosanta di riduzione del numero di parlamentari (spropositato in confronto agli altri paesi europei) ma che comunque si porterebbe via oltre metà legislatura come minimo, sempre che non sia necessario il referendum confermativo.
La sensazione è che anche con l’acqua alla gola come siamo adesso, stretti nella morsa del gioco degli speculatori (che non andranno certo in vacanza a ferragosto), anziché pensare a soluzioni semplici e veloci per uscire dall’impasse istituzionale, i nostri leader continuino a disegnare un modello di politica che non c’è più, con il risultato che si alimentino soltanto le ali estreme e i movimenti antipolitici, tipo il Tea Party negli Stati Uniti. E proprio la vicenda del budget federale statunitense dovrebbe insegnarci cosa significhi avere in parlamento una mole così forte e numerosa di irresponsabili e di sfascisti, pronti a mandare in malora tutto solo per fini politici e di potere. Il bello è che salvo pochi giornali (a proposito, grazie Mentana e grazie Varetto per i vostri TG!) nessuno ha spiegato che la cosiddetta “crisi del debito statunitense” era per semplicità giornalistica chiamata crisi del debito e che neanche avrebbe meritato due righe di cronaca finanziaria se il Congresso non fosse stato tenuto in ostaggio da una minoranza che non aveva altro in mente che spedire nel suo stato natio, alle Hawaii, il presidente Obama. I maggiori network di informazione italiana hanno collegato questa crisi, squisitamente politica di Washington, con la crisi squisitamente ed economicamente strutturale del nostro Paese, del nostro debito sovrano e dei paesi periferici dell’eurozona, come se qualora si fosse verificato il cosiddetto default tecnico del Tesoro americano, il nostro Paese potesse avere una giustificazione al proprio. Anche se la legge approvata a Capitol Hill fa obiettivamente schifo (e non capisco come la maggior parte degli americani tolleri il fatto che chi ha di più non contribuisca maggiormente nei momenti di difficoltà) sono contento che tecnicamente gli USA non vadano in default, soprattutto perché così facendo il Governo italiano è di fronte alle proprie difficoltà senza alibi e senza paraventi. Vedremo domani cosa dirà al Parlamento, cioè alla Nazione, il presidente di questo Governo. Temo purtroppo che affermerà le solite banalità e giovedì il messaggio dei mercati sarà a caratteri cubitali “A CASA“.