Una lezione civica
In un’epoca in cui le donne e gli uomini d’Italia sono rappresentati al più alto livello da una classe dirigente indegna della storia e della cultura del nostro Paese, di una nazione che ha dato al mondo intero arte, giurisprudenza e invenzioni, spicca gigantesca la figura di una donna normale, di una mamma distrutta da un dolore immenso, di una donna innamorata di un compagno che si trova a fronteggiare qualcosa che nessun padre vorrebbe mai fare.
Ascoltare queste parole della mamma della piccola Elena, la bimba deceduta dopo essere stata dimenticata dal suo papà in auto, ad appena 22 mesi, dovrebbe far riflettere sul grado di stress che uomini e donne del cosiddetto mondo occidentale hanno ormai raggiunto.
“Vorrei urlare al mondo intero l’amore del mio compagno verso la figlia“, comincia con queste ferme parole la dichiarazione televisiva di questa giovane mamma, “padre esemplare“: è straordinario come questa donna, che ha perso la sua bambina ed in attesa di un altro figlio all’ottavo mese di gravidanza, abbia trovato il coraggio di rilasciare una così intensa dichiarazione d’amore verso la propria famiglia ed il proprio compagno, nel momento in cui lui – involontariamente – sta divenendo la causa del dolore più grande che un genitore possa mai provare.
In quell’aggettivo “esemplare” c’è tutta la forza dell’amore enorme che unisce queste due persone e prima che i vari talk show si buttino a capofitto nell’ennesima tragedia, prima che stupide trasmissioni le reggano un microfono in mano chiedendole “come si sente, signora?“, la mamma di Elena impartisce una sonora lezione civica a chi continua a pensare ad un modello di società sempre più frenetico, precario e anestetizzato, dove non ci sia spazio che al lavoro, al business, al danaro e ai beni materiali.
“Quello che è capitato a Lucio può capitare a ciascuno di noi, perché non ci si ferma mai“, continua la giovane mamma, perché siamo costretti a vivere come le macchine, non come gli esseri umani.
Lucio è ovviamente indagato di omicidio colposo e potrebbe anche essere condannato penalmente, ma lì alla sbarra del tribunale che lo giudicherà, dovremmo esserci tutti noi, tutto questo mondo che abbiamo creato, dove una giovane coppia che decide di avere bambini e quindi di contribuire al futuro della società viene lasciata sola, senza servizi, con mille e più responsabilità, sola in compagnia soltanto del proprio coraggio.
Quanta gente avrà pensato male di questo padre prima di queste parole! Quanti avranno pensato “io sono diverso, a me non può capitare“?
Ma siamo così sicuri? Siamo così sereni quando in auto ci dirigiamo verso l’ufficio? Siamo così tranquilli e rilassati?
Il mio pensiero non può non andare anche verso questo padre esemplare, così diverso da tanti altri padri che non partecipano attivamente alla crescita dei propri figli e che pongono il loro lavoro e la loro affermazione personale e professionale in cima ai loro desiderata, rinunciando a priori anche a tentare la strada impervia e difficile della conciliazione fra lavoro e famiglia, attività alla quale le mamme sono storicamente più allenate. Il codice penale potrà anche condannarlo materialmente ma quell’uomo ha già pagato il tributo più alto che un genitore possa mai pagare alla vita: non sentire più la voce della sua Elena, la dolcezza di quella parola “papà” che soltanto chi l’abbia ascoltata può mai comprendere come ti faccia sentire.
E sarà ancora più triste constatare il fatto di come questa tragedia sarà stata socialmente inutile, perché sebbene individualmente avremmo pure imparato la lezione e magari aumenterà la sensibilizzazione verso la donazione di organi (spero che lo straordinario altruismo della scelta di questa coppia di salvare tre bimbi dia loro un seppur minimo sollievo) socialmente continueremo verso la solita strada, continuando a cantare il solito refrain della produttività, della flessibilità e della competitività.
Continueremo a prendere in giro i padri che prendono congedi per dedicarsi ai figli perché sotto sotto pensiamo che accudire i figli, cambiare loro il pannolino, imboccarli, raccontare le favole della buonanotte, consolarli di notte quando cominciano ad avere i loro primi incubi, sia in realtà un mestiere di donna, sia roba – tanto per citare il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla politiche familiari Giovanardi – da “femminielli” e che non merita nemmeno uno straccio di politica. Anzi, sia anche giusto penalizzarli questi padri che partecipano alle visite mediche dei figli, che lasciano una riunione per un incontro con la scuola, che stanno vicino alle proprie compagne per i controlli medici.
Perché questa è roba da stato scandinavo, lontano, freddo e algido: noi qui, la culla della civiltà occidentale e del mondo cristiano, continueremo a bestemmiare con i fatti proprio quel Cristo nel quale professiamo la fede.
Andremo avanti senza indignarci di fronte all’ennesima tragedia, più o meno letale, che la televisione ci racconterà: ci emozioneremo, urleremo, diremo che “non devono capitare più” simili tragedie e ci scopriremo inflessibili con la famosa “certezza della pena“, inapplicata ai potenti ma certa, certissima e violenta con i deboli.
È questo che mi rende triste, dopo aver ascoltato le parole della mamma di Elena. Che il sacrificio enorme e disumano di questa famiglia sia stato per la società totalmente inutile, che non produca un minimo di emozione in chi – agli apici della società – ha la possibilità di cambiare le cose, di porre in essere alternative, di tracciare nuove soluzioni per la famiglia.
Ciao piccola Elena, buon viaggio se e ovunque tu stia andando. Hai avuto due straordinari genitori ai quali va un sentito ringraziamento per una lezione di civiltà così rara da sembrarci quasi straordinaria.
p.s. precisazione: il sottosegretario Giovanardi si è espresso con il turpe “femminielli” per “sensibilizzare” i napoletani su una possibile invasione al Comune, qualora vincesse De Magistris ai prossimi ballottaggi partenopei. Naturalmente (e ovviamente) nulla ha affermato in merito alla tragedia di Elena: le sue ultime uscite riguardo la famiglia e la società sono – per ora – soltanto quelle relative alla pubblicità Ikea sulle famiglie gay e alla legge contro l’omofobia, bocciata in commissione alla Camera.
Speriamo si fermi a queste, ma l’aggravarsi dello stato comatoso della politica italiana, a vele spiegatissime verso l’ennesima campagna elettorale e referendaria sulla persona di Silvio Berlusconi, ci infonde pessimismo e siamo convinti che qualche perla di saggezza ci verrà regalata dal politico modenese.
Suggeriamo al sottosegretario alcuni argomenti sulle politiche familiari che potrebbero essere sollevati: potremmo per esempio prendercela con le famiglie non convenzionali, dove l’unione tra madre e padre non è sancita in Chiesa o con quelle che non hanno i nonni vicino e quindi rinunciano a priori all’unico welfare che l’Italia garantisce. Potremmo rivolgere i nostri strali alle famiglie monogenitoriali, dove le mamme single tirano su i loro bimbi da sole, magari senza conoscere il padre, frutto – questi bimbi – del peccato mortale dell’unione carnale! C’è tanto lavoro da fare per distruggere ancora di più la famiglia! Forza e coraggio!
p.s. 2: si legga questo articolo sul tema apparso su “il Giornale” e si guardi il titolo e il sommario per capire come si faccia informazione nel nostro paese. Tra il contenuto dell’autrice (che è secondo me in alcune parti un po’ superficiale) e il titolo dell’articolo non c’è assolutamente un nesso, oltre che un errore di persona, confondendo i nomi. L’espressione “neanche la morte mette la moglie contro il marito” è un esempio enorme della difficoltà di questo Paese di comprendere che esiste anche un altro modo di vivere che non sia quello con la bava alla bocca.