The Island

 In LIFE
Sono trascorsi sei mesi da quando la mia avventura di pendolare ha preso una cadenza settimanale, dopo anni trascorsi a fare su e giù in maniera più sporadica.

Naturalmente la presenza della mia famiglia rimasta a Catania ha reso tutto più difficile, specialmente nei primi mesi, ma poi la routine è stata ben gestita, la mia bimba – dopo le prime arrabbiature – ha cominciato a capire che il papà per quattro giorni e mezzo non poteva giocare con lei e tutti e tre abbiamo vissuto meglio.

In questi mesi ho parlato con molte persone, sia a Roma che a Catania, e la cosa che più mi ha colpito è stata che da entrambe le parti si commentava in maniera diametralmente opposta: i catanesi, scioccati dall’aver posto come base della propria vita la mia città, forse molto ancorati ad un sistema sempre assistenziale che vede nel posto fisso a vita, in saecula saeculorum, la loro ragione di sopravvivenza e che non riuscivano a comprendere il perché si lasciasse una città bella come Roma per una invivibile, sporca e disorganizzata come Catania; i romani per … le stesse ragioni ma all’opposto! “fai bene a vivere in Sicilia, lì hai il mare, il buon cibo! Ormai Roma è invivibile“.

Credo ci sia del vero in entrambe le opposte posizioni e nello stesso tacciare di invivibilità due città così diverse, l’una metropoli, l’altra grande città metropolitana, ma che il punto di osservazione è in entrambi i casi sbagliato.

Catania, si badi bene non dico la Sicilia e non per campanilismo contro Palermo, Messina o Siracusa, è la mia “isola“: io cittadino del mondo, che viaggio, esploro, fotografo, descrivo e voglio continuare a farlo in questo immenso pianeta, ho nella mia terra e nelle mia “casa” la mia “isola di Lost“.

Ma cosa è “casa“? Nella scena finale degli inediti di Lost, reperibile talvolta in rete e che fa parte del cofanetto “Lost Complete Collection” in vendita dallo scorso agosto in USA, l’ormai protettore dell’Isola Hugo “Hurley” Reyes ordina a Ben Linus di mettere in moto il vecchio furgoncino VW celeste e di ritornare, insieme a Walt, a “casa“, proprio lì nell’isola, nel luogo dove tutti loro avevano vissuto delle esperienze importanti, the most important part of your life was the time you spent with them, dice il padre Christian a Jack nelle scene finali del telefilm.

Cosa è allora “casa“? È forse il luogo dove si va a dormire ogni sera dopo una giornata di lavoro? Oppure quello dove ci si riposa dopo una settimana di fatica? Su 27 settimane, dal 1° marzo a oggi, ho dormito più notti a Catania che a Roma. È forse per questo che Catania è “casa” e Roma no? È soltanto per questo che mi definisco “emigrante“?

Sarà forse perché ho studiato in Sicilia e quindi è lì che ho tutti gli affetti e le amicizie? Parzialmente vero perché poi la vita ci porta a scelte differenti, strade diverse  e quindi anche i legami si allentano.

Ma allora cosa è “casa“, cosa è questa cosa misteriosa che non mi lascia tregua e mi richiama a sé?

Un mio collega, all’inizio di questo frenetico modus vivendi, mi diceva che il “problema” è che noi siciliani ci sentiamo sempre “stranieri“. Io non credo sia così: io amo molto sentirmi “straniero“, specialmente quando viaggio, perché amo conoscere posti nuovi, mi arricchiscono, conosco culture diverse dalla mie. Semmai io mi considero “estraneo“. Il punto è che una generazione come la mia, cresciuta tra la fine del muro di Berlino e l’inizio del nuovo millennio, si è vista costretta a fare qualcosa che pensava di non dover fare più, perché il prezzo era stato già pagato dalle generazioni precedenti. Ha cominciato infatti a “emigrare“, nuovamente.

Giovani con livelli di istruzione molto alti si sono visti catapultare dalla metà degli anni ’80 in poi in una dimensione nuovamente di forzata emigrazione, senza che si sia fatto molto per farli rimanere lì dove è giusto che rimanessero, a casa propria. Perché quello che mi differenzia da un collega romano o milanese è che loro non potranno mai comprendere cosa voglia dire “non avere scelta” e dover partire!

Forse è per questo che si sviluppa con la nostra “casa” un sentimento ambivalente: da un lato la si vorrebbe mandare al diavolo perché non riesce a volerti accanto, dall’altro non puoi farne a meno, ti richiama.

Sarà il fascino di una città che ha il mare e la montagna nel giro di 20 chilometri, sarà quel sole che ti riscalda anche nei giorni della merla, sta di fatto che Catania è sempre lì, la sirena che mi accompagna ogni santo giorno da quell’ormai lontano gennaio 1998, quando un treno mi portava a Livorno per l’ingresso all’Accademia Navale.

La mia “isola” è questa: non è solo il mio appartamento, non è solo il mio letto, non è solo il mio studio, non è solo il mare, non sono solo i sapori. È tutto questo insieme ma è qualcosa di più, di magico, che ci richiama sempre da lontano, non con una voce suadente ma come la voce di una tenera donna che reclama i propri figli a sé.

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