Eredità

 In POLITICA

Ne avevo cominciato a parlare nell’ultimo mio post, e nella replica al commento che il mio amico Nick mi ha gentilmente postato da New York, della pesante eredità che il ventennio berlusconiano ci lascerà.

Leggo che anche Roberto Perrotti, sul Sole 24 Ore di oggi, comincia a riflettere sulla triste eredità che il Cavaliere ci lascia.

Sì lo so Berlusconi è ancora capo del Governo, non si è ancora dimesso, ma è di fatto terminato il Berlusconismo, come Nichi Vendola ha commentato ieri. E Perrotti, su un giornale conservatore almeno quanto l’Economist, ci va giù veramente pesante.

Certo gli industriali e con loro un certo establishment intellettuale a loro vicino, a partire da giornale di Confindustria, dovrebbero interrogarsi su quella cambiale in bianco che hanno dato a Berlusconi nel 2001, sposando in toto le sue idee di sedicente riforma liberale, godendo della spaccatura del mondo sindacale e della società divisa, con i lavoratori dipendenti da un lato e il popolo delle partite IVA dall’altro. Ciascuno a difendere rendite di posizione in questo triste Risiko nel quale abbiamo giocato nel corso di questi venti anni.

Però bisogna dare atto a Perrotti che finalmente sul giornale degli industriali appare un’analisi impietosa dell’eredità lasciata da Berlusconi e dal Berlusconismo.

E così come avevo anche io notato (mi scuso per l’autocitazione che è sempre sgradevole nel giornalismo, anche in quello amatoriale come quello del sottoscritto), che il magazine britannico si fosse troppo soffermato sui numeri, sull’economia, i danni di Berlusconi nella società sono di gran lunga superiori, e per certi versi irreparabili, di quelli economici.

Infatti – come anche Perrotti osserva – l’economia del Paese, nonostante la grave crisi economica che il mondo occidentale ha vissuto negli ultimi tre anni, ha tenuto nei suoi numeri “generali” (assai diverso è l’impatto verso le famiglie, i lavoratori dipendenti e i pensionati, come si può tranquillamente sperimentare ogni giorno al mercato) anche grazie ai Ministri del Tesoro che via via si sono succeduti, da Lamberto Dini a Carlo Azeglio Ciampi, da Vincenzo Visco a Domenico Siniscalco, da Tommaso Padoa Schioppa all’ultimo Giulio Tremonti, e che hanno evitato il disastro.

Non si sono viste le file degli impiegati con le scatole di cartone come a Wall Street, né le file fuori dalle banche per timore di perdere tutti i soldi, come si sono viste per alcune banche inglesi.

L’economia, storicamente, vive di cicli e quindi prima o poi il ciclo positivo risalirà e quindi qualcosa andrà meglio.

Ma le eredità sul tessuto sociale saranno più difficili da superare: Perrotti parla del fatto che Berlusconi ha “infangato” il concetto di competenza. La sua politica di annunci, dal piano casa al Ponte sullo Stretto di Messina, dall’abbassamento dell’ICI all’ultima promessa di non abbattere le case abusive a Napoli, è il contrario del concetto di competenza che un manager dovrebbe possedere. Viene da chiedersi quindi se anche il Berlusconi imprenditore/impresario non sia stato altro che un bluff, un prodotto di annunci pubblicitari.

Un’altra eredità che il giornalista del Sole scrive la voglio riportare per intero:

“La terza eredità di Berlusconi è il senso di umiliazione inflitto a molti cittadini, in nome di un anticomunismo ormai patologico che sembra giustificare qualsiasi nefandezza. L’umiliazione di una legge elettorale medievale che impedisce ai cittadini di esprimersi, utilizzata dal satrapo per fare eleggere servitori senza dignità e ragazze palesemente spaesate, mentre le famiglie italiane tentano di convincere i propri figli che studiare è importante. L’umiliazione di vedere i giornalisti di cinque telegiornali, alcuni pagati dal contribuente, intervistare il capo leggendo tremebondi le domande scritte da lui.”

Questa eredità è mostruosa: al di là della storia del comunismo, che i neomaggiorenni – nati nel 1993 – non sanno neppure cosa sia e che ha un risvolto quasi comico e patetico delle campagne elettorali e referendarie di Berlusconi (l’argomento comunismo fu uno dei suoi must all’epoca del referendum sulle televisioni), l’umiliazione delle leggi elettorali, con listini e listoni bloccati che producono amministratori e legislatori per volontà del sultano in palese contrasto con la meritocrazia, è quanto di più spaesante e spiazzante ci possa essere per dare ai giovani un esempio. Chi ci governa e chi ha compiti di guida, di leadership, non deve essere “uno di noi“, uno di quelli che incarna il desiderio e l’impulso del popolo. Deve essere “migliore di noi“, deve essere esempio, così come i padri e le madri sono da esempio per i loro piccoli.

La quarta ed ultima eredità che Perrotti accenna è relativa all’immagine all’estero del nostro Paese:

“Infine, la quarta eredità di Berlusconi è aver rovinato l’immagine dell’Italia all’estero, come sa chiunque parli con degli stranieri. Alla lunga, un Governo senza una guida competente viene inevitabilmente percepito come tale nei consessi e nelle relazioni internazionali. La conseguenza è che questi anni hanno confermato negli stranieri gli stereotipi peggiori sull’Italia (con le dovute eccezioni di alcuni ministri che avrebbero meritato un Governo migliore): improvvisazione, inaffidabilità e faciloneria, il tutto condito con barzellette, spaghetti e mandolino.
Di fronte a tutto questo, caro Economist, l’economia è solo la punta dell’iceberg.”

È evidente che il Cavaliere ha sicuramente compromesso più che l’immagine, del nostro Paese, la sua affidabilità, soprattutto dell’Esecutivo. Che le varie cancellerie europee e mondiali non si fidino di lui e dei suoi collaboratori, specialmente per la spregiudicata politica estera troppo schiacciata su Putin e Gheddafi negli ultimi anni, hanno sicuramente fatto ripiombare il nostro Paese ai tempi in cui si cambiava un governo ogni nove mesi.

La sua vocazione alle barzellette e all’autocelebrazione (basti pensare alla trita e ritrita storia della fine della guerra fredda che sarebbe avvenuta grazie a Berlusconi, con l’avvenuto – un falso giornalistico in realtà avvenuto grazie alla sapiente regia dei suoi comunicatori – ingresso della Russia nella NATO) ha fatto il resto, isolando il Governo italiano dalle stanze dei bottoni, compromettendo de facto lo sforzo di un’intera generazione di statisti post-guerra fredda quali ad esempio Carlo Azeglio Ciampi, Romano Prodi, Tommaso Padoa-Schioppa, Emma Bonino fino a Mario Draghi, il futuro presidente dalla BCE, governatore della Banca d’Italia e che è stato Presidente del Financial Stability Board all’interno del Fondo Monetario Internazionale, con il compito di riscrivere le regole del gioco finanziario dopo i disastri che Wall Street e la City avevano prodotto.

Ed è proprio per questo che gli italiani dovrebbero incazzarsi di brutto: perché è per colpa di personaggi discutibili come il Capo del Governo che vengono vanificati gli sforzi di quanti, nei venti anni che ci hanno preceduto, hanno lavorato duramente per farci avere un ruolo di prestigio nell’Unione Europea, organismo che avevamo contribuito a fondare negli anni cinquanta, con i primi trattati di comunità economica europea. Ora io rimango convinto che anche questa buriana passerà, che una volta archiviato per sempre Berlusconi e il berlusconismo e consegnato alla storia un periodo così lungo del nostro Paese, sicuramente verranno fuori altri personaggi come quelli citati, che faranno risorgere il prestigio dell’Italia dalle macerie nel quale ci si trova adesso.

Il problema semmai adesso è come stoccare le scorie della politica italiana, che sono ancora troppo radioattive e quindi molto pericolose.

Quindi rimbocchiamoci le maniche e maneggiamo con cura la nostra democrazia: troppo spesso siamo passati dalla padella alla brace. Magari stavolta evitiamolo!

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