Nomadismo 2.0
Ai quattro gatti che hanno la bontà di leggere le poche righe che il sottoscritto ogni tanto verga su questo blog non sarà sfuggito che ho voluto cambiare motto.
Inizialmente parlavo di “Diario“, poi mutato in “Riflessioni e Commenti“: il primo termine presupponeva quasi un impegno giornaliero nel commentare la realtà che mi colpiva. Era di fatto impossibile e quindi ho preferito termini meno impegnativi in termini temporali!
Poi mi definivo “pendolare emigrante forzato“: ho preferito cambiare in “nomade 2.0” perché ormai il pendolarismo non è più settimanale come prima ed ho ripreso da sei mesi una vita romana. Emigrante mi sembrava offensivo nei confronti di chi è emigrato nel passato e non riusciva a tornare quasi mai a casa propria: io grazie a Dio torno spesso in Sicilia e nella mia casa alle pendici dell’Etna.
“Forzato“: l’ho voluto togliere perché in realtà nessuno mi forza. Mi ritengo un uomo libero, un pensatore libero, quindi non ritengo che sia onesto affermare che ci sia una forzatura esterna per talune scelte professionali e di vita. Certo all’inizio della mia vita da pendolare, dopo la scelta di tornare al mio vecchio posto di lavoro a Roma, mi sentivo forzato dal “dovere” di “portare a casa la lira”. Dopo molto tempo posso essere onesto con me stesso in primis ed asserire che nessuno mi forza.
Quando ho preso il congedo parentale sapevo che tipo di realtà andavo ad affrontare (quella siciliana con i suoi problemi e quella inglese in piena sventura economica) e che i sette mesi di congedo potevano non essere sufficienti per raccogliere i frutti di quanto seminato.
Ma forzato proprio no! Sarebbe disonesto specialmente alla luce del dramma che si sta vivendo nel Mediterraneo, dove di immigrati “forzati” ce ne sono veramente tanti.
Mi è venuto in mente “nomade” (2.0) , ma non il nomade forzato da qualcuno, come quei consulenti aziendali e strategici sballotati da un cliente all’altro. Non è soltanto una questione di telelavoro o di voler stare sempre in vacanza. È che ormai il mondo è veramente cambiato, la rete, i social network, i blogger, il citizen journalism hanno totalmente cambiato il modo di comunicare. Pensiamo a quello che sta succedendo nei paesi arabi, anche quelli più moderati. L’utilizzo della rete, di Facebook e di Twitter sta rovesciando regimi corrotti, produce democrazia diretta e consente modalità comunicative nuove e dimensioni di vita differenti.
Noi che abbiamo la fortuna di vivere nella parte più ricca del pianeta potremmo cominciare a vivere più sobriamente producendo meglio, non per forza di più.
Leggevo su un numero di Repubblica di qualche giorno fa un articolo nel quale si menzionava l’assurdo di lavorare a tempo pieno, quasi h24, senza scampo proprio a causa della tecnologia.
Scriveva il giornalista: “oggi produciamo in 9 ore quello che nel 1950 si faceva in 40”. Quindi abbiamo una capacità produttiva che si è quadruplicata. Se consideriamo che spesso in molte realtà si lavora più delle solite 40 ore settimanali e si passa quasi a 50 ecco che siamo di fronte ad una capacità produttiva che si è quintuplicata nel corso di 60 anni.
Il progresso scientifico e tecnologico ha portato una netta regressione del progresso civile e questo nello stesso mondo cosiddetto civilizzato dove le condizioni di salute e di qualità di vita sono altissime, rispetto proprio a quegli anni ’50!
C’è qualcosa che non mi torna!